Per lungo tempo è stata opinione diffusa che la Calabria, e il Meridione in generale, non avessero dato alcun contributo alla lotta di Liberazione e alla nascita dell'Italia repubblicana. Tranne l'episodio delle "quattro giornate di Napoli", non si registrarono infatti altri esempi di rilievo di partecipazione popolare alla Resistenza. Il merito delle lotte e dei sacrifici che portarono alla nascita di uno Stato democratico è pertanto sempre andato alle regioni dove si svolsero i combattimenti. Si è sempre tentato di far passare l'immagine del meridionale come estraneo al processo storico accaduto in Italia nei 45 giorni dal 25 luglio all'8 settembre e in seguito completamente assente la partecipazione del sud alla lotta di Liberazione. Bisogna, a questo proposito, ricordare che anche durante la seconda guerra mondiale la Calabria fu regione di transito, attraversata la prima volta dalle colonne militari dell'Asse che accorrevano in Sicilia in previsione dello sbarco alleato e una seconda volta, a ritroso, dall'esercito tedesco in ritirata davanti all'avanzata anglo-americana che risaliva la penisola.


Il 10 settembre del '43, i Tedeschi avevano definitivamente abbandonato il suolo calabrese; da qui la convinzione che la regione non avesse dato alcun contributo alla Liberazione. Ma recenti studi storici hanno dimostrato che un'alta percentuale (30%) delle formazioni partigiane era composta da meridionali e che circa settemila furono i meridionali che combatterono in Piemonte nelle loro fila, di cui circa mille calabresi. Molti di loro erano operai immigrati al nord, altri furono ex militari che si trovarono in quelle zone dopo la firma dell’armistizio, altri ancora giovanissimi studenti poco più che ventenni. Tanti furono i gruppi armati comandati da calabresi, tra cui quello in cui operarono i fratelli Francesco, Italo, Bruno e il padre Oreste Rossi, originario di Cardeto, fucilato a Castagneto Po, mentre Italo fu insignito di medaglia d’oro alla memoria per i suoi atti d’eroismo. Addirittura leggendaria la figura di Giuseppe Albano, nativo di Gerace, che fu uno dei protagonisti della resistenza di Roma contro l’oppressione tedesca. Affetto da una malformazione fisica dovuta a una caduta, fu soprannominato “il gobbo del Quarticciolo” e nell’aprile del ’44 era il partigiano più ricercato dai nazisti. Il comando tedesco, per poterlo finalmente catturare, fece arrestare tutti i gobbi di Roma, ma inutilmente.


Anche le due medaglie d’oro vibonesi Saverio Papandrea (nome di battaglia “Avvocatino”, morto a Forno Canavese il 9.12.1943 sacrificando la propria vita per coprire la ritirata dei compagni accerchiati durante un rastrellamento tedesco. Dopo aver sparato l’ultimo colpo, si lanciò in un burrone abbracciato alla sua arma per non cadere nelle mani dei nazisti) e Vinicio Cortese [foto] (ufficiale carrista, entrò subito a far parte della Resistenza nella brigata Matteotti. Con il nome di battaglia “Tenente”, fu autore di innumerevoli azioni eroiche. Caduto a Ozzano Monferrato il 26.8.1944 nel tentativo estremo di far saltare un ponte il cui passaggio avrebbe causato l’accerchiamento della sua brigata da parte dei tedeschi) diedero il loro apporto per far considerare importante anche il tributo di sangue dato dai cittadini meridionali a quello che fu definito il "Secondo Risorgimento". Con il sacrificio della loro giovane vita, contribuirono a sfatare la vulgata che dipinge la lotta di Liberazione come un fatto storico al quale ha partecipato solo una parte della nazione, cioè il Settentrione. Grazie a loro, c'é un filo ideale che unisce la Calabria alle località che furono teatro della Resistenza.

La nascita dell'Italia democratica appare ormai lontana dalla memoria ed anche i fatti e le figure dei protagonisti tendono a divenire evanescenti e il loro ricordo diventa sempre più sbiadito rischiando di cadere nell'oblìo. Ma, al di là delle convinzioni politiche, è doveroso conservare la memoria dei giovani calabresi che immolarono la propria vita con l’intenzione di dedicarla alla costruzione di un mondo migliore.