Nella celebrazione del V centenario della canonizzazione di San Francesco di Paola, avvenuta l’1 Maggio del 1519, abbiamo voluto incontrare padre Gaetano Nicolaci (nella foto sotto con papa Francesco), Superiore del Santuario di San Francesco di Paola a Pizzo, perché ci parlasse dell’importanza e del significato di tale ricorrenza per quanti si apprestano a commemorare il santo paolano, fondatore dell’Ordine dei Minimi, patrono della Sicilia, della Calabria e di tutti i Marittimi d'Italia, oltre che di innumerevoli altre città sparse per il mondo, a dimostrazione di quanto il culto verso questo santo figlio di Calabria a distanza di tanti secoli sia sempre vivo e tocchi l’intero globo terrestre, con la presenza di circa cinquecento conventi e chiese eretti in suo onore in Europa, Americhe ed Asia, con congregazioni religiose, comitati e associazioni che operano nel suo nome in tutti i continenti.


Padre Gaetano, sappiamo che la canonizzazione di san Francesco di Paola è avvenuta in tempi molto rapidi rispetto a quelli che normalmente la Chiesa ci ha abituati. Ci dice com’è accaduto che è stato iscritto nel novero dei santi a soli dodici anni dalla sua morte?
«Il 13 maggio 1512, erano trascorsi appena 5 anni della morte del santo, avvenuta il 02 aprile 1507, il papa Giulio II, con il breve Dilectus filius promuove la causa di beatificazione, spinto dalla supplica della regina di Francia Anna di Bretagna, moglie del re Luigi XII, i quali avevano ricevuto un miracolo per l’intercessione del Santo, la guarigione della figlia Claudia, suffragata, altresì, dal padre generale dell’ Ordine dei Minimi, il primo padre generale dopo san Francesco, padre Francesco Binet.
Sulla scorta di tale supplica, Giulio II indice un processo informativo sia in Calabria che in Francia, nel quale si doveva constatare l’autenticità non tanto dei miracoli quanto la fama di santità di frate Francesco e, per fare ciò, necessitava di ascoltare le testimonianze dirette. Alla fine del mese di gennaio 1513 arrivano a Roma gli atti processuali calabresi, Processus Cosentinus, mentre la documentazione francese, Processus Turonensdis, arriva sempre a Roma il 14 aprile 1514.
Il 2 febbraio 1513 muore Giulio II e il 2 marzo 1513 viene eletto al soglio pontificio papa Leone X, il quale non attese di conoscere i verbali e le risultanze delle indagini, ma a solo 4 mesi della sua elezione, il 7 luglio, con il breve “Illius qui semper in sanctis suis mirabilis est”, autorizza il culto del beato Francesco. Pur mancando le prove dei miracoli, il papa aveva ritenuto di accogliere ugualmente la domanda di padre Germano Lyonnet, secondo generale dell’Ordine, tesa ad ottenere l’autorizzazione al culto. Fu quindi dichiarato beato senza la prova essenziale dei miracoli. Il papa Leone X autorizzò l’Ordine dei Minimi a rendere culto pubblico al suo Fondatore nelle loro Chiese, e a celebrare la festa il 2 aprile».

Fin qui abbiamo frate Francesco beato, come avviene la canonizzazione dichiarata da papa Leone X, al quale si dice che abbia preannunciato l'elezione al soglio pontificio quando questi era ancora bambino?
«Dal dicembre 1515 al gennaio 1517 furono inviate a papa Leone X suppliche per implorare questa volta la canonizzazione di Francesco, il papa ritenne necessaria un’indagine suppletiva di informazione, anche allo scopo di documentare l’esistenza di nuovi miracoli dopo la beatificazione. Si arriva così al quel primo maggio del 1519 che con la bolla Excelsus domini, il papa dichiara santo Francesco di Paola».

Padre Gaetano, che cosa è la santità per i cristiani, come e chi la può raggiungere?
«Molto semplicemente, la Chiesa afferma l’universale vocazione alla santità nella Chiesa. Tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità. La santificazione è nella volontà di Dio. Se tutti sono chiamati alla santità è perché essa è alla portata di tutti, fa parte della normalità della vita cristiana. Lo riafferma, anche, papa Francesco nell’esortazione Gaudete et Exultate».

Cosa comporta essere santo?
«Premettiamo subito che essere santo non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. Accostandoci a Gesù Cristo è la santità stessa di Dio che ci raggiunge di persona, non un suo lontano riverbero. “Tu sei il Santo di Dio!”, due volte risuona questa esclamazione rivolta a Gesù nei vangeli. L’Apocalisse chiama Cristo semplicemente “il Santo” e la liturgia le fa eco esclamando nel Gloria “Tu solus Sanctus”, Tu solo sei il Santo. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, di quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua».

Rimane la questione di come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Possiamo farlo con le nostre forze?
«La risposta è chiara. Una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo, che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma».

Come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino nel quotidiano il pensare e l’agire con Cristo e di Cristo?
«Ricorrendo al Concilio Vaticano II, il quale si rifà Vangeli, ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. Dio è amore. Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo. Questa è la vera, semplice, grandezza e profondità della vita cristiana, dell'essere santi».

Si tende spesso a considerare i santi solamente dal lato spirituale, dimenticando che sono stati uomini di questa terra, ci parli della santità in Francesco di Paola uomo.
«Parlare della santità di san Francesco, significa trovarsi difronte a un uomo che ha vissuto la sua esistenza in una completa aderenza al Vangelo. Quando parliamo di Vangelo, si parla di Gesù Cristo, quindi un volere conformarsi a Cristo. Partendo dal suo stile di vita, cioè dalla scelta vocazionale, Francesco ha adottato uno stile eremitico, e come tutti gli eremiti ha mostrato che conformarsi a Cristo significa essere prima di tutto uomini di preghiera. E per vivere pienamente questo rapporto con Dio, attraverso la preghiera, amava la solitudine, la contemplazione, anche se questo non gli impedì di essere un uomo dall’impegno religioso, e direi anche sociale».

Come viveva Francesco la sua vocazione?
«Amava vivere i Sacramenti, partecipava a tutte le sante Messe che si celebravano, viveva con frequenza il sacramento della confessione. Cosi vivendo la sua vita, il suo pensiero, le sue azioni, diventavano il pensare e l’agire di Cristo. Ecco perché, come ci riferisce un teste nel processo cosentino, aveva sempre il volto lieto e giocondo, e la gente dopo averlo incontrato se ne tornava nei loro luoghi di origine contenti, sgravati dai pesi che l’attanagliava. Egli univa l’amore, la carità verso Dio, fonte e motivo principale della sua vita, all’attenzione verso il prossimo. Era docile allo Spirito Santo, perché l’azione dello Spirito è il soggetto primo del cammino dell’unione a Cristo».

Qual è il messaggio che la santità di san Francesco di Paola, a distanza di cinque secoli dalla sua canonizzazione, lancia oggi ai suoi devoti?
«Dunque, Francesco, nel suo stile di vita eremitica, ha proposto e ripropone oggi a noi il Vangelo, e sta qui in questa riproposta ciò che la santità del Paolano, dopo cinque secoli, lancia oggi al popolo di Dio: il Vangelo, nel suo essenziale, avere e mettere Cristo al centro del nostro pensare, agire e operare. E, concludendo, segnalo anche che vivere il Vangelo per San Francesco, significava mettere in atto, con fedeltà, l’invito evangelico del fare penitenza. A imitazione del suo stile di vita, l’invito è a scoprire il valore anche oggi della penitenza, in un contesto, quale il nostro che viviamo, deteriorato dalla cultura del consumismo, del superfluo, del di più, che disorienta l’uomo da se stesso e a Dio».