È un Paese in lutto, non potrebbe essere altrimenti. Un ragazzo italiano è morto, un nostro giovanissimo collega. È morto a Strasburgo, a causa dell'ennesimo attentato terroristico di matrice islamica, anzi di una delirante scheggia impazzita radicalizzatasi in carcere e tornata libera dopo 25 arresti tra Germania e Francia (come dire, non è solo il nostro sistema giudiziario a fare acqua). Libera di uccidere e poi uccisa (chissà perché, mi chiedo sempre, le forze speciali di tutto il mondo non riescono mai a prenderli vivi…).


Ora di questo ragazzo, nato in Calabria, ma a tutti gli effetti adottato e cresciuto dal Veneto, quasi tutti reclamano la paternità.
Il Tg3 Calabria fa anche un collegamento con la frazione di Reggio della quale il povero Antonio Megalizzi era originario: il corrispondente sul posto, inviato dal caporedattore della Tgr, il piemontese Luca Ponzi (ovviamente qui si lottizza, colonizza e commissaria da sempre anche l'informazione del servizio pubblico), è bravo ma neppure lui è calabrese e ci consegna l'intervista al prozio (il prozio…) di Megalizzi nel cui bar il giovane nostro collega faceva colazione quando rientrava per le vacanze.


Il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatá, parla di “tragedia immane” e ci ricorda che Antonio “amava l’Europa e la Calabria”. Meno male. Tralascio gli altri commenti dei politici, che dovrebbero parlare di meno e a fare di più, magari iniziando a porsi una domanda: ma perché la gente ci disprezza tanto?
Ecco, si facciano questa e altre domande i nostri politici, iniziando da coloro i quali si prodigano a sottolineare il legame tra Antonio e la Calabria: non l’avesse amata, certo non ci sarebbe tornato per le vacanze. Ma la Calabria non è anche la Regione che ha evidentemente costretto la sua famiglia, nei primi anni ’90 ad emigrare? La Calabria non è forse quella terra nella quale mai e poi mai Antonio avrebbe avuto quelle opportunità che solo vivendo e studiando al Nord è riuscito a costruire?


Qualcuno ha ascoltato la sua voce? Il suo timbro graffiante? Il suo eloquio corretto, sicuro e spedito? Era bravo, aveva stoffa Antonio. E non perché è stato ammazzato da un terrorista. Era bravo, aveva stoffa e basta. Il profilo più più bello di questo giovane collega l'ha tracciato Alessandro Sallusti in poche parole: “Era lì perché credeva in quello che faceva, nel nostro lavoro, nella politica, nelle istituzioni e nell'Europa, ragazzi così devono essere d'esempio”.


Mi chiedo e chiedo al sindaco Falcomatá: ma Antonio, fosse rimasto e fosse cresciuto in Calabria, sarebbe stato il ragazzo descritto in quelle parole? O l'avremmo qui e non a Strasburgo, con due lauree sì ma disoccupato, costretto a sperare che qualcuno di voi gli procurasse una sistemazione?
Me lo chiedo e lo chiedo anche a Seby Romeo, che lancia l'istituzione per legge di un fondo di solidarietà ai giornalisti minacciati: voi politici calabresi che ci disprezzate, che non avete rispetto per il nostro valore, per il nostro lavoro, voi che non sapete cosa sia il merito, voi che se vi sentite toccati nell'orgoglio sapete benissimo (oh sì che lo sapete bene…) come farci correggere il tiro e che girate con la querela precompilata in tasca, quale credibilità pensate di avere ai nostri occhi?


Me lo chiedo e lo chiedo al governatore Oliverio: uno come Antonio Megalizzi quante possibilità avrebbe avuto di entrare nell'ufficio stampa della sua Regione, senza essere “parente di” o “legato a"? Oppure Antonio si sarebbe dovuto accontentare di lavoricchiare in un giornale locale guadagnando in un anno la metà di quanto il suo fotografo personale, a spese dei calabresi, guadagna in un mese?


Non prendetevela per questo – Falcomatá, Romeo e Oliverio – perché le stesse domande potrei rivolgerle ad Occhiuto, Abramo o chi vi pare. In fondo per me, per noi (noi che se non accettiamo di elemosinare dobbiamo emigrare come Antonio Megalizzi e la sua famiglia o faticare dieci volte di più per crearci un'opportunità) siete tutti uguali.