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Un investimento a perdere. L'assemblea nazionale del Pd ha scelto i 120 componenti della direzione nazionale e ha sonoramente schiaffeggiato il governatore Mario Oliverio nonostante l’accordo chiuso con i renziani e l’aver portato in dote il 50% abbondante dei consensi alle ultime primarie. Con la Calabria che è stata tra le Regioni in cui l’ex premier ha raccolto i maggiori consensi, arrivando al 75%.
Un risultato raggiunto con la benedizione del Ministro dell’Interno Marco Minniti e che sembrava aprire una fase nuova nel partito calabrese. Sembrava, appunto. Alla prima occasione ufficiale i colonnelli romani hanno fatto scattare la trappola, forse preparata da tempo, nella quale Oliverio e i suoi sono finiti con tutte le scarpe.
Nella direzione nazionale del partito entrano 11 calabresi e soltanto uno appartiene all’area che fa capo al presidente della giunta regionale: si tratta della deputata cosentina Enza Bruno Bossio, peraltro già facente parte della precedente direzione del partito. Insieme a lei lo stesso Mario Oliverio che, in quanto governatore di Regione, entra di diritto nell’organismo direttivo.
Per il resto tutto renziani. E se il segretario regionale Ernesto Magorno è entrato di diritto, così come il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà e, ovviamente, il ministro Marco Minniti, per il resto le indicazioni che arrivano da Roma sono chiare e portano i nomi del presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, da considerarsi in quota Demetrio Battaglia, e dei deputati Stefania Covello, Ernesto Carbone e Ferdinando Aiello. Tutti big renziani e assai lontani dal presidente della giunta che, di fatto, si vede commissariato nella sua provincia di appartenenza. Neanche il segretario provinciale della città bruzia, Luigi Guglielmelli, candidato capolista nel collegio nord è stato tra i prescelti.
Ma anche tra le seconde file, la scelta è andata tra i fedelissimi, come Schirripa a Reggio e Dario Costantino a Palmi. Anche nella provincia reggina ignorato il capolista oliveriano Peppe Gullì, vicinissimo alle posizioni del capogruppo del Pd in Consiglio regionale Sebi Romeo.
Ignorate completamente alcune Province, come Catanzaro, Vibo e Crotone. Nonostante ci fosse la possibilità di pescare tra deputati oliveriani di primo piano come Bruno Censore.
La composizione della direzione nazionale del Pd, insomma, segna una sonora bocciatura per le ambizioni di Mario Oliverio e della sua area autonoma. Sia per il peso dei prescelti che per la composizione geografica, le scelte romane hanno un sapore quasi punitivo per il governatore che, infatti, viene descritto su tutte le furie dagli uomini del suo entourage.
La strategia del compromesso non ha pagato. Oliverio ha sperato con la conversione ala renzismo dell'ultima ora di poter recuperare feeling con il governo nazionale, prendersi la leadership del partito calabrese e magari ottenere finalmente la gestione della sanità con la fine del commissariamento e la cacciata di Scura. Ha perseguito l’obiettivo con tanta determinazione da rinunciare anche alla formazione di una lista autonoma per Maurizio Martina, così come gli era stato garantito.
E adesso ci sarà da capire come uscire dall'angolo in cui lo hanno cacciato Matteo Renzi e Marco Minniti che, di fatto, hanno blindato il partito calabrese fiaccando ogni opposizione interna.
Riccardo Tripepi