Fiori secchi, pane non lievitato, carne andata a male: le superstizioni legate al ciclo mestruale venivano da molto lontano e hanno resistito a lungo prima di scomparire
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Quando Vrigòli u Scillinguàtu si fidanzò con Sabellina ‘i Nzina ‘a Cofanara, la prima volta “chi trasìu ‘ncasa” si presentò con un bel fascio di fiori. E chi fasciu!
Fanàticu e povarèju pe’ com’era, fece una cosa davvero esagerata. Tant’è vero che, presi alla sprovvista, non sapevano nemmeno dove metterlo. Più che un mazzo era ‘na sipàla, cu’ hjùri di tutti i culùri e di tutte le forme, tanto che la povera Nzina per poterlo degnamente sistemare si è dovuta far prestare dal fratello, ‘mbari Maneli u sacrestànu, il vaso che stava e’ pedi da’ Madonna nda chjesa Matri!
La mattina dopo u Scillinguàtu, incontrando ò Spunduni i cumbagni ‘i lavuru, muratori e manovali, si vantava dicendo: «Mi cuttàu n’occhju da’ tetta, pelò lettàru tutti a vucca apetta, tandu ela bellu, liccu e cululatu!»
La sera, quando u zzitu andò a casa da’ zzita ebbe però un’amara sorpresa! Tutti quei fiori, appassiti, sicchi, musci, vrusiati, morti!
La povera Sabellina lo guardava e non aveva il coraggio di fiatare, quadu veni venèndu Nzina ‘a Cofanara: «’A curpa è ‘a mia, sulu a mia! Avènu u mi càdunu i mani, quandu i toccài! E ndandu, nda chiju paràpigghja cu potìa penzàri ca i mbalenàva accussì! Tandu potendi è st’èrramu?»
Vrigòli, incredulo: «A cummali Ndina, e chi ndi mendìttuvu mu i mbalenati accuttì?»
«Cosi di fìmmani, chi vui òmani non’aviti!» Fu la risposta lapidaria ‘i Nzina ‘a Cofanara.
Il povero Vrigòli, avvilito, non trovando più il coraggio di ribattere, strinse solo le spalle!
Nell’Antico Testamento si parla di impurità delle donne: «Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera».
Ma nelle epoche passate, oltre che dalle religioni, del potere negativo delle donne nel periodo mestruale è stato affermato anche da filosofi e scrittori. Plinio il Vecchio, nel suo “Naturalis Historia”, descrive le sciagure che una donna mestruata poteva causare: «All’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidisce, toccate da lei le messi isteriliscono, muoiono gli innesti, bruciano le piante dei giardini […] i frutti cadono dagli alberi, al solo suo sguardo si appanna la lucentezza degli specchi, si ottunde il ferro, si oscura la luce dell’avorio, muoiono le api degli alveari […]»
Sino a pochi decenni fa, tali superstizioni, allignate nelle credenze popolari in Calabria come in altre regioni del Paese, trovavano credito su una considerevole fascia di persone. Oltre al potere funesto che faceva seccare piante e fiori, si diceva che le donne con le mestruazioni non potessero toccare la pasta del pane perché altrimenti non lievitava; se toccata la carne del maiale durante la lavorazione le salsicce e i prosciutti sarebbero andati a male; così come le conserve (passata di pomodori, melanzane sott’olio, etc.) ed il sapone che si faceva in casa con la cenere.
Ancora oggi nel mondo, in alcune culture primitive, le donne con le mestruazioni sono oggetto di discriminazioni e allontanate dalla comunità.