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Cosa è stato l’anno che ormai ci lasciamo alle spalle? Un cumulo di disastri politici, economici e sociali. Un disastro che, ormai, ci ha portato sull’orlo del collasso e che, a breve, se non si interverrà radicalmente, minerà i principi basilari di convivenza civile della nostra Regione e, aggiungo io, dell’intera nazione. Siamo ad un passo dalla desertificazione economica, morale, culturale, e sociale del mezzogiorno, ma i maggiori centri di potere del paese sembrano ignorarlo. Renzi continua ad affermare che la Calabria sia la madre di tutte le battaglie per cambiare il Paese, e di ciò gli va dato atto, ma come spesso gli capita, la sua buona volontà si ferma alle parole. E le parole, purtroppo, non ci faranno superare il gap strutturale del Mezzogiorno nei confronti del Norditalia. Secondo SVIMEZ, ISTAT, Banca d’Italia e tutti i più importanti indicatori economici del paese, il Sud è ormai in recessione da 7 anni. Gli effetti della crisi, alle nostre latitudini, rischiano di lasciare solchi che giorno dopo giorno stanno diventando sempre più incolmabili. Il calo demografico è uno degli indicatori: nel 2013 al Sud i morti hanno superato i nati, un risultato negativo che si era verificato solo nel 1867 e nel 1918. Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177mila, il valore più basso mai registrato dal 1861. Un pericolo da cui il Centro-Nord finora appare immune: con i suoi 388 mila nuovi nati nel 2013 pare lontano dal suo minimo storico di 288mila unità toccato nel 1987. Nei prossimi 50 anni il sud sarà quindi destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti. La Calabria si conferma la regione più povera d’Italia con un pil pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro, meno della metà delle regioni più benestanti come Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Sul fronte occupazione si tocca il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche di dati. Il numero degli occupati al Sud tocca quota 5,8 milioni. Tra il 2008 e il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel mezzogiorno. Tra gli altri un dato colpisce particolarmente, la desertificazione culturale: pochi artisti propriamente detti, poco pagati e poche esposizioni e occasioni in cui far conoscere le loro opere. Nonostante le regioni meridionali ospitino borghi incantevoli, panorami suggestivi e siano accoglienti nell’ospitare manifestazioni artistiche, anche sul fronte creativo permane un forte dualismo tra il resto dell’Italia e il Sud, tale da non riuscire a produrre sviluppo e reddito. I creativi, dunque, scappano via dal Sud e dalla Calabria, coloro che dovrebbero trasformare la bellezza in opportunità di salvezza, secondo uno studio dei professori Amedeo Di Maio, Salvatore Ercolano e Giuseppe Lucio Gaeta, pubblicato sulla Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ, non hanno possibilità di rimanere nel sud e nella Calabria perché il contesto socio-economico non gli consente la sopravvivenza. I numeri della presenza dei creativi nel sud fanno impressione: Abruzzo, Molise e Sardegna arrivano circa a 0,45, la Campania si ferma a 0,33, con punte di presenze minimali in Sicilia (0,29), Calabria (0,19), Basilicata (0,16). In questo contesto, dunque, le chiacchiere lasciano il tempo che trovano. Nell’anno che verrà, la politica, dovrà partire da questi e altri problemi se vorrà porre le condizioni della salvezza della Calabria, del Sud e dell’intero paese. “Non esistono storie separate tra Nord e Sud, l’Italia è in crisi soprattutto perché il Mezzogiorno è in crisi. (…)”, ha affermato in un recente convegno il Presidente dello SVIMEZ, e noi siamo d’accordo con lui. Si tratterà ora di vedere il grado di consapevolezza del governo del Paese e dell’Europa su questo punto. Sul fronte regionale, invece, si tratterà di saggiare il grado di determinazione del neo presidente della Regione Mario Oliverio verso la riforma radicale dell’impianto politico e istituzionale della Regione Calabria. Nei pochi primi interventi del Presidente della Regione, questo grado di determinazione pare che ci sia. E ciò, appare una notizia, anche perché in Calabria, diciamoci la verità, sembrano impossibili sia la vera fermezza, il cui principio è sic et non (questo si, questo no), sia il vero conflitto. Si, il conflitto, nessuno si scandalizzi, se si vuol cambiare l’andazzo di questa Regione, infatti, bisognerà aprire dei conflitti, per certi aspetti anche duri, con diversi “santuari” di potere e di visioni politiche e culturali, di questa terra: burocrazia regionale, imprenditoria parassitaria, nepotismo, familismo, pressapochismo, illegalità diffusa, rassegnazione. La determinazione e il conflitto, in questa terra, sono stati temperati, purtroppo, dalla perpetua possibilità di una mediazione, di una sfumatura e di un’intesa, creando così le premesse di quei paradigmi che si chiamano trasformismo e consociativismo che, tradotto, significa: lo scarso rispetto dei limiti, la tendenza ad aggiustare i conflitti, l’anarco-servilismo, il perdonismo, la speranza nell’immunità e nell’impunità, una certa inesprimibile pigrizia dinanzi alle fatiche che comporta la fermezza. Ciò, a mio avviso, ha prodotto l’immobilismo del Sud e della Calabria. La vera sfida, nell’anno che verrà, dunque, per la classe dirigente calabrese, sarà questa. Buon anno a tutti noi.
Pasquale Motta