La “Codogno” di un secolo fa viene individuata a Limbadi, paese vibonese che contò decine di vittime. Nel maggio del 1919 il parroco decise di portare in processione per le vie del paese le reliquie contenenti il sangue del santo protettore, San Pantaleone. Da quel giorno l’epidemia cessò improvvisamente
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Quante vittime ha fatto la febbre spagnola, la madre genetica di tutte le pandemie? In realtà non lo sa nessuno, anche perché all’epoca non rientrava fra le malattie che si dovevano obbligatoriamente dichiarare. Ma le stime variano dai 20 ai 100 milioni di morti.
L’epidemia colpì un individuo su tre, in tutto il mondo. Quello che si può affermare di sicuro è che il numero delle vittime della terribile pandemia, scoppiata negli anni in cui si combatteva la Prima guerra mondiale, fu superiore al numero dei caduti in guerra. Molti crederono che fosse giunta la fine dell’umanità.
La prima ondata di influenza passò sostanzialmente inosservata, in Italia come all’estero. La febbre spagnola, denominata così non perché provenisse dalla Spagna, ma perché le notizie arrivavano dal paese iberico che in quegli anni era neutrale e quindi non soggetto a censura di guerra, aveva fatto la sua prima apparizione nel marzo 1918, ma fu solamente verso la fine dell’estate che il virus cominciò a mostrare tutta la sua forza dopo una mutazione probabilmente avvenuta nel mese di luglio.
La Calabria fu la prima regione in cui la Spagnola manifestò queste variazioni all’interno del suo quadro clinico. E infatti, proprio in quel luglio del 1918, iniziarono a verificarsi, in un piccolo comune calabrese, inquietanti morti causate da una strana influenza fuori stagione. I sintomi classici di una normale influenza degeneravano spesso in complicazioni polmonari che portavano alla morte nella maggior parte dei casi.
La “Codogno” di un secolo fa, secondo la ricerca storica, viene individuata in Limbadi, un centro attualmente in provincia di Vibo Valentia ma che all’epoca faceva parte della provincia di Catanzaro. Sembra che proprio a Limbadi si poterono osservare, per la prima volta, i sintomi che saranno poi attribuiti alla cosiddetta “febbre spagnola”. La situazione era diventata talmente allarmante che già nello stesso mese di luglio furono disposte autopsie sui corpi delle vittime.
Il terribile morbo continuò a mietere vittime per quasi un anno, fino a quando, nel maggio del 1919, il parroco decise di portare in processione per le vie del paese le reliquie contenenti il sangue del santo protettore, San Pantaleone, medico e martire. L’epidemia cessò, improvvisamente quanto miracolosamente. Oltre all’azione taumaturgica del Santo, si era forse sviluppata, come si direbbe oggi, una sorta di “immunità di gregge”. Da allora, il “miracolo” attribuito a San Pantaleone viene ricordato, ancora oggi, con una festa che si tiene nell’ultima domenica di maggio.
Partito da Limbadi, il contagio si allargò a Rosarno per poi diffondersi rapidamente nelle altre province calabresi. Il morbo colpì con particolare virulenza il paese di Longobucco (CS) dove, si racconta, le campane smisero di suonare a morto talmente alto e continuo era il numero dei decessi.
Per qualche tempo sembrò che il contagio si fosse fermato al Sud, ma intorno a metà agosto cominciarono a morire in massa, per influenza degenerata in complicazioni polmonari, i giovani militari che si preparavano alla guerra in un centro di addestramento a Parma. Il contagio non risparmiò nessuna regione, tanto che i morti provocati dalla Spagnola in Italia furono 600.000, un numero di poco inferiore a quello dei caduti in guerra, che toccò i 650.000 morti.
Se molte sono le analogie con il Covid-19, vi è un dato in controtendenza rispetto ad oggi. Mentre la pandemia da Coronavirus ha provocato vittime soprattutto fra gli anziani, la “febbre spagnola” colpì soprattutto i giovani e i bambini. Gli storici affermano che, scorrendo i necrologi di quel periodo, emerge un numero impressionante di persone “scomparse nel rigoglio della giovinezza per un fatale e improvviso morbo”.