Da quando viviamo attaccati allo smartphone, in connessione perenne, è come se avessimo messo la cassa di risonanza davanti alla pancia della gente. Per ogni evento, per ogni ricorrenza, per ogni fatto di cronaca ci sottoponiamo volontariamente ad un florilegio di reazioni, che vanno dall’insulto alla commozione, dall’ammirazione allo scherno. I social sono il termometro dell’opinione pubblica: alla luce di questo, è interessante capire perché, anche in Italia, poche feste diano fastidio come l’8 marzo

L’8 marzo, una strada in salita

Suona strano nell'Italia dalla Bassa Padania alle Marche, dove gli anziani nei parchi vanno in cerca di badanti, ed il sabato sera padri, mariti, nonni e zii si affollano in night club cercando carne d'importazione a buon mercato. E suona ancora più strano al Sud, dove ragazzoni con gli ormoni a mille si dedicano in estate alla più tradizionale caccia alla tedesca. Dalle Alpi alle Piramidi, l'8 marzo, tutti sul web, a fare i moralisti per due bicipiti alla festa della Donna. Come se l'8 marzo fosse solo questo, a sminuire il vero significato sociale della ricorrenza. Post di scherno e dileggio, meme ironici, foto satiriche di donne davanti allo spogliarellista di turno, ragazze immaginate, più che viste, nella ebete riproposizione dei peggiori cliché maschili. Il web disegna un quadro ben più cupo della realtà, che nel 99,9% dei casi, vede semplicemente qualche amica a cena, con un mazzolino di mimose in mano. E se la cultura alta, i quotidiani, i settimanali femminili e di approfondimento, così come le televisioni di un certo livello dedicano alla donna trasmissioni, inchieste, attenzioni focus e sondaggi, (ed è d’obbligo citare a questo proposito la bella campagna del network LaC, e la grande attenzione che LaCtv e LaC news 24 stanno dedicando al tema), nei social il popolino sfoga tutto il suo malessere.

Due pesi e due misure…

Fiumi di livore e fastidio, per una giornata che nasce come la festa del lavoro femminile. La sua origine, socialista e rivoluzionaria a tutela del lavoro, è stata pressoché rimossa. E laddove il primo maggio gode di un’aurea di sacralità, l’8 marzo è ancora il Pulcinella del calendario laico: presa di mira. Con poche voci a sua difesa, ad omaggiarne il significato primo. Se provi a ricordare le tante battaglie ancora da compiere, ci sarà sempre l’uditore in vena di boutade che ti risponderà: «Ma quale sfruttamento! Sono le donne a sfruttare gli uomini, non viceversa!».

…e il mercato non aiuta

Ora: è pur vero che il mercato ha investito (e vinto) la sfida lanciata alla ricorrenza politica e sociale, proponendo una serie di comportamenti certamente coatti, volti a fare cassa, destinati a fare più rumore della manifestazione sindacale, e molto meno frequenti nella realtà che nell'immaginario... Ma foss’anche solo una festa commerciale, sarebbe comunque assimilabile a quelle della mamma, del papà, dei nonni. Alle ricorrenze cioè che sui social scatenano al massimo una colata di melassa, non una sassaiola. Insomma, l’8 marzo dà fastidio perché le donne, quando si muovono indipendentemente, danno fastidio. E la cosa fa pensare, specie in un paese dove, ad iniziare dal centro nord, i night e gli strip bar sono diventati un rifugio sempre più abituale. Stridono i due pesi e le due misure: apri Facebook, e dalle reazioni a metà tra l’indignato e l’ironico, sembra essere in attesa della giornata mondiale dei Centocelle Nightmare (gruppo ormai agée di spogliarellisti maschili, ndr.).

Rischio social

A marzo, i social approfittano per dar sfogo alle tastiere: ma a ben guardare, questa irritazione è il campanello d’allarme della misoginia della rete. Il dileggio nasconde una criticità ben più grave. Facebook ed Instagram, passando per Youtube, costituiscono, per l’utenza femminile, un piatto avvelenato. Specie per le adolescenti, le più esposte. Sono teatro di comportamenti e tendenze mefitiche, portatori sani di rischi altissimi.

Le donne, le più fragili

La donna, nei social, è vittima di una deriva analoga a quella verificatasi nei confronti del nero, e del diverso. L’impatto del web nella deflagrazione del razzismo in Italia ed in Europa è innegabile. La rete sfrutta fake news ed intolleranza per fare cassa, attraverso milioni di condivisioni effettuate sull’onda dell’emotività. Un fenomeno sempre in cerca di capri espiatori, un meccanismo perverso che sta mettendo a rischio la coesione sociale in tutta Europa. In questo meccanismo, anche la donna è un soggetto a rischio. La rete offre nuova forza alla violenza di genere. Pensiamo al cyber bullismo nei confronti delle compagne di classe più fragili, al body shaming (l’insulto per la presunta mancanza di forma fisica adeguata), alle depressioni ed ai disturbi alimentari legati al perseguimento di magrezze irreali. Al suicidio di ragazze vittima di revenge porn, video intimi rilanciati in rete, dopo la fine di una relazione.

La rete, il far west delle coscienze

La Rete, è il luogo deputato a scaricare rabbia e frustrazioni senza sensi di colpa, dove poter attaccare ferocemente l’anello debole della catena sociale: neri, donne, disabili, adolescenti insicuri. Ragazze colpevoli di avere una taglia in più, una razza diversa dalla nostra, o, peggio ancora, opinioni che non condividiamo. I casi della Kyenge e della Boldrini sono destinati, nei decenni a venire, a fare scuola. Campagne di odio durate anni, una colata lavica inimmaginabile nei media tradizionali, e che ha coinvolto tutti: dall’imbianchino al senatore, dal sindaco al ministro.

Sfogarsi nell’anonimato

L’idea che il web sia una sorta di zona franca, dove vige l’impunità, ha riaperto le gabbie. Ha dato vita ad una nuova categoria di incivili: i leoni da tastiera. La totale mancanza di educazione digitale ci restituisce la fotografia di una società bipolare. Uomini e donne che in pubblico mostrano di aver interiorizzato i basilari concetti di eguaglianza e rispetto, da soli, di fronte allo schermo, protetti dal presunto anonimato e da quattro mura mettono in atto comportamenti di spaventosa aggressività. Gli adulti sfogano tutti i conflitti irrisolti con il mondo femminile. Gli adolescenti, adottano le dinamiche suicide di una generazione che brancola tra reale e virtuale, facendo del male senza provare nulla, come fossero sotto anestesia.

I prossimi, saranno i bambini

Questa, oggi, la sfida che le donne devono affrontare in rete: rilanciare l’urgenza di una cultura digitale, per loro stesse e le proprie figlie. Cancellare l'idea che Internet sia una zona franca, un Far Web, (cit: Matteo Grandi) in cui non esistono regole, in cui vige l'impunità. Una battaglia da affrontare subito, perché dopo di loro, ci saranno altre vittime, ancora più fragili. I prossimi ad esser presi di mira, dicono gli analisti, saranno i bambini. Tra i 14 e i 18 anni, il 28 per cento dei ragazzi è stato vittima di bullismo tradizionale e l’8,5 per cento di atti di cyberbullismo. Ma quel che è più grave, è che l’età dei giovani coinvolti tende ad abbassarsi, di pari passo con la dimestichezza dell’infanzia con gli smartphone ed i tablet. (dati: “Educati alla violenza”, Antonio Murzio, ed Imprimatur).
Questa, senza dubbio, la prossima battaglia delle donne. La più delicata. Pensiamoci, la prossima volta che intendiamo prendere di mira un gruppo di amiche a cena, con un mazzolino di mimosa in mano. Stiamo sfogando la frustrazione sulle stesse persone che avranno il compito, in futuro, di difenderci da noi stessi.