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Oggi è l’anniversario della liberazione. E mentre nel resto del Paese, come ogni anno, ci si scontra se è più rock l’anniversario della “liberazione” o quella della Repubblica che si celebra il 2 giugno, perpetuando l’eterna lotta tipica del provincialismo italiano, che il regista Bernardo Bertolucci descrisse benissimo attraverso la lotta tra Olmo e Alfredo, protagonisti del suo capolavoro cinematografico “Novecento”, in Calabria, invece, continuiamo ad aspettare la vera Liberazione. Si, la vera liberazione, non quella dal nazifascismo che per motivi geopolitici ci ha toccato solo di striscio, ma la liberazione dagli atavici problemi che ci trasciniamo dietro lustro dopo lustro fin dall’unità d’Italia.
Problemi antichi che hanno radici profonde, quelli che magistralmente il grande letterato della nostra terra, Leonida Repaci, descrive in una favola dedicata ad Ernesto Treccani. Repaci, infatti, non era affatto ottimista per il futuro della nostra terra e, in qualche modo, ci aveva visto giusto, considerato che tante delle sciagure che ci portiamo dietro ancora oggi le aveva declinate in quello scritto e in altri dedicati alla sua amata terra:“le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospora, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola, la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio”. Sotto spoglie diverse e adeguate ai nostri tempi, tutto ciò continua ad essere il male della nostra regione e, purtroppo, non si riesce ad estirparlo. Alla fine però Repaci lascia un spiraglio, un speranza, affermando che la Calabria ce la farà comunque, con più fatica, ma ce la farà.
Da quella disamina di Repaci sono passati altri 60 anni ma, aldilà della naturale mutazione sociale e antropologica, la Calabria è sempre al palo. Una situazione che oggi è resa più difficile da una crisi di sistema sociale ed economica che sta divorando il Paese e, dunque, travolgendo quel residuo di pensiero meridionalista che, comunque, aveva rappresentato il pensiero critico di un’Italia costruita su due velocità. Quella di un nord produttivo e moderno, locomotiva della nazione e, un Sud assistito e al servizio della locomotiva. Quel disegno economico e sociale oggi non esiste più, travolto dalla crisi economica, dalle regole europee e dalla politica del contenimento del deficit imposto dalla moneta unica. La crisi è profonda e ormai ha stravolto non solo l’Italia ma, gran parte delle democrazie europee facendo entrare in crisi la rappresentanza democratica dei sistemi occidentali.
In un tale contesto come farà la Calabria a trovare la strada che fino ad oggi non ha percorso? Come riuscirà la nostra regione a rimuovere definitivamente i fattori che ancora la tengono all’angolo come la ‘ndrangheta, la malapolitica, la corruzione, la prepotenza della burocrazia, l’immobilismo delle sue istituzioni, il conservatorismo, l’individualismo inconcludente, l’inefficienza patologica dei servizi pubblici, il sottosviluppo atavico? Ci vorrebbe una radicale politica nazionale a favore del Sud per riuscirci, ma in un contesto così complesso, riusciremo a diventare una priorità, quando una priorità non lo siamo mai stati, neanche nei periodi più floridi della nazione?
Una condizione difficile, quasi disperata, considerato l’inadeguatezza della sua classe dirigente. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, sia chiaro, ma è evidente a tutti ormai che, seppur in un contesto di crisi di leadership che riguarda tutto il paese e, in maniera trasversale, destra, sinistra e movimenti populistici, la classe dirigente calabrese, purtroppo, risulta essere quella più stanca e demotivata, incapace di reagire all’oblio che ha travolto le istituzioni della nostra regione. Tanto più stanca e demotivata, quanto però, incapace di cedere il passo a forze più fresche.
Mario Oliverio per la Calabria ha rappresentato una speranza. I fattori di questa fiducia vertevano sostanzialmente su due capisaldi: esperienza e onestà. Due capisaldi che non sono venuti meno. E tuttavia, al di là di uno sforzo di programmazione che molto probabilmente darà i suoi frutti tra qualche anno, a Mario Oliverio è mancata la determinazione necessaria per attuare quello che egli stesso aveva annunciato nella sua campagna elettorale: rinnovare il sistema Regione. Annientare l’immobilismo burocratico che frena lo sviluppo di questa terra, velocizzare le decisioni politiche, velocizzare la spesa, rendere evidente l’impatto dei fondi comunitari nella trasformazione e nell’attuazione delle strategie economiche per lo sviluppo. Insomma, è mancata la terapia d’urto di cui aveva ed ha bisogno questa terra.Tutte queste cose, ad oggi, sono drammaticamente naufragate. Non c’è categoria economica e sociale che non lamenti il fatto che questo o quel fondo sia bloccato da qualche procedura o da qualche burocrate.
La Regione Calabria appare ai più, irriformabile. A ciò si aggiunga la sequenza di scandali di natura giudiziaria che scandiscono la vita istituzionale e sociale di questa terra e che rompono e ricompongono equilibri. L’ultimo della serie è quello della SACAL. Già, la Sacal è un po’ la metafora del destino di questa terra. La società aeroportuale lametina, infatti, aveva appena compiuto un capolavoro di ristrutturazione economica, aggiudicandosi la gestione dei tre aeroporti calabresi, un miracolo, per una terra come la Calabria, nella quale la frammentazione e la guerra tra campanili sono state la costante dei rapporti tra gruppi dirigenti e leader locali. Un’operazione imponente, sia dal punto di vista economico, destinata a pesare nel futuro degli equilibri calabresi e nazionali e, sia dal punto di vista politico. Il management di quell’operazione però, a pochi giorni da quel successo, è stato travolto dall’inchiesta Eumenidi. Ora le istituzioni calabresi e i soci della Sacal si dovranno misurare nel ricostruire rapidamente un management che sia in grado, con competenza ed efficienza, di gestire la nuova dimensione della Sacal;Un passaggio vitale se si vuole dimostrare alla Calabria, al Paese e all’Europa che questa terra, nonostante i mali atavici, sia in grado di guardare al futuro e non venga travolta dalla sindrome del gambero: un passo avanti e due indietro, una sindrome che ha caratterizzato tutta la storia politica e sociale della nostra Regione.
Per dare un senso alla speranza alla quale si affidava Repaci, dunque, che dobbiamo resistere alle tentazioni antropologiche che hanno determinato la nostra storia. Resistere alla rassegnazione. Resistere alla tentazione di mollare. Resistere alla tentazione della politica del “vaffa” (molto di moda oggi). Resistere alla tentazione dell’individualismo esasperato (da soli non si salva nessuno, al massimo si sopravvive). Resistere alla prepotenza della burocrazia. Resistere alla prevaricazione della corruzione. Resistere alle lusinghe della mediocrità politica. Resistere alla prepotenza delle consorterie mafiose. Resistere alla malagiustizia.
Una resistenza che potrebbe rivelarsi essenziale per un processo di Liberazione culturale, sociale e politico dai vecchi vizi dai quali non risultano immuni pezzi importanti della società civile e culturale della nostra terra. Liberarci dalla cultura del vittimismo. Liberarci dalla retorica antimafia. Liberarci dal professionismo antimafia. Liberarci dalla cultura minoritaria della politica. Liberarci dal moralismo e dai moralisti di convenienza. Liberarci della cultura della subalternità economica, politica e sociale. Liberarci dai demagoghi della politica. Liberarci dagli illusionisti dell’imprenditoria. Liberarci della spettacolarizzazione della Giustizia e della legalità. E’ necessario alle nostre latitudini recuperare il pensiero tante volte dimenticato di un grande meridionalista come Giustino Fortunato che, seppur uomo di destra, affermava: "Un regime di libertà, nel mondo moderno, non è assolutamente compatibile se non col benessere delle moltitudini. [...]”, una frase pronunciata oltre un secolo fa ma che sembra calzare a pennello nel dibattito di oggi sulla crisi della rappresentanza nelle democrazie occidentali, le quali sono di fronte al grande problema su come rappresentare i ceti popolari deboli, sempre più attratti dai movimenti anti sistema alle democrazie occidentali. Un problema che investe in pieno la nostra Regione, soprattutto in relazione della fiducia nello Stato e nelle istituzioni in genere. Grasso che cola per le consorterie mafiose. Da questo concetto bisognerebbe partire per costruire una vera politica antindrangheta nella nostra regione. Meno convegni e parate, più politiche mirate allo sviluppo, alla crescita, all’occupazione, unici veri antidoti all’infezione mafiosa della società calabrese. Ciò, rappresenterebbe la vera “Liberazione” della Calabria, terra che, invece, risulta essere soggiogata dal sottosviluppo e, di conseguenza, dalla ‘ndrangheta.
In conclusione, chiaramente, una buona politica, necessita di buoni politici, e qui, il problema, inevitabilmente, si incrocia con il tema rappresentato dalla crisi della rappresentanza nelle democrazie contemporanee. Ogni popolo ha la classe dirigente che si merita? A volte si, a volte no. Ma bisogna domandarsi: come si forma il consenso nella nostra regione? Purtroppo in maniera pessima. In Calabria, pezzi importanti della classe dirigente sono costruiti dai potentati economici. E in Calabria i potentati economici sono prevalentemente sostenuti e orientati dalla ‘ndrangheta, dalle grande burocrazie corrotte e da pezzi d’imprenditoria spregiudicata che cammina sempre al confine tra lecito e illecito. Il clientelismo rimane tuttavia uno dei mezzi più efficienti per accaparrarsi il consenso. D’altronde in una società fragile dal punto di vista economico non poteva essere diversamente. In un contesto del genere, difficile credere che l’attuale classe dirigente possa demolire i santuari del potere corrotto della nostra Regione. Si rende necessario dunque, nella prospettiva della costruzione di una società calabrese economicamente solida e libera, la forte determinazione della politica, della cultura e dell’economia sana di questa regione, di ragionare, discutere, confrontarsi e disegnare un sistema di selezione della classi politiche, depurato dagli interessi di bottega che abbia l’esclusivo obiettivo di selezionare i migliori e soprattutto i più onesti, nell’interesse supremo della Calabria. Ci riusciremo? Onestamente è difficile prevederlo, comprendo che per certi aspetti, appare un’utopia, tuttavia, se si vuole dare una parola di speranza ai nostri figli ma, soprattutto, dare loro la motivazione ad investire la propria vita in Calabria e non fuggire altrove, bisognerà la forza di farlo.
Marco Minniti, calabrese, da qualche mese è Ministro degli Interni. Lunga carriera politica alle spalle. A detta di molti, si è rivelato il miglior Ministro degli Interni del paese da molti anni a questa parte. Gli oppositori di Minniti in Calabria, sostanzialmente da anni, lo accusano di essere arrivato al potere senza avere consenso. Che tradotto significa non avere clienti e clientele da soddisfare e, quindi, pacchetti di voti da alimentare. I fatti e la storia, si sono incaricati di provare che, la bravura, la competenza, il senso dello Stato, non sono direttamente proporzionali al consenso elettorale, in Calabria e altrove. Molti anni fa, quando Marco Minniti si candidò nel collegio uninominale della sua città, Reggio Calabria, il suo avversario fu un certo Amadeo Matecena, il quale venne eletto deputato,mentre Minniti,venne sconfitto, era il 1996. Oggi Matacena è latitante, Minniti invece, è Ministro degli Interni. Il primo rappresenta la mala Calabria, uno dei tanti che ne ha determinato la rovina, il secondo, rappresenta la buona Calabria, quella che continua a servire lo Stato e il Paese. Il primo aveva i voti e il consenso, il secondo no. Noi abbiamo bisogno della Calabria che sappia pesare e scegliere la sua classe dirigente, che sappia rimettere i valori nel suo ordine naturale. Un lavoro immane. Ma non abbiamo alternativa se vogliamo che l’auspicio di Leonida Repaci: “Utta a fa juornu c’a notti è fatta -. Una notte che già contiene l’albore del giorno”, si realizzi. Buon 25 aprile all’Italia. Buon 25 aprile alla Calabria in attesa di essere liberata soprattutto da se stessa.
Pasquale Motta