Ricorre oggi il 76esimo anniversario del bombardamento che provocò 10 morti, quasi tutti bambini. La ricostruzione di quell'evento sulla base delle memorie di una testimone diretta
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Profonda commozione, unanime sdegno e vasta risonanza provocò il bombardamento della scuola elementare “Gorla” di Milano, avvenuto il 20 ottobre 1944 e in cui persero la vita 184 bambini insieme con le loro maestre. Ma anche Vibo, un anno e mezzo prima, aveva conosciuto la sua piccola “Gorla”, una tragedia di dimensioni più ridotte rispetto a quella di Milano ma ugualmente drammatica, un triste avvenimento rimasto per anni quasi dimenticato.
Alle 17,55 del 12 aprile 1943, l’inferno si scatenò su Vibo Marina: scoppi tremendi, crolli, incendi, fumo, grida laceranti, poi il silenzio agghiacciante.
Una formazione di bombardieri anglo-americani, decollati probabilmente dalla base R.A.F. di Malta, giunsero sull’obiettivo assegnato: il porto e la stazione ferroviaria di Vibo Marina. Lo scopo della missione era quello di interrompere i collegamenti con la Sicilia, verso la quale i comandi militari dell’Asse stavano facendo affluire truppe e materiali in previsione di un possibile sbarco anglo-americano che sarebbe poi avvenuto il 10 luglio 1943 (operazione Husky). Dalla stazione di Vibo Marina, in quel periodo, arrivarono a passare, diretti in Sicilia, 95 convogli al giorno, quasi tutti militari.
Non fu, come si direbbe nel linguaggio di oggi, un “bombardamento chirurgico”, limitato ai soli obiettivi militari, ma un bombardamento a tappeto. Il piccolo centro abitato non venne risparmiato, gli aerei sganciarono anche su di esso il loro carico di morte e distruzione e molte furono le vittime fra la popolazione civile. Alla fine del raid aereo, oltre ai tanti feriti, si contarono 10 morti, quasi tutti bambini. Le bombe, infatti, colpirono anche un asilo e sette bambini rimasero sepolti sotto le macerie, insieme alla loro maestra. Questi i nomi delle vittime: Corso Annunziata (7 anni), De Lorenzo Lucia (11 anni), De Lorenzo Rosaria (5 anni), Lenza Giovanna (14), Sacco Teresa (23), Romano Mariantonia (33), Neri Nicolina, Neri Vincenzo, Neri Anna, Neri Franca (fratelli di 10, 7, 3 anni, l’ultima aveva appena sette mesi, morti insieme alla madre (Mariantonia Romano).
Attraverso i frammenti di memoria di una testimone diretta, all’epoca quindicenne, è stato possibile ricostruire quel tragico avvenimento che tanto dolore e lutto lasciò tra gli abitanti del piccolo borgo marinaro di allora.
«Approfittando della bella giornata di primavera, avevamo steso il bucato al sole, nel cortile della
casa in cui abitavamo, prospiciente al porto. Il mare quel giorno era calmo, ma non i nostri animi; negli ultimi giorni, infatti, era suonata più volte la sirena dell’allarme aereo, posta sul campanile della chiesa. Ci avevano detto che non c’era da temere, in quanto si trattava solo di un aereo da ricognizione inglese, ma che non vi erano pericoli di bombardamento.
Ogni volta, però, che si sentiva la sirena, la gente si riversava per la strada e cercava di mettersi al sicuro dirigendosi verso le campagne che circondavano il paese, lontano dai possibili obiettivi delle bombe: porto e stazione ( non esisteva in paese un rifugio anti-aereo per la popolazione civile n.d.r.).
Anch’io, con mia sorella e mia madre, avevo preso l’abitudine di fuggire verso la collina ad ogni allarme; lì avevamo appreso da alcuni contadini che l’aereo che spesso sorvolava il paese a bassa quota aveva sparato una raffica di mitragliatrice verso un gruppo di inermi sfollati, provocando la morte di una donna: la nostra paura aumentava sempre più , anche perché, tornando a casa, ci eravamo accorti che i proiettili avevano lasciato i loro segni anche sui muri e sulla ringhiera in ferro che divideva la nostra abitazione dalla strada.
Anche quel giorno, dopo l’ennesimo allarme, ci eravamo diretti verso la collina, abbandonando la nostra casa; ma questa volta fu diversa dalle altre. Erano le 17.55.
Improvvisamente udimmo un rombo prolungato e comparve una formazione di grossi aerei affiancati da aerei più piccoli ( bombardieri della RAF scortati dai caccia “Spitfire”). Le batterie contraeree poste a difesa del porto cominciarono a sparare e vedemmo uno di quegli aerei precipitare verso il promontorio di Briatico lasciandosi dietro una scia di fumo nero .
Pochi minuti dopo udimmo un sibilo che sembrò durare all’infinito, poi dei boati assordanti e fummo investite da folate di vento (era l’onda d’urto provocata dall’esplosione delle bombe inglesi da 120 libre).
Una grande nube nera si alzò verso il cielo, coprendoci la vista di quanto stava accadendo. Quando tutto sembrò finito, ci avviammo di corsa verso casa, con il terrore di non trovarla più in piedi. Le bianche lenzuola che avevamo steso la mattina erano diventate nere per il fumo e la polvere, ma la casa miracolosamente non aveva subìto danni. Le strade erano piene di enormi buche e dal porto si alzava una spessa nuvola di fumo che impregnava le narici con un acre odore di zolfo ( era stato colpito un deposito di bachelite dell’esercito e inoltre stava andando in fiamme una catasta di pali di legno, pronti per essere imbarcati).
Dappertutto si vedevano macerie e molte persone riverse per terra, morte o ferite. Dalla vicina chiesa , in mezzo al fumo, intravidi la sagoma di un uomo che correva verso di noi. Era il parroco, don Domenico Costa; la tonaca nera era completamente imbiancata dalla polvere. Dalle grida della madre riconobbi il corpo senza vita di una mia amica: Giovanna Lenza, studentessa liceale. Ancora in preda al pianto, mi voltai e intravidi un uomo tenere in braccio quello che sembrava un fagotto insanguinato : era il corpo martoriato di un bambino. L’asilo era stato colpito da una bomba, a terra giacevano altri piccoli corpi dilaniati (Nicolina, Vincenzo, Anna e Franca Neri, fratelli di 10, 7, 3 anni, l’ultima di 7 mesi, morti insieme alla madre Mariantonia Romano).
Una sensazione di orrore s’ impadronì di noi e corremmo verso casa. Eravamo in guerra da tre anni, ma solo ora avevamo fatto conoscenza con la morte e il dolore”.
Per sette bambini e la loro maestra era finita la vita. Per la nostra testimone, la vita è anche raccontarci la storia di quella tragedia affinché non venga mai dimenticata: “Io credo che le persone scomparse continuino a vivere quando qualcuno le pensa e questi bambini, per il tempo della lettura dei loro nomi ( Lucia, Vincenzo, Anna…), anche se frettolosa, per un attimo è come se rivivessero…».