O’ signur. Hanno già cominciato. Quelli che “noi paghiamo il canone e questo ci sfotte pure”, come se il canone fosse una sorta di tangente per la protezione nazionalpopolare, perché noi siamo la Magna Grecia, perché noi abbiamo millemila anni di storia, e pure la ‘nduja. La ‘nduja, capito? Ergo, non toccate la Calabria, manco per scherzo. Anzi, soprattutto per scherzo.

La performance di Checco Zalone questa sera a Sanremo è una cava di polemiche in salsa piccante. I cavatori sono già al lavoro. Indignati. Offesi. Arrabbiati. Estrarranno tutte le rogne, analizzeranno ogni frase, e rilanceranno sui social il proprio sdegno, impermeabili come argilla al messaggio in filigrana contro l'omofobia che ha rappresentato l'ossatura del monologo.

Il comico pugliese, insieme ad Amadeus, ha messo in scena uno sketch che di certo non passerà alla storia per la sua profondità, ma chi se ne frega mentre digerisci la cena e la palpebra già comincia a calare. Una rilettura di Cenerentola dove la sfortunata pulzella è in realtà un viados brasiliano, Oreste, che sogna il principe e sospira con accento calabro-portoghese in un florilegio di doppi sensi. Ma Fiorenza, la fata di Cusenza, ha in serbo per lui/lei un incantesimo che lo/la porterà al gran ballo.

Poi, allo scoccare della mezzanotte, come da copione, non resta che scappare via, perché quando la magia sparirà un'altra cosa (in basso) ricomparirà. E fa rima con arazzo, ma non è certo un razzo.
Insomma, niente di destinato a restare inciso in maniera indelebile nella memoria dell’Italia sanremese, come Benigni che insidiava le parti basse di Pippo Baudo nel 2002, ma, proprio per questo, nulla di particolarmente originale.

Se non fosse che in un’epoca in cui tutto è vietato e nulla si può dire né pensare, in un momento storico di grande ipocrisia nel quale tutto è pesato con il bilancino della morale mentre l’etica va a ramengo, la sortita di Zalone è una bomba che sputtana in maniera impietosa il politically correct. E, più che un applauso, alla fine va bene anche un rutto sul divano in attesa della prossima canzone.

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