Si chiude il cerchio: il prelibato insaccato potrà viaggiare nel bagaglio a mano. Ma a che prezzo? Anni di battaglie e centinaia di 'nduje perse per sempre. Riflessione semiseria sull'esperienza tragicomica dei passeggeri, costretti negli anni passati a confrontarsi con le implacabili norme di sicurezza
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La ‘nduja può “volare”. La notizia è stata ufficializzata nelle scorse ore: il prodotto simbolo della tradizione gastronomica calabrese potrà essere trasportato nei bagagli a mano dei passeggeri in partenza dagli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone. Una novità salutata con entusiasmo anche dal popolo social e da una valanga di commenti d’apprezzamento e sarcastici. Battaglia vinta? La soddisfazione è a metà, soprattutto per chi “lo sgarro” lo ha subìto sulla propria pelle.
Battaglia vinta | Aeroporti calabresi, la ’nduja sale a bordo: potrà essere trasportata nei bagagli a mano
La ‘nduja nel cestino rifiuti
Era l’alba del 29 gennaio del 2020, aeroporto di Lamezia Terme. Cielo plumbeo in linea con il mio umore da fuorisede di ritorno al Nord. I controlli di sicurezza ispezionarono il bagaglio a mano dove, tra le più amorevoli cure, era stata deposta per il trasferimento in terra lombarda, “lei”. In un sacchetto sottovuoto giaceva la mia gustosissima ‘nduja. Chi vive lontano dalla propria terra lo sa. È la cucina ad avvicinarti a “casa”, a rendere meno dolorosa l’assenza degli affetti più cari. Io e “lei” avevamo tanti progetti. Avevo in mente per la mia ‘nduja un futuro luminoso costellato di pane casareccio e olive nostrane. Un sogno infranto da mano bruta che, intercettando il preziosissimo carico, lo prelevò dallo zaino.
Non mi opposi. Accettai stoicamente il mio destino. Del resto, dura lex sed lex. Le disposizioni allora vigenti vietavano il trasporto dell’insaccato in cabina. Il tonfo della mia amatissima ‘nduja nel cesto dei rifiuti resta, a distanza di anni, una ferita aperta. Chi parla di “battaglia vinta” non ha mai saggiato l’amarezza e la drammaticità di simil sventura. Lo sconforto, lo smarrimento, la certezza di aver subito un torto. Per lenire la sofferenza, scrissi anche un post social, poi divenuto articolo di giornale. L’onda della rete mi abbracciò: tante persone condivisero con me le proprie storie. Una voce, tante voci, un unico grido: mai più.
Guerra vinta, ma a che prezzo?
Sono passati 4 anni e io non dimentico, io non perdono. Nelle mie vene scorre il sangue della gloriosa Magna Graecia: sono figlia della tragedia euripidea. A sua immagine e somiglianza l'implacabile Nemesi (personificazione della vendetta divina) mi plasmò. Potrei esultare oggi davanti al via libera della Sacal? Giammai. La guerra è stata lunga, le battaglie hanno registrato perdite su perdite. Ditemi ora, quante ‘nduje innocenti sono state sacrificate sull’altare delle “norme di sicurezza”? Chi ci ripagherà mai delle privazioni subite, del maltolto? Perché non è stato garantito adeguato supporto psicologico post “separazione”? E non venitemi a dire frasi del tipo “Quante storie, poteva essere trasportata nel bagaglio in stiva”. Stavo per imbarcarmi all’alba su un volo low cost scovato e pagato alla riguardevole cifra di 19 euro, potevo mai prevedere il tragico epilogo e acquistare il surplus per una valigia da destinare alla stiva?
Ebbene, questo 9 marzo celebriamo la vittoria, la fine della guerra. Ma manteniamo vivo il ricordo, oggi e sempre. Affinché mai più si verifichino simili orrori, affinché mai più nessuna ‘nduja trovi la fine nel cesto dei rifiuti di un aeroporto. Saremo sentinelle, vigili e devote. Lo dobbiamo ai tanti insaccati “caduti”.
Ps. Tengo a precisare: l’intervento non vuole essere un’accusa all’operato degli addetti alla sicurezza. Nessuno di loro è stato maltrattato. Al contempo, se mai fosse necessario specificarlo, siamo tutti consapevoli che ci sono sfide ben più serie e urgenti che la nostra terra è chiamata ad affrontare. Il testo vuole essere un racconto tragicomico su un tema, quello della ‘nduja nel bagaglio a mano, che negli anni ha riscosso ampio dibattito.