Lo spartiacque tra la serenità e la precarietà in casa di Maria, ha fatto irruzione nel 2013, portando con sé la lettera di licenziamento da quadro dirigenziale di una multinazionale travolta dall’onda lunga della crisi innescata all’alba del nuovo millennio dalla bolla finanziaria esplosa vigorosamente negli Stati Uniti. Gli strascichi, come un battito d’ali di farfalla, si sono riversati con la furia di un ciclone anche sulla debole economia della Calabria. In un amen, negli occhi dell’affermata impiegata che era riuscita a costruirsi una posizione nonostante la scelta di rimanere a vivere a Sant’Agata del Bianco, nel complesso aspromontano affacciato sulle rive dello Stretto, la serenità e scomparsa. Lasciando il posto all’incertezza, allo smarrimento, alla precarietà.

I giri immensi delle indennità

Nei suoi occhi non si vede più il mare. E non si vede il mare neppure dal suo ufficio del comune di Bovalino, dove ha trovato una ricollocazione nel bacino dei TIS, i Tirocini di Inclusione Sociale, punto di approdo obbligato dopo aver esaurito prima l’indennità di disoccupazione, poi quella di mobilità in deroga. In Calabria sono circa quattromila le persone nelle sue stesse condizioni, dislocate soprattutto nei municipi, ma anche nelle province e nelle Aziende Sanitarie. Il loro obbligo è garantire almeno il settanta percento delle 80 ore mensili previste dagli accordi relativi al loro impiego. Per un sussidio lordo di 700 euro mensili da liquidarsi ogni due mesi da parte dell’Inps, previa rendicontazione dell’ente di appartenenza approvata dalla Regione. E già qui si presenta un primo incaglio: «Perché io sono anche commercialista, ho una esperienza di dirigente nel settore privato, e a Bovalino la rendicontazione la preparo io, sottoponendola poi al mio dirigente per l'approvazione  – spiega Maria Arcadi nel raccontarci il suo percorso da precaria – Ma in molte altre amministrazione, puntualmente la rendicontazione è incompleta o errata. Quindi la Regione la rimanda indietro, magari tramite una pec che nessuno di preoccupa di aprire. Allora il tirocinante comincia a ricostruire il percorso di questo intreccio di comunicazioni per individuare l’ostacolo, trovare la soluzione e finalmente, fare in modo che l’Istituto di previdenza abbia tutte le carte necessarie per procedere finalmente al bonifico. Nel frattempo, invece di pagarsi ogni 60/80 giorni, finisce col ricevere il sussidio ogni 120/140 giorni. Intanto non mangia, non paga le bollette, non vive».

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Rabbia e amarezza

Nella voce di Maria, la rabbia si impasta con l’amarezza. «Di fatto sono una impiegata comunale. Ma ufficialmente il mio è un tirocinio che si protrae ormai da qualche anno, senza contratto, senza contributi, senza possibilità di assentarsi per malattia o per altro eventuale accidente. Non ho figli e questo mi facilita rispetto ad altri miei colleghi alle prese con le incombenze di una famiglia più numerosa. Nel mio piccolo, avendo sposato uno spagnolo, sono dispiaciuta di non avere la possibilità di andare magari qualche volta con lui a trovare i suoi genitori: troppo costoso e per un fine settimana non ne vale la pena». Perché anche nel conteggio delle ore lavorate c’è un retroscena dai contorni perversi: «Il nostro impiego prevede di garantire almeno il settanta percento delle 80 ore su cui il tirocinio è articolato. Se per un motivo qualsiasi, un tirocinante dovesse fermarsi a quota 55, non avrebbe diritto al sussidio per quella mensilità. Soltanto in presenza di un grave impedimento, che so, un ricovero ospedaliero, un incidente stradale, una malattia oncologica, possiamo chiedere una sospensione temporanea del tirocinio. Ma naturalmente in quel periodo non è previsto alcun sostegno economico».

Il concorso revocato

Questi tirocinanti si trovano in una sorta di limbo. Anche perché la loro attività non è compatibile con altri lavori che avrebbero il tempo di svolgere part time. «Ho ricevuto delle proposte occupazionali. Ma a breve termine e sottopagate. Quindi cariche di incertezza e non convenienti sul piano della soddisfazione economica. Preferisco rimanere aggrappata alla speranza di essere un giorno stabilizzata». Ma c’è stato un momento in cui a Maria era sembrato possibile uscire dall’incubo: «Avevo partecipato ad un concorso per titoli e colloquio bandito da un'amministrazione pubblica. Poi me n’ero dimenticata finché una mia amica un giorno mi manda la graduatoria provvisoria. Ero prima, pure con un bel margine di vantaggio nel punteggio rispetto agli altri partecipanti. Non potevo crederci: pensavo fosse una classifica per ordine alfabetico. Invece no: ero proprio in testa per la qualità del mio curriculum. Non ho fatto neanche in tempo a gioire che l’ente ha deciso di revocare il concorso. Ho chiesto lumi sulla possibilità di rivolgermi al Tar per un ricorso, rivolgendomi ad un avvocato. Ma il rischio di perdere e di lasciarci le penne con le spese legali che avrei dovuto affrontare, mi hanno costretto a rinunciare. Più passa il tempo, più mi sento appesa a un filo, più perdo le speranze di trovare una ricollocazione. E di avere in futuro una pensione decente».

Universo variegato

Quello dei Tis è un universo variegato. Ma non l’unico bacino di precariato della Regione. In alcuni comuni operano altri impiegati atipici. E non sono pochi. Quelli regolamentati dalla Legge 15 del 2008 sono circa 330 a San Giovanni in fiore. Oltre cento ad Acri. Ed altri contingenti consistenti si trovano ad Africo e a Longobucco. Cambiano le condizioni di ingaggio, ma la sostanza è analoga. Si lavora in enti pubblici, spesso svolgendo le medesime mansioni di impiegati con cui si condivide l’ufficio. Alla fine del mese però non si percepisce uno stipendio ma un sussidio. E quando si varca la soglia dell’età per il collocamento a riposo, la massima aspirazione conduce verso la pensione sociale. Per i lavoratori della Legge 15 la retribuzione annua è di circa 11 mila e cinquecento euro. Spalmata su dodici mesi fanno poco più di novecento euro. Molti di questi soggetti appartengono a famiglie monoreddito. E naturalmente questo sussidio non consente neppure l’accesso al credito.

Senza di noi i comuni dovrebbero chiudere

Angela (il nome è di fantasia) ha scelto di mantenere l’anonimato. Ma la sua storia vuole raccontarcela, perché affonda le sue radici addirittura al 1999 «quando ho preso parte ad un progetto regionale di riqualificazione urbana, i cosiddetti Pru. Tre anni di contratto al servizio di un municipio, poi il ripescaggio nel 2006 in questo bacino di precariato che va avanti ormai da più di 15 anni. E siamo tanti: se ci fermassimo il comune dovrebbe chiudere». Recentemente a Vibo Valentia si è riusciti a procedere alla stabilizzazione di una parte di queste figure. « Ma quasi tutti noi siamo al servizio di comuni in dissesto e predissesto – sottolinea Angela – I sindaci, se potessero, ci assumerebbero anche domani: riconoscono la validità del nostro lavoro. Ma non hanno le risorse né le autorizzazioni ad implementare le piante organiche». Insomma, vi è sia la necessità delle pubbliche amministrazioni di reperire personale per erogare i servizi pubblici, sia la presenza a macchia di leopardo in tutta la regione di figure ormai qualificate ed esperte, disposte a ricoprire quei ruoli. Ma il paradosso è che queste due esigenze non riescono a convergere. «Per adesso no – dice con una punta di ironia – ma anche il sole e la luna prima o poi riescono ad incontrarsi nel vasto panorama delle congiunzioni astrali. Il rammarico è che questi servizi prestati non sono utili non solo a maturare una pensione decente, ma anche ad acquisire un punteggio utile per spalancare davanti a noi altre opportunità. Siamo dei fantasmi, lavoratori in nero».

Le tante sacche del precariato

Il precariato calabrese si compone poi di altre categorie, in situazioni più o meno drammatiche. Ci sono quelli della Legge 40 del 2017 dislocati tra il Parco del Pollino ed i comuni dell’alto Tirreno cosentino, quelli della Legge 12 del 2010 riconosciuti come precariato storico. Tutti accomunati da un unico destino: niente contributi e niente pensione. «Uno spiraglio si è aperto per i tirocinanti del Miur, del Ministero della Giustizia e del Mibact con il concorso loro riservato per l’assunzione di 1900 soggetti da contrattualizzare per 18 mesi a diciotto ore e pure con le interlocuzioni avviate per consentire a coloro che non hanno superato la prova, di poter ambire a sostenerla una seconda volta, poiché vi sono sia le risorse sia i posti disponibili» dice Gianni Tripoli, segretario generale FeLSA Cisl Calabria. «E però – aggiunge – la selezione si è conclusa già da due mesi, i candidati risultati idonei hanno già presentato le dichiarazioni sui titoli di precedenza e preferenza. Non si ravvisa allora la necessità di ritardare ulteriormente l’assunzione dei vincitori di concorso che, tra l’altro, hanno dedicato anni di impegno e sacrifici all’amministrazione presso la quale hanno svolto i propri tirocini. Queste amministrazioni, dal canto loro, li attendono da mesi giacché non riescono a garantire l’erogazione di servizi efficienti all’utenza a causa delle gravi scoperture di organico. Non resta che procedere con la pubblicazione della graduatoria definitiva e con l’immediata presa di servizio: ci auguriamo subito dopo Pasqua».