Andrea Apollonio racconta a LaC News24 una giornata funesta per il trasporto su rotaia, ai confini della realtà
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
La circolazione ferroviaria in tilt in Calabria ha gettato nello sconforto – ed anche – nella disperazione molti viaggiatori in transito dal nord al sud del Paese. I problemi registrati sulla linea tirrenica, tra San Lucido e Paola, hanno causato enormi ritardi che man mano si sono dilatati nel tempo a dismisura e disagi a calabresi in viaggio e non, su Frecce ed Intercity, alcuni dei quali cancellati e senza il supporto dei bus sostitutivi. Ma hanno innescato anche profonde riflessioni. Come quelle di uno dei tanti fruitori di un servizio ferroviario in panne.
«Non so se l'Italia è stata fatta oppure no (come proclamava Garibaldi), non so se Cristo si sia fermato ad Eboli, più avanti o più indietro (come affermava Levi), so però che l'autonomia differenziata, di cui tanto si parla, è nelle cose: perché l'autonoma - intesa come desolata - disperazione delle genti del Sud, di quelle almeno del profondo Sud, non può essere neppure confrontata con le "differenti" e forse più inclusive e solidali forme d'autonomia di altri luoghi», scrive Andrea Apollonio, autore Rubbettino.
«La faccio breve. Questa mattina, all'alba – è il suo racconto delle peripezie vissute quest’ggi – prendo a Villa San Giovanni un Frecciarossa diretto a Roma. A Lamezia Terme il treno si ferma in stazione: ci avvisano che per avverse condizioni meteo la linea è interrotta. Non passa più nessuno, come dice la filastrocca. Mi stranisco (ci sarà stato pure vento forte, forse anche una tipica mareggiata invernale: ma può una linea ferroviaria – anzi, "la" linea ferroviaria – che collega Nord e Sud, Calabria e Sicilia al Continente – interrompersi per forte vento, per una mareggiata invernale?); eppure, mi dico: arriveremo comunque, anche se con molto ritardo, con i collegamenti alternativi su gomma, come accade – o dovrebbe accadere – in questi casi».
«Niente di tutto questo. Dopo due ore d'attesa sui vagoni (due ore; e una sola bottiglia d'acqua da 20 ml: 10 ml per ciascuna ora d'attesa) ci promettono assistenza e ci invitano a scendere dal treno, perché la corsa è soppressa. Soppressa? Personale delle Ferrovie mi dice serio, guardandomi negli occhi: Bisogna scendere, perché questo treno "dal punto di vista commerciale non esiste più". La realtà mi si decompone davanti. Ancora adesso mi chiedo cosa quell'uomo avesse voluto dire; ma intanto, il treno viene evacuato, senza speranza. E l'assistenza promessa? La stazione di Lamezia Terme è nel frattempo diventata un carnaio di umanità sofferente: mai ho visto, tutte assieme, tante famiglie, anche con neonati, tanti anziani e tante persone bisognose d'assistenza (appunto), tutti lasciati a loro stessi, senza informazioni o prospettive: l'unica onnicomprensiva informazione era che non c'erano collegamenti sostitutivi, che "sopra" non si poteva andare, che qualche treno, prima o poi, ci avrebbe riportato "sotto". Facendo il percorso a ritroso, ci avrebbe riportato indietro. Perché solo indietro si può andare.
L'alternativa? Nessuna. Bivaccare per un tempo indefinito nei pressi della stazione di Lamezia Terme, in attesa che qualcosa possa succedere. Un Armageddon. Molti, in effetti, sono tornati indietro, e tanti altri sono rimasti, ma senza creare confusione, perché le scene che in questi casi si vedono non le ho viste: non ho visto bus essere presi d'assalto, perché non c'erano. Sul piazzale stazionava solo qualche taxi in attesa di fare un lungo tragitto e un buon affare; e, a garantire l'ordine pubblico, una macchina della Polizia di Stato. Ma lo Stato, lì, semplicemente non esisteva. Il viaggio con Ferrovie dello Stato finisce qui. In tutti i sensi».
«Un disagio grande, inaccettabile (almeno per un Paese civile), per le sue cause e per i modi con cui l'ho visto gestire (una generalizzata indifferenza; che definirei meglio rassegnazione, anche negli stessi operatori ferroviari). Ma non è questo il punto. Succede direte voi. Il punto – è ancora il pensiero di Andrea Apollonio – è che su quel piazzale ho visto con i miei occhi il tracollo verticale di un Paese che pure ha nel principio di effettiva uguaglianza (aiuto alla memoria: è l'art. 3 della nostra - e dico nostra - Carta) il suo caposaldo. E questo no, non può succedere. Perché la marea umana sbarcata sui marciapiedi lametini, senza alcuna prospettiva di arrivare a destinazione, si è divisa - i salvati e i sommersi! - in due grandi blocchi: nei rassegnati, negli abbandonati, in chi non aveva i mezzi per proseguire, in chi pensava solo - e ho visto anche lacrime appese agli occhi - a come poter ottenere un rimborso; e in chi invece cominciava ad armeggiare potendo permettersi di spendere cifre importanti pur di utilizzare mezzi alternativi: macchine private, taxi (eccolo, il buon affare!), aerei. Chi scrive ha speso 300 euro (a molti è andata anche peggio) per un biglietto aereo di un vettore regionale in partenza dall'aeroporto di Lamezia; dovevo essere a Roma nel pomeriggio, e così è stato. Ero solo, senza famiglia al seguito, e ho scelto di spendere quella cifra».
«Si dice che sia "compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini...". Ecc. ecc. Ho studiato, e anche giurato, sulla Costituzione: e questo no, non doveva succedere. Io non so se Cristo si è fermato a Eboli, dovrebbe dircelo la Chiesa: so che l'Italia costituzionale, quella unita e solidale, l'Italia che promuove il superamento di ogni disuguaglianza, se pure esiste altrove, si è fermata a Lamezia Terme. Perché io, a prendere quel volo, e a lasciare in stazione tanti altri che vedevano sfumare speranze, progetti o affetti, mi sono vergognato.