Il geologo in diretta su LaC nel corso della trasmissione Dopo la notizia condotta da Pasquale Motta ha rimarcato che in Calabria esistono 140mila case abusive: «Possiamo condonare i volumi ma non la qualità degli edifici»
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«Ho studiato geologia per esorcizzare la paura del terremoto». Carlo Tansi, ricercatore del Cnr, ospite della trasmissione “Dopo la notizia”. Intervistato dal giornalista di LaC Pasquale Motta, l’ex capo della protezione civile regionale, partendo dalla catastrofe che si è abbattuta su Turchia e Siria, ripercorre la storia sismica della Calabria.
«Nel 2023 si può non morire di terremoto», esordisce Tansi. Un’affermazione che sembra stridere con le notizie che arrivano da Turchia e Siria dove al momento si contano più di 5mila vittime. «Quello che voglio dire – si affretta a spiegare il ricercatore del Cnr – è che il terremoto non uccide: sono le case costruite male che crollano e uccidono. Le immagini aeree girate dai droni ne sono la dimostrazione. «Osservate bene – questo l’invito che Tansi rivolge ai telespettatori – accanto a palazzi che si sono sbriciolati in pochi istanti ce ne sono tanti altri che invece sono rimasti in piedi e non si sono neanche lesionati. Questo significa che gli edifici venuti giù erano stati costruiti in modo approssimativo e quand’è arrivato il terremoto non hanno resistito».
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Pasquale Motta chiede a che punto sia l’adeguamento sismico degli edifici pubblici e privati in Calabria. La risposta del geologo, purtroppo, è tutt’altro che incoraggiante e parte dal triste fenomeno dell'abusivismo edilizio «Stime recenti ci dicono che nella nostra regione si contano almeno 140mila case private totalmente abusive. Possiamo condonare i volumi – ammonisce il geologo – ma di certo non possiamo condonare gli abusivismi, non è più tempo di fare i furbi perché si tratta della vita delle persone. Per quanto riguarda gli edifici pubblici – continua il ricercatore – il problema è rappresentato dalla loro mancata agibilità. Penso alle prefetture, alle scuole frequentate dai nostri figli e agli ospedali. Su tutti, quello di Reggio Calabria che sorge sulla parte più pericolosa della Calabria».
Il conduttore, con l’ausilio di fotografie in bianco e nero, rievoca i principali terremoti che, nei secoli scorsi, hanno agitato le viscere della Calabria, lasciando morte e distruzione: le 50mila vittime del sisma datato 1783 e i 120mila morti del terremoto del 1908, a proposito del quale Carlo Tansi chiarisce: «La faglia che taglia in due la Calabria tirrenica continua in mare. Quel terremoto uccise 30mila persone. Gli altri 90mila morti furono causati dal maremoto che si abbatté su Reggio e Messina. Gli abitanti delle due città si rifugiarono sulle spiagge credendo di trovare la salvezza. Il mare invece si ritirò per un chilometro per poi esplodere in tutta la sua potenza distruttrice».
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Di tsunami sulle coste calabresi si è tornato a parlare anche in occasione del terremoto che ha colpito due giorni fa Turchia e Siria. «La Calabria – evidenza il geologo con l’ausilio di alcune slide – si trova esattamente nella zona di scontro tra due continenti. L’Africa spinge contro la placca euroasiatica e noi stiamo in mezzo. Non dobbiamo scherzare con il fuoco perché, così come la Turchia, anche la Calabria è costellata di faglie. In provincia di Cosenza, le faglie sono più corte e di conseguenza i terremoti meno violenti. Man mano che si scende verso Messina, invece, diventano più lunghe e quindi capaci di generare terremoti più distruttivi.
A questo punto, il giornalista Pasquale Motta dedica un passaggio dell’intervista al ponte sullo Stretto e lo fa richiamando una dichiarazione del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Carlo Tansi non ha pregiudizi sul tema, anzi parla di una sfida ingegneristica molto ambiziosa che si può anche accettare. «Premesso che il rischio sismico esiste perché a pochi metri da dove dovrebbe sorgere il ponte passa la faglia che causò il terremoto del 1908, io credo che prima di pensare a costruire quello che sarebbe il ponte a campata unica più lungo del mondo, bisognerebbe preoccuparsi di investire risorse nella messa in sicurezza degli edifici pubblici, altrimenti – conclude Carlo Tansi – continueremo a difenderci dal terremoto come abbiamo fatto finora: con gli scongiuri. E gli scongiuri da soli non bastano più».