Il Sud Italia è stato pesantemente penalizzato, nella sua economia molto identitaria, dalla Ue che per decenni è stata a trazione franco-tedesca. Le regioni del Mezzogiorno, a partire dalla Calabria, rappresentano la componente più artigiana e a dimensione umana del glorioso Made in Italy.

Mi riferisco, in particolare, all’agroalimentare che, come ci dicono i dati ufficiali Istat, rappresenta uno dei fattori trainanti dell’economia e dell’export dall’Abruzzo alla Sicilia. Con Grand Terroir giro in lungo e in largo tra le aziende calabresi che producono cibo, dalle più piccole a quelle più strutturate, in linea con un lavoro iniziato quasi venti anni fa. Posso quindi, per esperienza diretta sul campo, indicare alcuni esempi della tortuosità europea e della maniacale missione iper-regolatrice della burocrazia del Vecchio Continente.

La bellezza struggente dei “cannizzi” sui quali venivano essiccati gli strepitosi fichi della tradizione calabra è stata, ad esempio, una delle vittime sacrificali di un sistema europeo ideologizzato che le ha volute bandire. Attenzione: non ho nulla contro la scienza e la tecnologia, anzi! Ma la scienza e la tecnologia devono essere poste al servizio dell’uomo e dei suoi diritti inalienabili, della salvaguardia delle proprie tradizioni culturali, e non per standardizzare, omologare e appiattire ogni forma di espressione produttiva e culturale, a vantaggio magari dei colossi dell’industria alimentare e delle multinazionali.

Lo strabismo dell’Ue ha contribuito, grazie al finto progressismo sconfitto da Donald Trump negli Usa, a far esplodere tonnellate e tonnellate di bombe in Ucraina e in Russia. Altro che inquinamento! Si è devastato tutto: aria, terreni, falde acquifere: ne pagheremo le orribili conseguenze per almeno un secolo. Eppure il pericolo per la salute umana giungeva dai “cannizzi” usati da generazioni e generazioni di nostri agricoltori per l’essiccazione al sole, con procedimento assolutamente naturale e biologico, degli ineguagliabili fichi mediterranei?

Un sistema europeo sterminatore delle identità locali ci ha imposto paradossi che, al di là della già grave limitazione delle libertà individuali e collettive, hanno danneggiato il valore immenso e altamente competitivo della tipicità del nostro agroalimentare. Fettine di formaggi (o presunti tali), prodotte da industrie senz’altro asettiche ma che usano un’ampia gamma di prodotti chimici (addensanti, coloranti, insaporitori, ecc.), solo perché sterili sono più salutistiche di una ricottina fatta dai nostri pastori in montagna e servita in una irregolare fuscellina di giunco? Ne siamo sicuri? Dove sono i rischi maggiori per la salute umana? Nei formaggi che certa industria vuole poter produrre a base di farine lattee e composti chimici, o nel pieno e guidato recupero delle tradizioni agropastorali silane o aspromontane?

La cultura agroalimentare del Sud Italia è quella delle filiere corte, della materia prima fresca per prodotti altrettanto freschi: dal latte agli ortaggi, dalla frutta al pesce, dalle carni al miele, dall’olio d’oliva al vino… Vogliamo aprire la maledetta questione dell’elasticità estrema e sospetta per granaglie, oli e semilavorati di ogni tipo, arance e pomodori compresi, che giungono dai Paesi ExtraUe mentre i nostri agricoltori sono soffocati dalla burocrazia e dai mille e uno adempimenti quotidiani? Abbiamo trasformato agricoltori, contadini e pescatori in impiegati dediti alle scartoffie, invece che aiutarli a produrre cibo buono. Non apro per carità di patria il capitolo della Sardella calabrese vietata proprio per il sostanziale rifiuto di affrontare il problema in modo razionale e scientifico.

E quindi attenzione. Ecco perché il vice presidente Usa J. D. Vance ha bastonato a giusta ragione i Paesi Ue responsabili essi stessi del loro declino e delle potenti restrizioni alle tante Libertà. Ecco perché Mario Draghi, che certo non è un ultraconservatore, ha spiegato da par suo che la giungla di regole del mercato interno europeo è molto ma molto più dannosa degli ipotetici dazi americani. L’asse franco-tedesco ha avuto per decenni l’obiettivo primario, nei fatti, di indebolire il genio italiano e di rafforzare progetti nazionalistici mascherati da presunte visioni comuni. Ed il segnale molto preoccupante di una persistente logica autoreferenziale è venuto proprio ieri dall’inconcludente vertice convocato da Macron a Parigi. Esistono, ai sensi dei Trattati, precisi organismi europei deputati a occuparsi di ragioni comuni e strategiche che sono stati “invitati” anziché “invitare”.

E per fare che cosa? Per ridare un minimo di visibilità e centralità a un Emanuel Macron di una Francia che da mesi e mesi ha governi precari, e di un Olaf Scholz primo ministro uscente di una Germania che va al voto tra poche ore e che quasi sicuramente gli infliggerà una punizione elettorale di portata storica. Era ovvio che la premier italiana Giorgia Meloni, giunta a Parigi per educazione e garbo istituzionale, fosse in qualche modo in imbarazzo ed abbia invitato a stare in totale sintonia con gli stati Uniti d’America. Il deprimente vertice convocato da Macron all’Eliseo è stato il suggello della mancata partecipazione all’incontro sulla crisi Ucraina che oggi parte a Riad, in Arabia Saudita, tra delegazioni russa e statunitense. Qualora fosse servita una “scusa” credibile, eccola servita su un piatto d’argento. Certa Europa di politici consumati e di burocrati sfuggiti al concetto primario di democrazia popolare la finisca di perdere tempo e di lamentarsi, e rilegga con estrema attenzione i discorsi di J. D. Vance e Mario Draghi!