L’eremita Svami Atmananda, al secolo Piero Bucciotti, 75 anni, è uno spirito inquieto che ha trovato la pace nell’infinito silenzio della nostra montagna. Ha mollato tutto prima di vivere completamente da solo, in un luogo sperduto, senza luce né acqua. Sfamandosi solo grazie al suo piccolo orto. Piero ha vissuto i suoi primi 14 anni ad Orvieto. Ma sono stati anni al quanto turbolenti, difficili. Cercava risposte alle sue ansie vagando per anni per il mondo. Ma non le ha trovate. Perché erano nascoste altrove.

Da 40 anni vive fra le montagne di Cerva, un piccolo paese in provincia di Catanzaro. La sua è stata una felice, ma radicale scelta di vita: vivere in un casolare senza acqua e senza luce. Qui pratica una sua ‘religione’, definita dallo stesso: indocristiana. Si fa chiamare Svami Atmananda, perché Piero non c’è più! Prima di approdare nel suo meraviglioso rifugio calabrese ha vissuto in Israele, Nepal, Shri Lanka, India. E proprio quest’ultimo immenso paese ha definitivamente condizionato il suo modo di vivere, il suo futuro, la sua stessa esistenza.

Non ha nulla, non chiede niente, vive in un perenne stato di grazia. Si sente avvolto nell’infinito, in una forma di beatitudine che noi facciamo fatica a comprendere. L’unica fonte di sostentamento è il suo piccolo orto. Per il resto è assolutamente lontano dal modo di vivere di gran parte dell’umanità: cammina scalzo anche sulla neve, non teme assolutamente di entrare nelle gelide acque del vicino fiume. La sua giornata è caratterizzata dal silenzio, in un clima di pace e serenità, a diretto contatto con "Madre Natura".  

Di lui si sono occupati studiosi e scrittori. Rivelando che Atmananda nasce a Orvieto nel 1948. Ha vissuto un'adolescenza da ribelle. Protagonista della rivolta del Maggio '68 sulle barricate parigine. Le durissime contestazioni si sono poi estese in mezzo mondo, ed hanno portato in lui la forte convinzione dell'inutilità della violenza. Così cambia radicalmente le sue convinzioni, il pensiero, la fede e il modello di vita, annullando la sua mente, fino ad arrivare a definire morto il suo corpo. 

Diventa monaco di clausura a Roma, poi monaco Camaldolese in Toscana. Ma la vera rivoluzione di vita si concretizza nella sua vera vocazione: la solitudine dell'eremita. Va in Abruzzo, poi in Sicilia, per poi scegliere definitivamente il paradiso in Calabria, dove viene invitato dall'allora parroco di Cerva, nella Sila catanzarese.  Come scrive Marco Cannavaro: «Abbraccia la filosofia Advaita Vedanta, la più ardita delle metafisiche trascendentali, che annulla qualsiasi mediazione tra l'atma individuale e l'Essenza Eterna/Dio».

A Natalino Stasi, che lo ha potuto avvicinare nel suo eremo nella Sila Piccola, ha detto misurando le parole e dimostrandosi come in uno stato di grazia: «sono rimasto affascinato dalla solitudine. Quello che conta è il presente». Più che parlare, il ‘maestro’ si esprime con i gesti e usa espressioni, simboli indecifrabili, in un linguaggio dello spirito che sfugge a chiunque.

E ti conquista immediatamente con la sua grande dolcezza: “Com’è vivere qua? Volete sapere com’è vivere qua”? Sorride, allarga le braccia e con grande semplicità afferma: “vivere qua… è”! Spiazzante. Dolcissimo. A tratti perfino ironico. «Da quando sono qua? Non mi ricordo più. 35, forse 40 anni. Nel 1982 sono andato in India. Dal 1984 sono qui, in questo posto abbandonato dove lavoravano le castagne, che ho restaurato io stesso, qui dove mi ha portato il parroco di Cerva, don Mimmo». Il pastillaro, un tempo una sorta di laboratorio delle castagne, si trova in montagna, ad oltre 1000 metri slm. L’eremita lo ha trasformato in una cappella, dove pregare e raccogliersi nel silenzio dell’infinito.

Parla della Sila, della solitudine “che coincide con la beatitudine”, di come in questo posto tutto si trasforma, e ogni cosa si annulla.
«Qui in questa solitudine trascende il luogo, il tempo, lo spazio. E l’eternità ci inonda. I tre principi di ordine spirituale sono: unità, eternità, infinità». Poi tace. Prega. Si ferma. Incanta

Le montagne calabresi furono per secoli il rifugio di tanti eremiti, che cercavano solitudine estrema, in luoghi inaccessibili di preghiera. Tanti eremi sono rimasti nascosti perché inaccessibili, mentre negli anni sono stati scoperti centinaia di romitori, di grotte un tempo abitate, di ruderi di piccoli santuari. Rifugi che si celano tra i magnifici e superbi boschi calabresi. Rappresentano la testimonianza di una straordinaria stagione di monachesimo ascetico, un momento d’incontro tra cristianesimo d’Oriente e cristianesimo d’Occidente. Da San Bruno a Gioacchino da Fiore, la Calabria è stata per secoli il rifugio inaccessibile di quanti cercavano un ponte che unisse la terra al cielo.

Leggi anche

Ma gli eremiti esistono ancora? Ebbene sì, e la Calabria è una delle mete obbligate. Qualche settimana fa vi abbiamo raccontato la storia di Damiano Zavaglia che per 30 anni ha fatto il parrucchiere a Genova dov'era arrivato da Mammola, nel reggino. Ad un certo punto decide di abbandonare tutto e di entrare nell’ordine dei frati cappuccini. Per poi ritornare in Calabria, in un villaggio abbandonato dell’Aspromonte, felicemente abbracciando la vita da eremita. Un’altra storia è quella di Pasquale Talarico,  morto pochi anni fa all'età di 96 anni. Grande parte della sua lunga vita, “zio Pasquale” l'ha trascorsa nella pace, e lontano dai rumori del mondo, fra le splendide montagne della Sila Grande. E non sono solo questi, altre storie di straordinaria ‘follia’ alla ricerca della pace, si nascondono tuttora fra le superbe montagne della nostra terra.