Nella giornata in cui a Roma scoppia la protesta dei ristoratori e anche in Calabria si scende in piazza, Nino Spirlì decide di adottare la strategia dell’equivoco. Messi da parte pipi e patate, stoccafisso all’insalata e carciofi alla besciamella, il presidente facente funzioni della Calabria pubblica un post ambiguo, che lascia credere, a chi lo legge, ciò che preferisce.

Il post stile “dico non dico”

Ecco il post: «In viaggio verso Roma, per chiedere al Governo la fine delle chiusure. Lo ripeto da mesi: non è concepibile tenere incarcerati dentro casa gli adulti e lasciare liberi in giro per paesi e città bambini, ragazzini e giovani studenti». Sembra chiaro, ma non lo è.

Chiudere, chiudere tutto

La premessa, anche se forse appare pleonastica, è comunque d’obbligo. Spirlì è quello che il giorno di Pasqua, cioè domenica scorsa, ha trovato il tempo, tra una pitta china e una pastiera, di emanare un’ordinanza regionale che proclama la zona rossa in Calabria fino al 21 aprile, a prescindere dai dati sui contagi che vengono diffusi dall’Istituto superiore della Sanità il lunedì, come ogni settimana da quando Conte ha consegnato la campanella del Consiglio dei ministri a Draghi. Il governatore tende decisamente per la chiusura come soluzione ad ogni problema, forse nel tentativo di nascondere sotto al tappeto il claudicante andamento della campagna vaccinale (la Calabria continua a essere ultima in Italia per immunizzazioni effettuate) e la non adeguatezza di un sistema sanitario regionale che resta inchiodato a decenni di sprechi e inefficienze nonostante lo shock della pandemia.

La scuola come primo focolaio

Ma su tutto, Spirlì vuole che chiuse rimangano le scuole, sempre e comunque. È noto che della questione ha fatto il suo cavallo di battaglia, incrociando spesso le armi con il Tar, che puntualmente boccia le sue ordinanze e riapre gli istituti scolastici. Insomma, per il facente funzioni, chiudere è la soluzione. Ma il governo, con l’ultimo decreto, ha stabilito che le scuole dovranno restare aperte, fino alla prima media, anche in zona rossa, strappandogli dalle mani la penna con cui firma le sue ordinanze.

Ma oggi chiudere non “paga”

Oggi, però, nella giornata in cui dinnanzi a Montecitorio è spuntato pure lo “sciamano” italiano («Mi volevo far notare, ho preso un sacco di botte»), sostenere il lockdown tout court non è più una strategia molto vincente in termini di consensi: l’esasperazione della gente comune ha raggiunto il livello di guardia e il rombo di una valanga di fallimenti in arrivo riempie già l’aria.

Dunque, il buon Spirlì, che dalla sua bacheca facebook gronda immagini sacre e apparente buonsenso tutto casa e chiesa, conclude il suo post sui social, quello nel quale ha annunciato che era in viaggio per Roma, con una chiosa che sembra il colpo alla botte dopo quello dato al cerchio: «I contagi delle ultime settimane - ha scritto - confermano che i luoghi di contagio NON escludono le scuole. Mentre, da mesi le attività commerciali, artigianali e industriali sono ferme. Inutilmente ferme. E, dunque, non responsabili di contagi».

Due piccioni con una fava

Una volta letto il post in redazione ci siamo fatti una domanda secca: «E che vor dì?». Spirlì non ci ha aiutato. Non ha offerto un’interpretazione autentica del suo pensiero, come avrebbe potuto fare magari rispondendo ai numerosi commenti che immediatamente hanno cominciato a rinfacciarli l’incoerenza di quella posizione. «Ma come, prima impone la zona rossa fino al 21 aprile e poi va a Roma per chiedere di aprire tutto?», è quanto gli hanno chiesto in tanti. Mentre molti altri, forse la maggioranza, hanno voluto leggere in quelle parole da equilibrista ciò che preferivano.

Così, chi è solidale verso commercianti e ristoratori stritolati dalla crisi provocata dalla pandemia, si è complimentato per la “coraggiosa” presa di posizione del facente funzioni a difesa dei piccoli imprenditori. Allo stesso modo, però, incitamenti ad andare avanti senza guardare in faccia a nessuno sono venuti anche da chi invece ritiene che le chiusure, a cominciare da quelle delle scuole, siano la panacea di tutti i mali. I classici due piccioni con una fava. Un esempio di ambiguità comunicativa e politica che lascia insoluto l’interrogativo centrale: ma Spirlì, a Roma, che ci è andato a fare?