Antonio Nicoletti, componente della segreteria nazionale dell'associazione: «Mancano le opere di adduzione e gli schemi idrici». E sugli incendi: «La prevenzione territoriale è fondamentale ma noi ci rifugiamo sempre nella stessa tattica emergenziale»
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Siamo nel pieno del dramma della siccità, previsto e annunciato da anni. E la situazione è destinata ad aggravarsi sempre più. Ma nulla si muove, solo si urla e si impreca. C’è chi chiede la costruzione di nuovi bacini idrici per trattenere l'acqua. E chi pensa ai dissalatori. Praticamente siamo nel panico. Antonio Nicoletti, calabrese, responsabile nazionale aree protette e componente della segreteria nazionale di Legambiente, coordina le attività di Legambiente Natura.
«Siamo nel pieno di una crisi climatica che non viene affrontata, oggi la siccità e la mancanza d’acqua per bere e mantenere l’agricoltura, ma questo inverno ci si lamentava della mancanza di neve sulle montagne per attivare gli impianti di risalita. Segnali evidenti di una emergenza che ci avrebbe colpiti in estate che sono stati ignorati a favore del negazionismo».
Allora servono interventi urgenti, cosa stiamo aspettando?
«Servono interventi di mitigazione e adattamento in grado di rispondere in maniera strutturale alla crisi climatica. Costruire nuovi bacini o dissalatori non è né utile né immediato, serve l’acqua oggi e non progetti che per essere realizzati hanno bisogno di decenni».
Facciamo qualche esempio.
«Cominciamo a usare meglio la risorsa che abbiamo preservando le sorgenti e aumentando la capacità di conservare le acque sotterranee in buono stato. Il passo successivo è scegliere le priorità di utilizzo e il risparmiare cambiando modelli di produzione agricola con maggiore ricorso all’agricoltura di precisione e colture meno idro-esigenti. Non abbiamo notizie dell’aggiornamento del Piano di tutela delle acque della Regione Calabria e l’ultimo monitoraggio ecologico ambientale dei laghi e degli invasi, ad esempio, risale al 2009».
Rimane intatto da anni il problema della diga sul Metramo, realizzata per usi idropotabili nonostante sia piena d'acqua che non può essere utilizzata per fini irrigui!
«Abbiamo una diga che dopo tanti anni e tanti soldi spesi è stata riempita, ma l’acqua non può essere utilizzata perché mancano le opere di adduzione e gli schemi idrici. L’esempio concreto che servono le infrastrutture giuste per trattenere l’acqua, ma anche tutte le quelle per utilizzarla e portare l’acqua buona nelle condotte e fino ai rubinetti di casa. Una vicenda paradossale che forse nasconde qualche altro motivo, perché a raccontarla così sembra una barzelletta»
In Sila esistono alcune dighe nate per usi idropotabili che però rimangono inutilizzate. Per la diga di Votturino e la Diga di Re di Sole (che viene spesso inaugurata secondo una sceneggiata che si ripete da anni) mancano gli schemi idrici e gli schemi di adduzione a valle.
«In Sila siamo abituati alle opere pubbliche abbandonate. Le opere pubbliche incompiute sono un classico della politica degli anni ’70 che ci hanno accompagnati nella nostra crescita e soprattutto nell’indignazione per lo spreco che rappresentano. La diga di Votturino nel comune di Casali del Manco, un bacino artificiale che ha una capacità di oltre 5milioni di mc, realizzata da decenni e lasciata vuota. Anzi, periodicamente viene riempita per inaugurarla salvo poi scoprire che era tutto un set a favore di telecamere».
Dovremmo capire perché non viene utilizzata.
«È un mistero che da anni non riusciamo a penetrare: non è mai stata collaudata, mancano le opere di adduzione, ci sono perdite sulla diga. Insomma tante ipotesi, ma l’unica certezza è il bacino di Votturino vuoto con le vacche che ci pascolano dentro, ma l’acqua non arriva agli agricoltori. Stesso discorso per la Diga di Re di Sole, un bacino artificiale di quasi 2milioni di mc nel comune di San Giovanni in Fiore».
Intanto senza il preziosissimo serbatoio di acqua della Sila, gli agricoltori del crotonese rimangono a secco.
«Si, gli agricoltori sono senz’acqua e si lamentano perché chi gestisce i laghi silani non libera l’acqua e la trattiene per produrre energia elettrica rinnovabile»
È una domanda che si fanno tutti.
«Sarebbe utile ricordare che i laghi silani hanno una funzione produttiva idroelettrica, sono nati per questo e se vogliamo cambiarne l’utilizzo bisogna aspettare che scadano le concessioni e ridiscuterne le condizioni. Sarebbe estremamente interessante iniziare anche qui da noi una discussione sul futuro della gestione dei laghi silani che sta interessando il Paese e coinvolge le norme europee sulla libera concorrenza. Possiamo cominciare a guardare oltre l’emergenza e capire perché dopo un secolo di gestione dei bacini idroelettrici le comunità silane hanno ottenuto le briciole di un business che ha gonfiato solo i portafogli delle multinazionali».
Quindi i benefici sono andati solo a chi sfrutta le nostre risorse idriche.
«Ma la responsabilità è tutta dei sindaci che in tanti decenni non sono stati nemmeno capaci di far nascere un consorzio BIM (bacino imbrifero montano) almeno per concordare una strategia comune per ottenere più risorse».
Preferiscono trattare da singoli amministratori.
«Esatto, anziché aprire vertenze alla luce del sole, si accontentano di quello che viene concesso anziché recriminare quello che spetta alle loro comunità. In questo quadro gli agricoltori che invocano più acqua dai laghi silani, possono sperare solo nella pioggia che manderà il cielo. Se piove!».
Dunque in Calabria manca l'acqua, ma le strutture costruite per raccoglierne quella che abbiamo sono inutilizzate o inutilizzabili. Interessante capire di chi sono le responsabilità. Ne parliamo ormai da un trentennio.
«Innanzitutto l’acqua manca perché la crisi climatica sta mostrando il conto che, in molti casi, viene pagato dai più deboli perché non hanno accesso alle risorse per diverse ragioni. La siccità colpisce di più i territori e le comunità che non si sono organizzate o, come accade da noi, fanno scelte sbagliate e inseguono le chimere (ogni riferimento al Ponte di Messina è voluto) ritardando le scelte più ovvie che servono per bere o produrre in agricoltura. La siccità è un classico calabrese nel senso che, come per altre emergenze ambientali e sociali, mostra i limiti di un sistema che trasforma l’ordinarietà della buona gestione delle risorse idriche in cultura dell’emergenzialità».
Gli incendi. Un altro dramma delle nostre estati. Anche quest’anno ci siamo dentro fino al collo. Nulla è servito. Nulla cambia.
«Gli incendi sono l’altra faccia della medaglia della crisi climatica e l’effetto indotto della siccità che rende più fragili gli ecosistemi forestali e dunque più esposti ai rischi. Ma attenzione, anche qui rischiammo di pagare un conto salato perché le emergenze ci colgono sempre impreparati. La prevenzione territoriale, la gestione sostenibile degli ecosistemi forestali e la pianificazione adattata alla prevenzione, sono strumenti necessaria e ausili di una strategia per prevenire gli incendi che si compone di tante tattiche. Noi però ci rifugiamo sempre nella stessa tattica emergenziale, come se fosse la nostra comfort zone».
La salute del nostro mare allo stato attuale. La depurazione resta uno dei tasti dolenti.
«In Calabria ci sono ancora 188 agglomerati in procedura di infrazione per i quali sono state rilevate situazioni di non conformità ai requisiti della Direttiva sulle acque reflue (91/271/CE) secondo la valutazione di conformità espressa dalla Commissione Europea».
Siamo al punto dello scorso anno e dell’altro ancora…
«Ma con l’aggravante che quest’anno è stata una costante presenza di mucillagine che ha allarmato i bagnanti. Fioriture algali frutto di un eccesso di nutrienti, come azoto e fosforo, conseguenza del loro uso in agricoltura e negli allevamenti».
Intanto in Europa si è finalmente arrivati all’approvazione finale della legge sul ripristino della natura. Indubbiamente una grande vittoria per la tutela della biodiversità. Colpisce l’opposizione del governo italiano a uno dei provvedimenti simbolo dell’agenda verde europea.
«Un risultato insperato e ottenuto con il voto contrario del nostro governo che, ancora una volta, si è posto dalla parte sbagliata della storia scegliendo di perdere una battaglia di retroguardia insieme ad alleati come Orban. La legge sul ripristino della natura è invece un’opportunità per combattere efficacemente la crisi climatica e frenare la perdita di biodiversità. Per l’Italia gli investimenti a favore della natura rendono invece più forte la nostra economia basata sul turismo, la buona gestione del paesaggio e dell’agricoltura di qualità».
Secondo i dati dell'Osservatorio sull'economia del mare "in Italia l'economia del mare ha un valore totale di 161 miliardi di euro, tra valore aggiunto diretto e indiretto, pari al 9,1% dell'economia nazionale. Ma ci troviamo davanti a un settore sempre più a rischio a causa della crisi climatica.
«Un settore che deve puntare sulla innovazione e credere nella transizione ecologica altrimenti, perché la blue economy è importante per l’Italia e per la Calabria. Una Regione che può sperare in una crescita blu sostenibile per valorizzare le risorse naturali e sostenere l’economia dei suoi territori costieri, approfittando anche del ruolo del presidente Occhiuto in seno alla CIM-Commissione Intermediterranea. Una opportunità che non dobbiamo sprecare».