Nel 2080 i calabresi saranno poco più di un milione. Ed è soltanto una parte del problema, quella che “sfonda” le tabelle per emergere nei titoli dei giornali. I dati sul gelo demografico del Sud, però, hanno risvolti anche più preoccupanti: dietro la freddezza dei numeri c’è un futuro drammatico, tracciato da indici che condannano il Meridione all’irrilevanza. 

La Calabria è destinata a perdere, secondo le elaborazioni Svimez sulla base di dati Istat, 804mila abitanti nei prossimi 56 anni: parte di un problema enorme il cui fulcro si nasconde in due indici. Servono ad analizzare gli squilibri intergenerazionali della popolazione. Il primo è l’indice strutturale di dipendenza demografica (Ids), calcolato come rapporto tra popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e popolazione in età attiva (15-64 anni). Per gli esperti, questo indice, è «di pura natura demografica» e «non dà indicazioni sulla sostenibilità economica dello squilibrio tra generazioni». È un altro il parametro che Svimez si propone di usare per valutare le conseguenze della fuga dal Sud sull’economia: l’indice strutturale di dipendenza economica (Idso) che considera i soli occupati tra la popolazione in età attiva.

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Nel 2022 il Centro-Nord registra un valore dell’Ids più elevato di 3 punti percentuali rispetto al Mezzogiorno (che appare, dunque, più giovane). Nel 2080, la situazione si capovolgerà: il divario tra le due aree sarà di 6,5 punti percentuali sfavorevole alle regioni meridionali. Sempre meno abitanti e sempre più anziani

Riguardo all’indice economico, invece, tutte le regioni meridionali segnano valori correnti dell’Idso superiori al 100%. Significa che la popolazione inattiva (per motivi di età) supera già adesso gli occupati. E in futuro sarà sempre peggio. «Al 2080 – segnala Svimez – al Sud lavorerà in media una persona ogni due residenti in età non attiva». Una tendenza che potrebbe precipitare il tessuto produttivo in una crisi irreversibile: «Per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare. Ricomporre gli squilibri naturali accumulati negli scorsi anni e quelli che si manifesteranno nei prossimi richiede anche una attenta politica migratoria inclusiva dal punto di vista sociale e lavorativo».

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Politica migratoria e riequilibrio del divario: se la prima andrebbe affidata a una regolamentazione dei flussi, il secondo rischia di essere seppellito dall’Autonomia differenziata. Favorire la fuga dal Sud sarebbe, secondo quanto ha spiegato il presidente di Svimez Adriano Giannola a LaC News24, addirittura «una strategia, per quanto fallimentare anche per il Nord, perché il Meridione è il suo più grande mercato. Sarà un lento suicidio: l’Italia non cresce da 30 anni e non è certo colpa del Sud». L’idea di trasferire forza lavoro qualificata nelle regioni settentrionali non frenerà l’emorragia dall’Italia verso i Paesi europei che puntano sull’innovazione e offrono stipendi migliori ai laureati. Alla lunga la desertificazione colpirà anche il Nord.

Il processo è già iniziato nelle aree interne che, tra il 2011 e il 2023, hanno perso 753mila abitanti. Lo spopolamento progressivo ha riguardato soprattutto il Mezzogiorno: -525mila abitanti nelle aree interne del Sud (-6,8%), -228mila nel Centro-Nord (-3,6%).

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Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080. Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni, esacerbando gli squilibri già presenti nella struttura demografica soprattutto del Mezzogiorno. Tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0-14 anni), pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il -19,5% del Centro-Nord (-955 mila). La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (-6,6 milioni), nel Centro-Nord di circa un quarto (-6,3 milioni di unità). Il Mezzogiorno, da area più giovane, diventerà l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.

Una tempesta perfetta – demografica ed economica – fa rotta verso Sud: si potrebbe frenare con il welfare, ma l’Autonomia differenziata rischia di azzerarlo. E il Sud, senza argini, ne sarà travolto.