Quello di Laino Borgo è solo l’ultimo incidente mortale di una lunga serie che ha costellato gli ultimi anni: ecco quali. La parola a due dirigenti scolastici: «Viaggi d’istruzione importanti se coerenti con l’offerta formativa». E ancora: «La società ci esorta ad osare, ma dovremmo riconoscere i nostri limiti in tempo»
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La morte di Denise Galatà, la diciottenne di Rizziconi che ha perso la vita durante una gita scolastica mentre faceva rafting con i compagni sul fiume Lao, nel cuore del Parco del Pollino, ha riaperto il dibattito infinito sui viaggi d’istruzione. L’impatto emotivo sull’opinione pubblica di una tragedia tanto inconcepibile quanto dolorosamente vera, ha rimesso al centro della discussione l’utilità e il significato stesso di queste esperienze extrascolastiche, che oggi coincidono sempre più spesso con un momento di svago collettivo nel quale gli obiettivi didattici sono estremamente edulcorati, tanto da rendere a volte grottesca la definizione di “viaggi d’istruzione”.
Dalla gita alla tragedia: i precedenti
È un confronto tra opposte fazioni che va avanti da decenni e si rinfocola ogni volta che si consuma un fatto grave come quello accaduto il 30 maggio scorso a Laino Borgo, che, purtroppo, è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi luttuosi. Grandissimo sconcerto causò, ad esempio, la morte di due studentesse di 13 e 14 nel 2010, rimaste schiacciate sotto una parete di tufo crollata improvvisamente sull’isola di Ventotene. Nel 2014 furono addirittura tre i ragazzi coinvolti in incidenti separati che non tornarono a casa dalle loro famiglie: uno studente morì precipitando da una nave da crociera, una studentessa cadde da una scogliera mentre faceva un selfie e un altro ragazzo perse la vita mentre giocava con un coltello insieme ai suoi compagni. L’anno successivo, nel 2015, uno studente padovano in vista all’Expo Milano, precipitò dal balcone della sua camera d’hotel, così come accadde sempre lo stesso anno a una ragazza greca in gita in Italia. Nel 2021, un 16enne in gita con la scuola cadde battendo la testa durante un’escursione in bici in Trentino.
Dibattito sull'onda emotiva
Sono questi solo alcuni dei fatti più drammatici, a cui si aggiungono gli incidenti anche gravi che non hanno avuto conseguenze fatali. E ogni volta si riapre il confronto, che inevitabilmente finisce per prescindere dai numeri e dalla casistica, che resta comunque statisticamente irrilevante rispetto alle centinaia di migliaia di studenti che ogni anno partecipano alle gite, settore che ha anche un fortissimo impatto sull’economia del comparto turistico. Ma il dolore di una comunità, lo strazio di una famiglia e la perdita di una giovane vita sfuggono alla logica delle statistiche e assumono un valore assoluto non misurabile con freddi numeri e percentuali di Pil.
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La parola ai dirigenti scolastici
Resta però il dibattito, che vede in prima linea ovviamente i dirigenti scolastici, le autorità più esposte alle conseguenze anche giuridiche di una gita finita in tragedia.
Maria Viscone, dirigente dell’istituto omnicomprensivo di Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia, non si esprime contro i viaggi di istruzione, ma lancia un messaggio dal sapore sociologico: «Viviamo in una realtà che ci esorta a osare, a superare i nostri limiti. In generale penso che dovremmo imparare a riconoscerli e a fermarci senza paura di essere considerati deboli o sfigati. È stato doveroso quest’anno organizzare i viaggi di istruzione, i ragazzi non hanno ancora superato il sentimento di fragilità e di solitudine causato dalla pandemia e la scuola ha anche il compito di insegnargli a essere felici insieme. Sul caso di Denise posso solo esprimere il mio dolore, per la ragazza e la sua famiglia, per i compagni, i docenti, la collega dirigente».
A favore delle gite si schiera anche Licia Maria Bevilacqua, preside del Liceo Scientifico Berto di Vibo. «Sull’onda emotiva di ciò che è accaduto a Laino Borgo - afferma - saremmo portati a chiederci perché continuare a organizzare questi viaggi, considerato che, a differenza di quanto accadeva molti anni fa, non rappresentano più l’unica occasione che molti ragazzi hanno per scoprire posti dove non sono mai stati, sia in Italia che all’estero. Eppure restano un importante momento di formazione, ma credo che andrebbero ripensati affinché questa finalità sia perseguita con maggiore efficacia. Innanzitutto incrementando le attività didattiche prodromiche, quelle che precedono il viaggio che dovrà poi trovare riscontri nel lavoro fatto in classe. In quest’ottica, mete e itinerari devono essere coerenti con i piani dell’offerta formativa e le gite non devono diventare un “obbligo”, qualcosa da fare a prescindere dagli obiettivi didattici».
Per Bevilacqua la sicurezza resta la preoccupazione maggiore in fase di organizzazione. «È un aspetto - dice - a cui diamo massima priorità, con riferimento a ogni momento del viaggio d’istruzione. Un obiettivo che può essere perseguito anche con un maggiore coinvolgimento dei genitori, facendo partecipare chi è disponibile ad accompagnare con noi i ragazzi».