Parla Sebastiano Macheda, primario del reparto di Terapia intensiva del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. «Esistono ancora le criticità, ma tante cose sono cambiate in meglio. Liste d’attesa: «In altre regioni sono più lunghe»
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Si scappa. Dalla Calabria si scappa ancora alla ricerca di lavoro, per una formazione diversa o, semplicemente, per curarsi. È una realtà scomoda e difficile da mandare giù ma che caratterizza ancora le scelte di chi, a queste latitudini, deve fare i conti con malattia e sofferenza.
E le motivazioni che portano a quella scelta, spendere di più, viaggiare e allontanarsi per avere certezza e sicurezza nelle cure, sono delle più disparate. Dai tempi di attesa alla mancanza di strumentazione adeguata. E, vista dall’interno, questa decisione non è sempre comprensibile, anzi, tra i camici bianchi è addirittura inspiegabile scappare da una realtà che «ha competenze e capacità adeguate per soddisfare le richieste dei pazienti».
Lo ha detto convinto e in modo netto il primario del reparto di terapia intensiva del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria Sebastiano Macheda. A lui abbiamo chiesto, per avere un punto di vista interno e diverso, quali fossero le motivazioni che, ancora oggi, spingono i calabresi a rivolgersi fuori regione per farsi curare.
«C’è da investire sicuramente sulle risorse – ha esordito Macheda – non solo strumentali ma risorse umane prevalentemente. E questo credo che si sia già pesato e la Regione si sta muovendo in questo senso. Segnali positivi ci sono e non ultimo, proprio qui al Gom abbiamo espletato un concorso per anestesisti e con grande soddisfazione e stupore ha contato ben 31 partecipanti. Abbiamo stilato una graduatoria di 31 anestesisti, sono compresi anche ovviamente gli specializzandi, e a breve sarà pubblicata per cui avremo la possibilità di avere un incremento di professionisti che che sono fondamentali specialmente nella garanzia anche degli interventi chirurgici. Ecco la gente va via molte volte anche per interventi quando in realtà si possono, anzi, si devono fare nelle nostre realtà perché ci sono le competenze per farlo. Quindi è un investimento in questa direzione secondo me che va fatto».
E qui entra in discussione un altro punto fondamentale che per decenni ha rappresentato il nervo scoperto della sanità calabrese: le liste d’attesa. La pandemia non ha fatto altro che esasperare una situazione già tragica. Le attese sono triplicate con personale contagiato e ridotto all’osso e le sale operatorie chiuse. Ma a un anno dalla fine dell’emergenza la situazione sembra essere gradualmente rientrata.
«Anche sotto questo aspetto – ha confermato il primario - si è lavorato tanto per recuperare. Al Gom sono state erogate fino a qualche settimana fa delle prestazioni aggiuntive che hanno consentito di smaltire tanto lavoro arretrato in merito agli interventi. Qualcosa si è mosso ma molto resta da fare. Speriamo di un potere, anche con l’ausilio di un apporto di forze nuove, incrementare anche il numero di interventi e, quindi, ridurre quelle che sono le liste d’attesa».
Ma il nodo relativo agli interventi è solo il primo da sciogliere perché le attese riguardano anche esami specialistici che possono essere salvavita se effettuati nelle giuste tempistiche. «Molte volte ci si lamenta del ritardo nel fare l’erogazione di prestazioni diagnostiche – ha confermato Macheda – ma se va al Nord per fare una Tac magari ci mette una vita. Da noi i tempi non sono così lunghi».
E nel fare un esempio pratico si è toccato un altro punto: negli ospedali calabresi spesso si è costretti a lavorare con strumentazione non adeguata o vetusta. E questo non riguarda solo le strutture hub come il Gom ma anche gli ospedali di territorio che, non disponendo di adeguata strumentazione vanno a confluire in un ospedale già sovraccarico.
«Un rafforzamento o potenziamento anche tecnologico potrebbe essere una delle motivazioni delle migrazioni sanitarie – conferma il primario - ma in realtà ad esempio qui al Gom è in atto proprio una rimodulazione del parco macchine per quanto riguarda la radiologia la neuroradiologia. Un’ala intera dell’ospedale ospiterà le nuove risonanze. Certo, gli ospedali periferici dovrebbero dare una mano, ma anche in questo senso penso si stia lavorando. Il nostro ospedale è sicuramente sovraccarico per dare risposte a tutto il territorio perché negli anni passati, soprattutto, l’Asp è stata deficitaria. Questo fa sì che magari il Gom non riesca a dedicarsi a cure e trattamenti specifici che una struttura spoke non può erogare».
Ed esiste un punto che, anche se potrebbe apparire secondario, influisce nelle scelte di chi, nella malattia, deve decidere a chi affidarsi. Parliamo del rapporto di fiducia e dalla necessaria comunicazione con i cittadini. Un punto dolente che, lo stesso primario ha ammesso: «Su questo è vero, dobbiamo fare di più. È importante far conoscere anche quello che si fa altrimenti si rischia sempre la generalizzazione. Facciamo tantissime cose e magari la gente non lo sa. Abbiamo avuto modo di vedere proprio durante il Covid una solidarietà importante. Abbiamo informato, anche grazie a voi, tanto su quelli che erano i problemi quanto su quello che si faceva in ospedale. Grazie a questo, il rapporto con i cittadini si è intensificato. Ma è un rapporto che va coltivato. I familiari devono avere un contatto che generi fiducia. Il parente deve sapere che il paziente riceve tutti quelli che sono i trattamenti secondo gli standard di qualità»