L'obiettivo dichiarato è quello di eliminare dalla pubblica amministrazione la cosiddetta "paura della firma" e di ridurre i contenziosi. Ma secondo l’Associazione nazionale magistrati e le opposizioni, si tratta di un tentativo di garantire alte soglie di impunità alla politica. La Camera ha approvato in prima lettura la riforma della Corte dei conti, che ora passa all’esame del Senato. Un tentativo, quello portato avanti dal governo Meloni che in queste ore sta trovando l'opposizione di magistrati, associazioni di categoria e sindacati.

«Con l’approvazione della proposta di legge di riforma della Corte dei Conti e del danno erariale - scrive la Cgil, si svuota di poteri la magistratura contabile e si fornisce un vero e proprio salvacondotto a funzionari e amministratori per un uso improprio di risorse pubbliche, a partire dall’affidamento degli appalti ad amici degli amici. Dopo aver di fatto abolito il reato di "abuso di ufficio" oggi il Governo chiude il cerchio a danno di lavoratori, imprese e cittadini, aprendo anche un ulteriore fronte con l’Europa viste la provenienza delle risorse del Pnrr o dei Fondi di Coesione».

La proposta di legge


Il disegno di legge è quello presentato nel dicembre 2023 dall’allora capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, ora ministro per il Pnrr, gli Affari europei e il Sud. L’impianto originario, pensato per superare la burocrazia difensiva e la «paura della firma» con un ribilanciamento delle funzioni della Corte a favore del controllo preventivo e a scapito delle procure, è stato arricchito dai molti emendamenti approvati in commissione, che hanno introdotto salvacondotti per i politici e rinforzato il tetto alle condanne erariali. L’Associazione dei magistrati contabili è nettamente contraria alla riforma che, sostiene la presidente dell’Anm contabile Paola Briguori, rischia di «cancellare il ruolo della magistratura contabile quale garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche».
 

Si introduce la definizione di colpa grave


La riforma introduce una definizione della colpa grave che, si legge nel testo, si incontra quando si verifica «la violazione manifesta delle norme di diritto applicabili, il travisamento del fatto, l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento». La colpa grave non si può contestare quando «la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti».


L'emendamento salvapolitici


Tuttavia, grazie a un emendamento approvato in commissione, la colpa grave è di fatto sempre esclusa per i «titolari di organi politici», quindi prima di tutto per sindaci, presidenti di Regione o di Provincia, assessori e consiglieri regionali, provinciali e comunali. La loro «buona fede», impone infatti il testo, andrà sempre presunta «fino a prova contraria» quando adottano atti «proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi». Nelle amministrazioni tutti gli atti adottati dai politici sono proposti o vistati dai tecnici, i quali saranno di conseguenza gli unici a rischio di danno erariale con l’eccezione dei casi di dolo.


Il tetto alle condanne


Anche quando il dolo e la colpa grave saranno provati in giudizio, la sentenza non potrà mai richiedere la restituzione dell’intero danno erariale. In pratica, ogni condanna conterrà uno sconto di almeno il 70% rispetto al danno accertato, e il bonus salirà quando la retribuzione o l’indennità sono molto inferiori al valore sottratto alle finanze pubbliche dalla condotta illecita. Una riduzione possibile perché sulle somme interverrà un doppio tetto, che imporrà ai giudici di stabilire «un importo non superiore al 30 per cento del pregiudizio accertato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell’indennità percepiti».


Accelerazione della Prescrizione


Tra le novità c’è anche l’accelerazione della prescrizione. I cinque anni che mandano in archivio l’eventuale reato contabile scatteranno infatti sempre dal momento del danno, «indipendentemente dal momento in cui l’amministrazione o la Corte dei conti ne sono venuti a conoscenza». La riforma introduce anche la possibilità, per i casi più gravi, di «disporre a carico del dirigente o del funzionario condannato la sospensione dalla gestione di risorse pubbliche per un periodo compreso tra sei mesi e tre anni». Ma il comma successivo, introdotto con un emendamento, prevede che «l’avvenuto spontaneo pagamento di tutti gli importi indicati nella sentenza definitiva di condanna determina la cessazione di ogni altro effetto della condanna medesima», compresi anche quelli disciplinari.
 

I pareri «salva-colpa»
 

Il testo approvato alla Camera amplia la possibilità per le amministrazioni centrali e locali di richiedere pareri «in materie di contabilità pubblica, anche su questioni giuridiche applicabili a fattispecie concrete connesse all’attuazione» del Pnrr e del Piano nazionale complementare. I pareri vanno resi tassativamente entro 30 giorni dopo i quali scatta una sorta di silenzio assenso giurisdizionale.



Carriere separate


La riforma contempla anche una delega che chiede al Governo di rivedere l’articolazione territoriale della Corte, ripensare i criteri di accesso anche con l’introduzione dei test psicoattitudinali già previsti per la magistratura ordinaria, fissare il divieto di passaggio «dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti».
 

Anm: «Stravolge gli equilibri dello Stato»


L’Associazione dei magistrati contabili, che denuncia da mesi i rischi della riforma, parla di un provvedimento che «stravolge gli equilibri tra poteri dello Stato» e avrà «gravi conseguenze sui controlli per il corretto utilizzo dei soldi dei cittadini».

«Caos organizzativo, impoverimento e svuotamento delle funzioni nella Corte saranno le prime conseguenze di una riforma voluta a tutti i costi con gravi ricadute sui cittadini che hanno il diritto di avere un giudice indipendente, autonomo e garante del corretto utilizzo dei loro soldi», hanno scritto in una nota i rappresentanti delle toghe.