Il primo punto è di carattere sociologico e attiene alla relazione tra esperienze e comportamenti dei singoli in una dinamica di gruppo: la pronuncia della sentenza di primo grado del processo Rinascita Scott è frutto di enormi - e probabilmente non replicabili ­- sacrifici personali; il secondo punto, invece, è di natura strettamente tecnica perché riguarda l’elaborazione di un dispositivo ispirato esclusivamente ai dettami del codice e dei suoi articoli: un provvedimento coraggioso e autorevole in tutte le sue pieghe, anche secondo il parere condiviso di parecchi giuristi.

Antonio Erminio Di Matteo, presidente del Tribunale di Vibo Valentia, si mantiene al di sopra delle contrapposizioni tra le parti in causa e non s’azzarda a esprimere giudizi di merito su una pronuncia dalla portata storica quantomeno alla luce dei numeri messi in campo: tre anni di udienze, centinaia di indagati, un collegio difensivo composto da oltre 600 avvocati, 2000 testi escussi dalla difesa. Udienze condotte (quasi) sei giorni su sette con un ampliamento delle attività lavorative fino a tarda notte e un’efficienza operativa riscontrabile solo nei Tribunali di prima fascia, quelli zeppi di personale. Ma come è stato possibile a queste latitudini e con una struttura giudiziaria da sempre claudicante in quanto a carenza d’organico?

«È stato possibile in larga misura per l’impegno delle persone direttamente coinvolte nel processo», spiega Di Matteo, che aggiunge e chiarisce: «All’inizio era opinione diffusa che la sfida cui era chiamato il Tribunale fosse quasi impossibile. Le cose sono presto cambiate e il merito è delle colleghe che hanno portato a compimento, con altissimo senso di responsabilità e professionalità, un procedimento monumentale. Ritengo che il dispositivo, per ciò che si conosce allo stato e in attesa che vengano depositate le motivazioni, dia piena misura di quanto affermo: l’aspetto tecnicamente più interessante riguarda infatti l’attenzione prestata al dettaglio, alla disamina cioè di tutte le posizioni processuali e le imputazioni. Ho avuto la sensazione di un grande equilibrio e rigore analitico, distacco, equidistanza».

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Una cura del dettaglio che ha portato anche a diverse assoluzioni.
«Sì, certo. E assolvere in procedimenti di questo tipo, dal punto di vista strettamente giuridico, rappresenta un aspetto veramente interessante. Molti di questi processi, in passato, sono stati infatti criticati perché considerati (mi passi il termine, da prendere con le pinze) “sommari”. Nel caso di questo procedimento non penso si possa arrivare a conclusioni di questo tipo. Anzi… E allora ripeto: il lavoro delle colleghe è stato di un livello professionale altissimo. E di questo ne ero consapevole, ma non era scontato per via della complessità generale del processo».

Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Germana Radice, che componevano il collegio giudicante, hanno senza dubbio incarnato alla perfezione il ruolo che viene demandato a chi, in piena autonomia, deve amministrare giustizia. Ma dietro di loro c’è stata una macchina che ha girato alla perfezione. O no?
«Ovviamente. E non posso non ricordare il lavoro degli altri colleghi impegnati in altri processi o del personale di cancelleria, cui riconosco un indubbio merito quasi non secondario rispetto alla parte giudicante. Le sottopongo all’attenzione un dato, che probabilmente spiega tutto: in altri Tribunali in cui si celebrano processi di questo tipo, durante la giornata c’è un’alternanza dei cancellieri. Nel nostro caso non è stato possibile assicurarla. Sa, invece, cosa è accaduto? Che molti hanno affrontato sacrifici personali ritirandosi a Vibo Valentia a tarda sera, pernottando a proprie spese in città pur avendo residenza altrove al solo scopo di essere nuovamente pronti alle udienze del giorno successivo. Ecco: quando si parla di abnegazione probabilmente sono proprio questi gli esempi da mettere in vetrina».

Un manipolo di eroi, è il caso di dire. Ma, di conseguenza, c’è anche l’altra faccia della medaglia: perché il Tribunale non è stato potenziato alla luce di Rinascita Scott e degli altri processi antimafia in corso?
«Qui veniamo al punto della questione. A breve si dovrebbero concludere Petrolmafie e altri procedimenti importanti. Quanto siamo riusciti a fare sino ad oggi non è affatto scontato che riusciremo a garantirlo per il futuro. E questo è un tema serio, e delicatissimo, che impegna tutti gli altri organismi dello Stato. Per ottenere i risultati che mi pare tutti abbiano apprezzato, qualcuno ha dovuto pagare il prezzo di sacrifici personali e familiari enormi. Tutto ciò non deve accadere in futuro. Ci sono stati, non lo nego, anche momenti di conflitto interno per l’organizzazione del lavoro e abbiamo dovuto rimediare a scossoni iniziali proprio a causa degli assetti organizzativi saltati. Ne è derivata una condizione di lavoro difficile per magistrati e personale (anche diverso da quello chiamato a occuparsi di Rinascita Scott). Non sono mancate le lamentele e le azioni in sede sindacale. Insomma, abbiamo vissuto situazioni complesse, che tuttavia abbiamo superato. È chiaro che tutto ciò non debba essere replicato. Noi tutti auspichiamo pertanto che le cose cambino».

E in che modo dovrebbero cambiare?
«Guardi, le faccio comprendere quali ostacoli abbiamo dovuto superare con un esempio che probabilmente restituisce nell’immediato la fotografia delle cose: tra il mese di ottobre 2021 e il novembre 2022, cioè in poco più di un anno, in questo Tribunale tra arrivi e partenze c’è stato un turn over di ben 16 unità su 20. Non c’è molto da aggiungere o commentare. E allora dobbiamo cambiare passo e fare in modo che il congruo rafforzamento del personale invocato, anche temporaneo, soprattutto nel settore della cancelleria e dei ruoli direttivi si realizzi al più presto. Sono stati espletati dal ministero i concorsi per i direttori amministrativi. Sta di fatto che ne mancano 3 su 4. Siamo carenti sul versante degli organi direttivi e il lavoro, qui da noi, certamente non manca. È chiaro che bisogna intervenire concretamente e velocemente».

Ma chi deve intervenire? Il Csm, il ministero, il governo?
«Il Csm, anche dopo i miei appelli e le mie istanze, ha fatto tutto ciò che era possibile fare. A noi serve un vero rafforzamento della pianta organica. E serve che, anche dopo la prova di efficienza fornita con Rinascita Scott, venga data fiducia a un ufficio storicamente considerato di periferia ma che, nei fatti, resta centrale rispetto alle esigenze collettive di (ri)affermazione della legalità. Per raggiungere i risultati ottenuti abbiamo dovuto sacrificare altri settori, nel campo civile. Ed è la cosa che mi è pesata di più. La considero inaccettabile, perché la nostra finalità resta una soltanto: dare seguito alla sete di giustizia dei cittadini».

Ma non sarà così facile, considerato che il dibattito sulla giustizia resta incentrato sullo scontro aspro, tutto politico a quanto pare, tra Governo e magistratura…
«Guardi, mi sarei aspettato una maggiore attenzione da parte della stampa nazionale sul “caso Vibo Valentia” e sugli esiti del processo Rinascita Scott; su ciò che abbiamo realizzato qui, cioè. Non entro nel merito delle questioni e delle polemiche politiche in corso. Ma penso che la stampa nazionale debba orientare anche correttamente il dibattito, ponendo maggiore attenzione sui problemi concreti di cui ci stiamo occupando, che continuo a ritenere concreti e prioritari. Le vere emergenze attorno alle quali sviluppare un confronto aperto per proporre (e porre) soluzioni alla portata».

Lei è calabrese e in Calabria ha iniziato la carriera da uomo votato alla legge. È stato a Firenze, Napoli e Salerno prima di rientrare nella sua terra. L’ha trovata cambiata, migliorata, cresciuta rispetto a trent’anni fa quando muoveva i primi passi da giovanissimo pretore sul Tirreno cosentino?
«Non posso dire che sia stata invertita nettamente rotta. Sotto alcuni aspetti, anche sociali, in realtà ho notato una certa regressione. Tanti anni fa, anche quando vivevo la Calabria da studente liceale, questa terra era più vitale e reattiva, nonostante i tanti mali che la affliggevano. Oggi dobbiamo appigliarci alle poche cose positive che ci circondano. Quanto fatto qui al Tribunale di Vibo Valentia, tra le mille difficoltà che ho appena illustrato, rappresenta un segnale di speranza. Comprendo che non tutti i cittadini abbiano netta percezione dei sacrifici che abbiamo fatto. Ma il nostro impegno non deve venire meno anche se la Calabria che viviamo non è ancora quella che vorremmo vivere».