Alla guida dell’associazione Civitas, critica l’operato del Governo e avverte: «Serve un confronto pacato, lontano da scontri frontali o attacchi personali. Bisogna preservare l'equilibrio tra poteri»
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La riforma della giustizia non è qualcosa che riguarda solo gli addetti ai lavori. E a Reggio Calabria il dibattito, fortunatamente, rimane vivo e acceso. Un percorso che coinvolge l'Italia intera e che sta per cambiare il futuro della nostra nazione. A prendere posizione ai nostri microfoni è stato l’ex presidente del Tribunale di Reggio Calabria e presidente dell’associazione Civitas, attiva nella provincia reggina, Luciano Gerardis. A lui, che dal suo osservatorio privilegiato conserva la memoria, vive il presente con partecipazione e guarda al futuro, abbiamo chiesto di dare una lettura a quello che rischia di andare oltre la riforma per diventare un cambiamento epocale.
Lei, come tanti altri ex magistrati e giuristi, sia civilisti che penalisti, vi siete espressi in maniera abbastanza severa. Probabilmente, anche dal suo ruolo di memoria storica, ha dato un giudizio molto critico sull'operato di questo Governo. Avete parlato di un ritorno a un governo sovranista. Ecco, qual è il rischio che si sta correndo con la riforma della giustizia che il governo attuale vuole portare a termine?
«Quel documento era, più che altro, un atto di solidarietà e vicinanza verso quei colleghi che, in questo momento, sono stati ingiustamente posti nel mirino per avere fatto semplicemente il loro dovere, in materia, come lei sa, di immigrazione. Noi abbiamo detto che i magistrati non vogliono conflitti con nessuno. Cercano solo di fare la loro parte, ma vogliono poterlo fare nel proprio ruolo. Vede, il sistema costituzionale prevede un equilibrio tra i poteri. Questo equilibrio è fondamentale. Significa che ogni potere deve restare autonomo e indipendente. Anche la magistratura è un ordine indipendente e autonomo, come espressamente stabilito da un articolo della Costituzione. Questa autonomia e indipendenza vanno salvaguardate. Il magistrato vuole semplicemente svolgere il proprio compito, che è quello di applicare la legge, interpretandola, come è suo dovere fare».
Ora, che cosa si è verificato?
«Ci sono stati attacchi personali, preceduti certe volte anche da dossieraggi, a quanto pare, nei confronti di singoli magistrati, la cui unica "colpa" è stata quella di aver fatto il proprio dovere e di aver interpretato una norma in modo forse non conforme alla volontà di chi, in quel momento, esercitava un altro potere. Questo non va bene. Un provvedimento va criticato nel merito, giusto o sbagliato che sia. Quello che non si può fare è attaccare la figura del singolo magistrato. Un magistrato, quando sceglie questa strada, compie una scelta di assoluta equidistanza. Se, per il semplice fatto di fare la propria parte, un magistrato viene poi attaccato sul piano personale e accusato di rappresentare una politica parziale, si commette una grave offesa. Al di là della critica legittima ai provvedimenti, non è accettabile attaccare la persona. Come magistrati in pensione, 192 di noi hanno sottoscritto quel documento per esprimere solidarietà a chi viene attaccato sul piano personale e per sottolineare una problematica più ampia: l’equilibrio e l’autonomia tra i poteri. Temiamo che un’interpretazione pesante di un potere su un altro alteri l'equilibrio costituzionale».
Ecco, presidente, tra le problematiche sollevate in quel documento c’è anche la libertà di stampa. È una questione che ci riguarda direttamente: si parla di una cosiddetta legge bavaglio, che non incide tanto sulla carriera dei giornalisti quanto sul diritto all’informazione e alla verità a cui hanno accesso i cittadini. Quanto diventa parziale, secondo questa nuova riforma, l’informazione che i cittadini avranno?
«Questo aspetto è strettamente legato al discorso sull'equilibrio costituzionale. Un sistema democratico si fonda non solo sull’attività libera dei poteri costituzionali, ma anche sul ruolo di controllo legittimo e democratico esercitato da organismi come il giornalismo libero. Come avrà notato, ci sono stati attacchi pesanti contro singoli giornalisti, accusati, persino da uomini politici, di essere “infami” solo per aver svolto il proprio lavoro. Tali attacchi rischiano di delineare uno squilibrio rispetto al disegno democratico voluto dal nostro costituente».
È stato detto che questa riforma rischia di intaccare il sistema democratico, lo pensa anche lei?
«Io penso che siano necessari momenti di riflessione pacata, lontani da atteggiamenti di scontro frontale. Ripeto: il magistrato non ha altro interesse se non quello di fare la propria parte, bene o male che sia. Inoltre, ci sono provvedimenti che dicono semplicemente che una norma ordinaria va subordinata alle norme sovraordinate, come la Costituzione e i principi di diritto internazionale. Quando un magistrato verifica la legittimità di una norma italiana rispetto a questi principi, sta semplicemente facendo il proprio dovere. Lo stesso discorso vale per i giornalisti. Il giornalista esercita un ruolo fondamentale in democrazia, perché svolge un controllo sull'operato di qualsiasi pubblico potere, compresa la magistratura. È fondamentale mantenere il dibattito su un terreno corretto, senza attaccare la figura personale di chi scrive o afferma un principio».