Unanime è stato l’auspicio di una legge nazionale che uniformi l’operato delle procure e dei tribunali per i minorenni nell’attuazione del percorso Liberi di Scegliere, volto a dare nuove possibilità di vita ai minori cresciuti in contesti mafiosi. Condivisa anche l’urgenza per tutelare le donne e i minori coinvolti nei percorsi e che necessitano di allontanarsi da casa in sicurezza. 

L’occasione è stata l’iniziativa dal titolo “Il protocollo Liberi di Scegliere e l’entropatia dei nuovi orizzonti di possibilità”, svoltasi questa mattina presso l’aula magna Quistelli dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria. Riflessioni congiunte tra passato, presente e futuro, responsabilità ed impegno di questa rete di protezione in crescita sono state al centro di questo incontro promosso da Libera, in stretta collaborazione con il dipartimento Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane Digies dell’Università Mediterranea, e moderato da don Giorgio De Cecchi, coordinatore nazionale del protocollo Liberi di Scegliere per Libera.

A Reggio Calabria un decennio fa i coraggiosi provvedimenti di allontanamento dalle famiglie mafiose adottati dal presidente del Tribunali dei Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, oggi di servizio a Catania. Quelli furono i primi passi verso la costruzione di alternative a un destino segnato dall’appartenenza mafiosa e dalla violenza che da essa discendeva. Un percorso oggi di portata nazionale, sorretto da una progettualità in espansione e divenuto uno strumento potente di contrasto alle mafie. Un percorso che da tempo necessita di una legge ad hoc.

Dopo i saluti del rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Giuseppe Zimbalatti, della vicaria della prefettura di Reggio Calabria Maria Stefania Caracciolo e del referente regionale di Libera Giuseppe Borrello, gli interventi hanno tracciato i tanti obiettivi  ancora da raggiungere.

Le parole accorate di don Ciotti

Le conclusioni sono state affidate a don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera. Nel silenzio di un ascolto pieno di partecipazione attiva ed emotiva, che la sua passione civile e la sua credibilità ancora sanno destare, ha richiamato tutti alla «responsabilità di fare la propria parte. Non bastano i protocolli. Occorre che la politica faccia ciò che deve. Si attende da tempo e adesso deve fare in fretta. Lo ribadisco proprio qui dove fu don Italo Calabrò, nel suo confessionale, a raccogliere il dolore delle madri negli anni Ottanta. Madri che volevamo per i loro figli un futuro diverso e libero dall’oppressione mafiosa. Non possiamo fermarci al protocollo».

«Sempre qui a Reggio negli anni Novanta già il presidente del tribunale per i Minorenni, Ilario Pachi, aveva attenzionato i giovani reclutati dalle mafie e la necessità di intervenire per tutelarli. Anni dopo l’operato virtuoso del procuratore Roberto Di Bella ha aperto la strada al protocollo che non può però bastare. Oggi abbiamo ancora tanto su cui lavorare per garantire i percorsi di rinascita ed è urgente farlo senza più indugi», ha ribadito don Ciotti.

«Con umiltà accompagniamo e ascoltiamo da tempo tante madri, calabresi ma non solo. Il fenomeno è trasversale come il coraggio di queste donne che ancora una volta, come fecero nelle piazze delle più feroci dittature del mondo, sono le protagoniste della storia. Sono loro che si ribellano e dicono basta per salvare i loro figli. Oggi ancora non riusciamo a garantire un percorso in sicurezza a queste donne e ai minori. Occorre una norma che disciplini il cambio anagrafico in queste circostanze affinché la rinascita, prospettiva positiva e radiosa di questo progetto, non sia compromessa, ostacolata, addirittura brutalmente interrotta, come è già accaduto. Dobbiamo creare le condizioni affinché la loro vita confiscata, come quella dei loro figli, possa liberarsi in modo definitivo e sicuro. La politica faccia in fretta. Noi continueremo a fare la nostra parte. Noi, perché non esistono navigatori solitari in questi viaggi e lo faremo con il supporto di altre realtà e associazioni», ha sottolineato ancora don Ciotti.

Provvedimenti legittimi e necessari

«Il protocollo Liberi di scegliere è uno strumento essenziale per il contrasto alle mafie. Quando nel 2020 ho raccolto l’eredità di Roberto Di Bella, mi sono soffermato sulla negatività che era stata, senza alcuna giustificazione, associata ai provvedimenti di allontanamento dalle famiglie dei minori di cui si aveva contezza dei profondi condizionamenti delle scelte e delle disfunzioni genitoriali con riverberi gravissimi sul percorso educativo. Si parlò addirittura di deportazione? Il loro valore è stato ed è invece positivo, direi essenziale per costruire alternative, con la consapevolezza che nessuna decisione è assunta senza che l’ordinamento lo consenta e senza un’accurata analisi della situazione dei minori, caso per caso. Non vi è alcun automatismo in ragione del solo cognome. Come Stato dobbiamo garantire la possibilità di smarcarsi per avere possibilità di vita diverse. Come Stato dobbiamo anche lavorare perché all’allontanamento seguano poi risultati concreti di riscatto e nuove opportunità di vita». Così il presidente Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria Marcello D’Amico.

«Questo protocollo afferma la forza dello Stato capace di accompagnare chi voglia uscire da un contesto criminale. Il suo impatto è importante e rilevante visto che la logica mafiosa si nutre di prestigio dato dal concetto distorto di onore e dall’unità familiare che questo protocollo compromette, incidendo proprio su quel contesto, offrendo alternative ai minori». Così il procuratore capo della Repubblica di Reggio Giovanni Bombardieri.

La sfida culturale e l’urgenza di una legge

«Recentemente, nel solco della necessaria collaborazione con la Dda, ci è stata sottoposta una intercettazione e in cui una bambina a colloquio in carcere con il padre, un boss, posta sul tavolo della sala si è messa a ballare e a cantare “W la ‘ndrangheta”. Metteva in mostra dinnanzi al padre quanto avesse imparato nel giorno della festa della donna. Queste le situazioni che troppo spesso sono sottoposte alla nostra attenzione e che evidenziano la necessità di intervenire a livello culturale. Lo Stato non può fare passi indietro ma deve assicurare alternative a questi minori. Stabilizzare normativamente questo progetto contribuirebbe a questo e garantirebbe la sua attuazione in tutto il Paese, perché il fenomeno è diffuso». Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria Roberto Di Palma.

Dello stesso avviso è il presidente di sezione presso il Tribunale di Reggio Calabria Giuseppe Campagna che ha riferito di «un recente accesso al progetto di una donna con i figli che dovrà lasciare Reggio Calabria. Nel luogo in cui dovrà essere trasferita la procura e il tribunale sono tra quelli che hanno aderito al protocollo? Il problema esiste e richiede soluzioni tempestive e urgenti».

Le risorse umane e finanziarie

Una legge nazionale certamente garantirebbe anche la copertura finanziaria. «Al momento al protocollo è assicurato solo un supporto della Cei. Questo è anche un aspetto sul quale intervenire al più presto. Il contributo del volontariato e del Terzo Settore è essenziale ma non può essere sufficiente. Non si può sostenere questa sfida, visto anche l’incremento dei numeri che si attendono anche con l’estensione del protocollo». Lo ha sottolineato Patrizia Surace, reggina e coordinatrice nazionale del protocollo Liberi di Scegliere per Libera.

«La stessa presidente della commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo ha impegnato tutti a un’accelerazione sulla legge. Avvieremo le audizioni sui territori perché gli aspetti di interesse sono molteplici e complessi. Il lavoro che si sta facendo in Parlamento non è solo quello di sottolineare la necessità e l’urgenza di questa legge ma quello di tracciare i suoi orizzonti in termini di formazione e risorse. C’è un impegno preciso. Dobbiamo dialogare e fissare ciò che occorre». Così la senatrice del Pd Vincenza Rando, intervenuta da remoto.

Il ruolo dell’Università

L’incontro ha messo anche a nudo la necessità di risorse umane, partendo dagli assistenti sociali, e finanziarie per fare fronte alla sfida che investe anche l’università sotto il profilo della formazione e della sua terza missione.

«Ribadiamo la necessità di lavorare dal punto di vista culturale per contrastare le logiche mafiose. La nostra studentessa Federica Punturiero, figlia dell’imprenditrice vittima di mafia, Maria Chindamo, ha ricordato in apertura del nostro anno accademico, che “la ‘ndrangheta teme di più la cultura che non la giustizia”. Noi ci siamo», ha sottolineato il rettore della Mediterranea, Giuseppe Zimbalatti.

«Ci proponiamo di offrire anche strumenti di formazione utili al progetto come il corso di Progettazione pedagogica e gestione dei servizi educativi per i minori. Ciò consentirà l’acquisizione di competenze da spendere in questi delicatissimi ambiti per vincere una sfida che chiama tutti in causa», ha evidenziato il direttore del dipartimento Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane Digies dell’Università Mediterranea, Daniele Cananzi.

Il rinnovo del protocollo

Cresce la rete di protezione sociale a tutela dei minorenni provenienti da famiglie mafiose e dei familiari, spesso madri, che si dissociano dalle logiche criminali.

Prima di Pasqua presso il ministero della Giustizia in via Arenula è stato rinnovato, estendendosi a nuovi uffici giudiziari e a nuove associazioni, il protocollo “Liberi di scegliere”, volto ad assicurare una alternativa di vita ai minori provenienti da contesti di criminalità organizzata e alle loro madri che rifiutino le logiche mafiose.

Agli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria e Catania, si sono aggiunti anche quelli della Corte d’Appello di Napoli e Palermo, e associazioni coordinate da Libera, nomi e numeri contro le mafie.

A firmarlo i ministri della Giustizia, Carlo Nordio, dell’Interno, Matteo Piantedosi, dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, e le ministre dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, e per la Famiglia, natalità e pari opportunità, Eugenia Maria Roccella. Con loro anche il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, e il segretario della Conferenza episcopale italiana, don Gianluca Marchetti. Insomma attraverso un protocollo interistituzionale, e non ancora con una legge nazionale, cresce e si rafforza nel nostro ordinamento questo percorso la cui intuizione e prima coraggiosa sperimentazione furono di Roberto Di Bella, quando dieci anni fa era presidente del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.

«Sono 150 i minori tutelati, 30 le donne entrate nel progetto, di cui 7 sono divenute collaboratrici o testimoni di giustizia. Ci sono inoltre anche due ex boss di ruoli apicali di ‘ndrangheta e mafia che hanno avviato percorsi per proteggere i loro figli», ha spiegato Roberto Di Bella, oggi presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, in occasione del rinnovo della sottoscrizione del protocollo lo scorso 26 marzo.

I primi passi a Reggio Calabria

La centralità dell'esperienza di Reggio Calabria nel panorama più ampio di prevenzione del crimine mafioso era stata sottolineata anche nel 2017 quando la sottoscrizione del primo protocollo ebbe come cornice proprio la sala di rappresentanza della Prefettura di Reggio Calabria, alla presenza degli allora ministri dell'Interno Marco Minniti e della Giustizia Andrea Orlando.

Un'esperienza pilota avviata proprio in riva allo Stretto un decennio fa. Erano i tempi dei primi coraggiosi provvedimenti adottati dal presidente del Tribunali dei Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, di allontanamento dalla famiglia mafiosa e di sospensione della potestà genitoriale, dunque atti temporanei che tracciavano e continuano e tracciare profili di contestuale attenzione verso il recupero di una sana e anch'essa "libera" genitorialità. Provvedimenti che tanto fecero discutere e che furono anche molto criticati.

Essi erano però necessari pet offrire nuove occasioni di vita a minori altrimenti condannati a un destino segnato in modo drammatico.

Del ruolo delle madri nel progetto Liberi di Scegliere il giudice Roberto Di Bella aveva acquisito consapevolezza fin dal principio. Al momento del suo insediamento presso il tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria nel 2011, la cronaca consegnava la storia drammatica della giovane testimone di giustizia di Rosarno, Maria Concetta Cacciola “suicidatasi” nel bagno di casa ingerendo acido.

Da questa esperienza pilota di oltre dieci anni fa nacque un protocollo nazionale che periodicamente si rinnova e si rafforza e che aspira ad essere consacrato in una legge di Stato.

Un progetto arrivato nelle scuole grazie all'impegno dell'associazione culturale Biesse di Reggio Calabria e che da giugno in Calabria è diventato legge regionale con un finanziamento di 5 borse di studio da duemila euro. Si tratta della prima legge in Italia che si occupa specificamente dell'impatto sulla vita dei minori della criminalità organizzata.