Non è solo un rischio per le tante attività che verrebbero paralizzate da un’eventuale diffusione nella nostra regione: la peste suina è anche un rischio, grosso, per le aziende che si occupano di allevamento di maiali. Il virus, infatti, non rappresenta un pericolo per la salute dell’uomo ma per la sua economia sì e in particolare per quell’economia che gravita attorno al settore suinicolo, visto che a essere colpiti sono tanto i cinghiali quanto i maiali d’allevamento.

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La peste suina e i rischi per gli allevamenti

«La peste suina africana causa gravi ripercussioni sulla salute della popolazione animale interessata e sulla redditività del settore zootecnico suinicolo. A quest'ultimo proposito, si rileva che la malattia ha un'incidenza molto significativa sulla produttività del settore agricolo, a causa di perdite dirette e indirette, con possibili gravi ripercussioni economiche in relazione al blocco delle movimentazioni delle partite di suini vivi e dei prodotti derivati». È quanto si legge nel dca del 30 agosto scorso, il decreto del commissario ad acta alla Sanità che dispone il piano di abbattimenti dell’82% dei cinghiali presenti sul territorio regionale per prevenire la diffusione del virus.

La mappa degli allevamenti in Calabria

In Calabria sono 13.682 gli allevamenti suinicoli, la maggior parte dei quali dislocati tra le province di Reggio (4.686) e Cosenza (4.638). Un’altra fetta consistente si trova a Catanzaro (3.266), per finire con Vibo (972) e Crotone (120). I dati, in possesso del Dipartimento Agricoltura regionale, sono stati estratti dalla Banca dati nazionale dell’Anagrafe zootecnica istituita dal Ministero della Salute al Centro servizi nazionale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise.

Più del 95% di questi allevamenti è a indirizzo familiare, ossia con una produzione destinata all’autoconsumo. Sono questi i luoghi a cui la Regione ha attribuito un fattore di rischio maggiore «perché – si legge in uno degli allegati del dca – l’allevatore non è professionale e i ricoveri sono di fortuna». Maggiori, dunque, in caso di diffusione del virus, sarebbero le possibilità di venire a contatto diretto o indiretto con l’infezione. Su un totale di 13.077 allevamenti di questo tipo in tutta la regione, 4.530 si trovano nel Reggino, 4.334 nel Cosentino, 3.215 nel Catanzarese, 934 nel Vibonese, 64 nel Crotonese.

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Le zone a rischio in Calabria

Ciò che resta del totale – parliamo di 605 aziende – sono allevamenti da riproduzione. Per questi ultimi l’analisi del rischio nei vari territori comunali tiene conto di uno specifico fattore che riguarda la tipologia di allevamento: a ciclo chiuso o aperto. Nel primo caso il rischio è minore perché le movimentazioni dei capi di bestiame sono ridotte (tutte le fasi, dalla riproduzione alla macellazione, avvengono all’interno); nel secondo è maggiore in quanto si effettuano movimentazioni (acquisto e vendita) sia di esemplari riproduttori che di prole.

In base a un fattore di rischio che va da 0 a 31 è stata dunque stilata una sorta di classifica che vede in cima il comune di Acri, con 12 allevamenti da riproduzione sia a ciclo aperto sia a ciclo chiuso e il massimo punteggio. Sul “podio” anche altri due comuni del Cosentino: Fuscaldo e Lattarico, con un punteggio di 23. Seguono, nel range che indica il rischio maggiore (17-31), San Luca e San Marco Argentano, via via a scendere fino a un rischio minimo di livello 2, che riguarda i comuni sui cui territori è presente un unico allevamento a ciclo chiuso.

Un rischio, è bene sottolinearlo, frutto solo di un’analisi dei dati rilevati ed esistente, al momento, solo su carta visto che non risultano in Calabria casi di peste suina, finora rimasta circoscritta a Piemonte, Liguria e Lazio. Ma un rischio comunque concreto, sul quale la Regione – in ottemperanza alle disposizioni nazionali – ha deciso di intervenire in fretta licenziando il piano che nel giro di 5 anni dovrà ridurre drasticamente la popolazione dei cinghiali e con essa il pericolo di una diffusione del virus.