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"L'arringa" difensiva del senatore Antonio Caridi è forse uno degli aspetti meno tristi da registrare, al termine di una lunga giornata di lavori a palazzo Madama.
In fondo, l'ex assessore regionale non ha fatto altro che mettere insieme tutti quegli elementi che un qualsiasi bravo avvocato penalista avrebbe potuto e dovuto fare, durante un intervento, difensivo in un'aula di Tribunale. Nessuna parola fuori posto, nessun attacco frontale ai magistrati che lo hanno indagato e che ne hanno chiesto l'arresto. Una strategia, probabilmente. Ma che comunque va ascritta a suo merito, sebbene il contenuto del discorso sia, a giudizio di molti, del tutto non condivisibile. Ma era lui, appunto, il diretto interessato. Ed era nell'ordine delle cose che provasse a smontare un impianto accusatorio granitico fatto non soltanto di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ma anche di plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia che hanno fatto convergere il loro narrato su un punto fondamentale: Caridi era un politico appartenente alla 'ndrangheta.
Fate qualcosa per i senatori...
Ciò che invece ha lasciato un sapore particolarmente amaro è stato constatare come molti membri del Senato della Repubblica, la camera "alta" del nostro Parlamento, non abbiano la benché minima conoscenza di cosa sia davvero la 'ndrangheta; delle ramificazioni che essa ha creato nel tempo; del livello criminale raggiunto; del fatto che non si tratti più di quella organizzazione rurale di un tempo. In cinque ore e passa di dibattito, abbiamo potuto "apprezzare" dichiarazioni che tradivano una assoluta ignoranza in tema di criminalità organizzata. Che ancora oggi tendevano a paragonare Cosa Nostra e 'ndrangheta, facendo emergere la prima come qualcosa di estremamente complesso e la seconda come invece un gruppo di gangster alle prese con la voglia di raccattare giusto qualche posto di lavoro in una municipalizzata. Qualcuno ha addirittura riferito della figura di Vito Ciancimino, portandolo come esempio di vero politico a disposizione della mafia, dimenticando colpevolmente come il figlio di "don Vito", Massimo, abbia riferito, in un'intervista a Klaus Davi per "Gli intoccabili", che Cosa nostra temeva parecchio la 'ndrangheta e si accontentava di pagarla, pur di tenerla buona.
Abbiamo avuto la sventura di ascoltare interventi che lamentavano il troppo poco tempo a disposizione per leggere gli atti messi a disposizione della Procura. Ebbene, a giudicare dalle performance di alcuni senatori, c'è da ritenere che essi non soltanto non abbiano avuto voglia di leggere la relazione preparata all'occorrenza, ma non abbiano nemmeno ritenuto di andare a guardare il capo d'imputazione contestato al senatore Caridi. Avrebbero compreso essi stessi come l'indagine portata avanti da Federico Cafiero de Raho e Giuseppe Lombardo non concerne certamente quella parte militare della 'ndrangheta che evidentemente ha poco nulla a che fare con il senatore Caridi, se non per qualche sporadico contatto con la famiglia De Stefano. No, ci sono membri del Senato che ignorano cosa siano gli "invisibili", cosa sia quella componente dei "riservati" a cui invece si rimanda nelle carte processuali. E poco importa che il senatore Giarrusso abbia tentato più volte di ribadire un simile concetto. C'era netta la percezione che molti di coloro che stavano seduti sugli scranni di Palazzo Madama, in fondo, volessero semplicemente difendere la "casta", noncuranti di cosa effettivamente si stesse discutendo.
Attacchi spropositati
Ma c'è chi ha fatto anche peggio. E, credeteci, non era per nulla semplice. C'è chi, nell'aula di una Camera della Repubblica italiana, forte dell'insindacabilità per le opinioni espresse, si è lasciato andare a commenti poco edificanti sul lavoro portato avanti dalla Dda di Reggio Calabria.
Ora, potrà certamente accadere che l'operazione "Mamma Santissima" si scioglierà come neve al sole già davanti al Tribunale del Riesame o anche in Cassazione. Questo noi non possiamo saperlo, sebbene l'ordinanza di custodia cautelare ci sembri adeguatamente argomentata. Ma mettere all'indice quei pubblici ministeri che hanno lavorato come matti per anni, che hanno messo da parte famiglie e affetti, indicandoli come personaggi in cerca di notorietà è davvero sconfortante. E sapete perché? Perché probabilmente quelle persone che oggi hanno attaccato a testa bassa, sono le medesime che, in caso di operazioni "classiche" di polizia giudiziaria, dove a finire in cella è la sola ala militare, farebbero i complimenti ai magistrati invitando ad andare avanti sulla strada tracciata.
Insomma, in tanti oggi hanno ignorato in maniera imperdonabile quale fosse il vero ruolo del Parlamento chiamato a decidere se autorizzare un arresto o meno. Si è andati assai oltre la mera trattazione del cosiddetto "fumus persecutionis", ossia il possibile intento persecutorio nei confronti del senatore Caridi, per arrivare ad un giudizio di merito su un'indagine che si è tentato da più parti di demolire nelle sue fondamenta.
Garantismo sì, impunità no
C'è da chiedersi, allora, se per quei senatori che oggi hanno usato parole così dure nei confronti dei magistrati, non sia da condividere (o quanto meno investigare sino in fondo) l'esistenza di questa componente invisibile della 'ndrangheta che – lo diciamo a beneficio di chi non lo sapesse – è stata già accertata con sentenza nel corso del processo "Meta".
Ovviamente oggi c'è da stabilire la responsabilità personale di alcuni indagati che si trovano in regime di detenzione in carcere. Loro avranno il diritto di difendersi in tutti i modi consentiti dall'ordinamento dello Stato e dimostrare la loro estraneità alle accuse.
Non tocca certo a noi dire oggi ed in questo momento, se Antonio Caridi, Paolo Romeo o Giorgio De Stefano siano colpevoli o innocenti. Tocca, invece, osservare all'interno dell'aula del Senato un garantismo andato decisamente oltre quel che si dovrebbe conservare in ogni caso giudiziario. Perché essere garantisti significa essenzialmente vigilare affinché tutti i diritti dell'indagato siano rispettati a pieno, senza emettere sentenze prima che lo stesso venga effettivamente condannato in via definitiva. Questo è l'unico garantismo possibile. Il resto sfocia nell'impunità, concetto che non può e non deve appartenere ad una Camera del Parlamento italiano. E oggi, al di là del merito della decisione dei senatori, la politica italiana non ha fatto assolutamente una bella figura.
Per ulteriori delucidazioni, si vadano a rispolverare le parole del tanto citato (spesso a sproposito) Paolo Borsellino. Lì ci saranno tutte le risposte possibili.
Consolato Minniti