Le ultime parole di Papa Francesco, affidate durante l’Angelus alla lettura di Monsignor Diego Giovanni Ravelli, risuonano adesso con una forza ancor maggiore. Non sono solo un monito, ma un grido di speranza, l’appello di un pontefice che fino alla fine ha invocato pace, giustizia e solidarietà. In un periodo segnato da conflitti e tensioni, il suo messaggio rappresenta il lascito di chi si è speso per difendere i più fragili e tracciare una via di cambiamento.

La sua scomparsa chiude un pontificato caratterizzato da coraggio e autenticità. Papa Francesco ha mostrato fermezza nel difendere il rispetto dell’essere umano. Nonostante la fragilità fisica che da tempo ormai lo accompagnava, ha costantemente incarnato una guida determinata nella lotta per un’umanità migliore.

Proprio le sue ultime parole ne sono una testimonianza: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo». Questo principio, scolpito nella sua dottrina sociale, ha rappresentato il fulcro del suo messaggio pasquale e può essere considerato il pilastro della sua visione. Papa Francesco ha messo in evidenza che il disarmo non è solo una necessità politica, ma un vero e proprio imperativo morale che deve guidare le scelte globali, abbattendo le barriere che dividono i popoli e che alimentano le ingiustizie. È un messaggio potente, radicale nella sua semplicità, lontano dalle logiche imperanti di cui respiriamo i tratti ogni giorno.

In un’epoca di conflitti e divisioni, Papa Francesco è stato un baluardo contro la violenza e l’indifferenza. Ha ribadito che la pace non è solo un ideale, ma una responsabilità concreta che richiede impegno costante. Per lui – e questo è un punto decisivo – la guerra non era un fenomeno inevitabile, come traspare da certe posizioni influenti.

Al contrario, Papa Francesco ha denunciato l’ipocrisia delle strategie militari, la violenza che inevitabilmente porta con sé ogni conflitto e ha parlato con insistenza di una Terza guerra mondiale già in corso, combattuta “a pezzi”, mettendo in discussione anche le scelte geopolitiche dell’Occidente, il ruolo delle grandi potenze e persino le contraddizioni interne della Chiesa stessa. Si consideri, come esempio, la dichiarazione netta, contenuta sempre nel suo ultimo messaggio, che descrive la realtà attuale nella Striscia di Gaza: «La situazione umanitaria è ignobile».

Papa Francesco è stato un custode della pace nel senso più concreto del termine. Non si è limitato alle parole: ha agito e ha denunciato. Speranza, fiducia, solidarietà e apertura: sono principi che hanno segnato le sue azioni e che, al di là della fede, hanno coinvolto un numero enorme di persone. Per questo, la sua eredità non appartiene solo ai credenti, ma a chiunque abbia visto nelle sue parole un faro di umanità. Così, si nota facilmente come la sua morte coinvolga chi abbia riconosciuto la forza del suo insegnamento.

Ancora, Papa Francesco ha mostrato a più riprese la sua idea di Chiesa, un’istituzione che deve abbandonare ogni paura di compromettersi con la realtà, che sceglie di stare accanto agli ultimi e che, nel farlo, rifiuta ogni compromesso con le logiche di potere che tradiscono la sua missione originaria.

La sua scomparsa solleva una questione fondamentale: il suo lascito continuerà a mantenere intatta la sua portata etica e il suo costante appello alla giustizia, oppure il suo messaggio finirà per essere gradualmente attenuato, trasformato secondo interessi politici ed economici che rischiano di snaturarlo nella sua radicalità?