Anche quando le possibilità offerte dal Pollino allo Stretto sono valide, in tanti preferiscono rivolgersi altrove. Un meccanismo alimentato dalla diffidenza verso un sistema che sconta decenni di disservizi e strutture fatiscenti. La storia di Patrizia e la sua guerra contro il cancro (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il suo calvario inizia nel 2014 quando, grazie a periodici controlli di prevenzione, scopre di avere un tumore alla mammella. Da quel momento la vita mette Patrizia Pipino, 57enne reggina, di Palmi, difronte a diverse sfide che affronta ogni volta con coraggio e determinazione. La prima tappa di questo percorso si risolve con l'agoaspirato al seno, essendo il tessuto anomalo di minime dimensioni, appena tredici millimetri. Dopo l'intervento a Reggio Calabria, Patrizia si sottopone ad alcuni cicli di radioterapia per poi proseguire con la cura. Lo spavento sembrava dunque superato ma appena due anni dopo qualcosa di strano turba nuovamente la donna: sanguinamento rettale, tra le più comuni manifestazioni cliniche del tumore al colon.
La scelta di operarsi fuori regione
«Mai avrei immaginato che si potesse trattare di un'altra neoplasia, eppure così è stato – commenta -. Nel caso del tumore al seno sono sempre stata molto scrupolosa facendo un'ecografia all'anno e la mammografia ogni due, ecco perché sono riuscita a prenderlo in tempo. In questo caso invece, pur essendomi accorta delle perdite di sangue, per paura di scoprire qualcosa di brutto tendevo a rimandare. L'idea di eseguire una colonscopia mi spaventava». È il 2016 quando dalla pet e poi dalla colon arriva la conferma: il tumore aveva raggiunto i quattro centimetri e bisognava intervenire immediatamente. Per Patrizia inizia una corsa contro il tempo ed è in questo momento che la stessa si trova di fronte ad una scelta: essere operata in Calabria o andare fuori regione?
Il primo intervento a Roma
«Avevo fatto il pre-ricovero a Reggio Calabria ma poi ho deciso di andare fuori ed essere operata al Gemelli di Roma, dal professore Alfieri, lo stesso che qualche tempo dopo avrebbe operato anche Papa Francesco. Il mio istinto mi suggeriva che sarebbe stata la scelta giusta. I medici calabresi mi avevano prospettato l'intervento in laparoscopia e, in caso di complicazioni, sarebbero stati costretti ad aprire. Ma avevo visto Alfieri in tv, durante la rubrica “Medicina 33” e allora l'ho cercato su internet, gli ho scritto e sono riuscita ad avere un appuntamento con lui». Alfieri visita Patrizia e le conferma la necessità di intervenire con urgenza in laparoscopia. Seguiranno nove giorni di degenza. La donna supera così anche questa seconda prova ma un'altra spiacevole notizia l'avrebbe sorpresa da lì a breve. Già dalla pet del dopo intervento, eseguita a Catania, viene fuori infatti qualcosa che non va al surrene, la ghiandola endocrina situata sopra il rene, ma i medici tranquillizzano la donna dicendo che si trattava “verosimilmente di adenoma”. In realtà così non era.
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L'ennesima prova per Patrizia
«Quando sono andata a fare un'ecografia di mia iniziativa per un dolore al rene, mi hanno diagnosticato una massa di 5 centimetri ed è stato necessario fare immediatamente una tac. Da lì la cosa è esplosa, sono tornata al policlinico Gemelli e mi sono rivolta al professore Raffelli, un bravissimo chirurgo endocrino». Si trattava di feocromocitoma, un tumore raro delle ghiandole surrenali, la frequenza è di 2 casi su un milione. Anche questa volta Patrizia decide di essere seguita fuori regione: «Ho scelto nuovamente di non restare in Calabria perchè qui non c'era un chirurgo endocrino che potesse seguirmi. Avevo fatto delle ricerche ma ero sicura che al Gemelli avrebbero gestito il mio caso come si deve. Essendo un tumore raro, sono rari pure i medici che se ne occupano e allora ho pensato di andare dove questi interventi sono più frequenti. Forse anche in Calabria l'avrebbero fatto ma mi domando “come l'avrebbero fatto?” Io non lo so. Purtroppo tutti coloro che conosco, che hanno avuto un tumore al seno o altre neoplasie, il più delle volte hanno deciso di farsi operare fuori regione e un motivo ci sarà».
“La mia vita oltre il cancro”
Dunque un calvario che ha portato nella vita di Patrizia preoccupazione e sofferenza comportando allo stesso tempo dei costi non indifferenti: «Io sono stata aiutata da mia madre perché al di là del viaggio, ho avuto diverse spese da sostenere per stare lì anche dopo l'intervento. Sicuramente doversi sposare fuori regione porta con sé pro e contro ma quando in ballo c'è la vita credo che nessuno badi a spese». Il problema allora qual è in Calabria? «Io posso avere fiducia nei medici calabresi ma non credo ci siano le strutture adeguate» risponde. Patrizia ha racchiuso la sua storia nel libro “La mia vita oltre il cancro”, attraverso il quale manda un chiaro messaggio di speranza e di coraggio, pubblicato prima che la donna si scontrasse contro il tumore delle ghiandole surrenali. «Oggi dovrei aggiungere un'appendice per raccontare l'ultima parte della mia storia – dice – e forse in questo caso i toni sarebbero diversi. Dovrei raccontare la cosa per come è andata: mi dicevano che era un adenoma e invece adenoma non era».
Oltre il danno la beffa
Ma non è tutto. A peggiorare la situazione ci ha pensato l'Inps che nonostante tutto le ha sceso l'invalidità dal 100% al 67%: «Ho fatto ricorso e ho vinto la causa ma anche se mi daranno gli arretrati, nessuno mi restituirà le fatiche e gli sforzi fatti per un anno e mezzo, per far capire come stavano realmente le cose. Lo Stato dovrebbe avere un occhio di riguardo per i malati oncologici e la Regione Calabria dovrebbe metterci nelle condizioni di avere garantito il diritto alle cure e alla salute. Una persona malata non può aspettare mesi per un esame o dover ricorrere ad amicizie per accelerare i tempi e soprattutto le strutture calabresi dovrebbero essere adeguate. A chi mi chiede perché sono andata a Roma rispondo “perché sarei dovuta rimanere qui?”».
La sfiducia nel sistema
Quella di Patrizia è una storia come tante di pazienti calabresi che negli anni hanno evidentemente perso fiducia nel sistema sanitario regionale e per i cui diritti esistono associazioni pronte a battersi per migliorare i servizi di accesso alle cure. «Il mondo del volontariato vive giornalmente le condizioni di disagio di ammalati gravi che necessitano di interventi immediati, che non riescono ad avere le risposte giuste nel momento giusto pur sapendo che la malattia non sempre può seguire i tempi di una burocrazia molto lenta e incapace di dare risposte adeguate – spiega Guglielmo Merazzi, presidente del Centro Servizi per il Volontariato Calabria centro Catanzaro Crotone Vibo -. Penso ad esempio ai malati oncologici che non possono tollerare ritardi , a volte anche di mesi, rispetto ad un esame che dovrebbe essere erogato con immediatezza. Tutto questo ci ha portato a confrontarci con le associazioni dell'ammalato delle tre province dell'area centrale della Calabria e dunque si provvederà ad elaborare un documento da sottoporre ai massimi esponenti della sanità calabrese attraverso manifestazioni e iniziative sotto il palazzo della Regione affinché si stimoli la parte politica a mettere mano al servizio sanitario che così com'è versa in una condizione non più tollerabile».
L'impegno delle associazioni
«L'impegno che abbiamo portato avanti con la costituzione della rete di associazioni "Insieme per i malati" ci impone di ripartire con nuovo slancio per tenere alta l'attenzione sulla sanità regionale – aggiunge il portavoce della rete e componente del direttivo del Csv Calabria Centro, Enzo Nania -.È tempo infatti di riavviare il confronto tra di noi per poter far valere la nostra presenza nell'interlocuzione con i rappresentanti istituzionali della sanità, in nome dei diritti negati ai cittadini e agli ammalati calabresi che ogni giorno pagano il prezzo di una sanità male organizzata. I pronto soccorso continuano ad essere luoghi d'attesa perenne, le prenotazioni di visite ed esami sono appannaggio di cittadini che non hanno fretta di curarsi perché per chi non ha tempo non c'è altra soluzione che la visita privata a pagamento o fuori sede, senza dimenticare quanti, nel frattempo, non avendo altri mezzi, rinunciano a curarsi».
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