In tempi in cui le cronache – finanche troppo spesso – narrano le aggressioni ai sanitari, l’ex presidente facente funzione della Regione Calabria, Nino Spirlì, da «malato incompreso», si lascia andare ad una amara considerazione – più in generale – sullo stato di salute della sanità calabrese. 
Da malato di cancro racconta la sua odissea sanitaria in Calabria e la svolta diagnostica ottenuta in Lombardia.

«Sono “in ballo” con uno sconosciuto dal 4 marzo scorso – scrive –. Ho fatto sei giri di polka negli ospedali della Calabria (al pronto soccorso di Polistena PS e al Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria). Ho sopportato ben cinque interventi, cinque anestesie totali, otto fra risonanze magnetiche nucleari e Tac, con contrasto e non, quattro colangio-pancreatografia endoscopica retrograda con telecamera incorporata, una sessantina di prelievi di sangue… Lui, il cancro, era accomodato. Comodo comodo. Parlava un’altra lingua, probabilmente. Perché, con gli stessi strumenti calabresi (dischetti di ogni passaggio), a Milano lo hanno stanato. Ripeto probabilmente, parlava Lumbàrd…»
Un’analisi schietta, ma sincera, sulla sanità calabrese incapace di una diagnosi tumorale.
«Non ho rancori – scrive ancora – né rabbie, ma faccio mio il pensiero di molti: perché? Leggo, anche in queste ore, di violenze sui medici. Inorridisco, ma penso: saranno persone che non sono così pazienti come noi, a menare le mani? E, poi, chi è più violento di chi?»
Nino Spirlì pone qugli interrogativi e poi conclude: «A tutti chiedo più coscienza, attenzione, professionalità, verità, lealtà, rispetto del giuramento di Ippocrate per gli uni, per le regole dell’educazione e dell’umanità per gli altri».