In Calabria sta montando una sorta di dibattito sui migranti. In particolare sui minori non accompagnati. In un’intervista alla “Stampa”, il presidente della giunta regionale Roberto Occhiuto aveva lanciato l’idea di affidare i minori alle famiglie calabresi povere a cui lo Stato dovrà poi corrispondere un aiuto economico.

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La proposta è stata accolta malissimo dal Pd che l’ha definita becera e un po’ classista. Sul tema sono intervenuti il segretario regionale, Nicola Irto, la componente della direzione regionale, Maria Chiodo e da ultimo il gruppo regionale del partito e la leader Amalia Bruni. «Due criticità gravi, messe insieme, non si risolvono automaticamente ma crescono a dismisura - si legge nella nota congiunta - Riteniamo che la proposta del Presidente Occhiuto sia irricevibile e assolutamente non condivisibile, perché non risolverebbe di certo né il problema dei migranti, né tantomeno quello della povertà di moltissime famiglie calabresi. Occhiuto pensi, invece, a predisporre misure di supporto per le famiglie, a sostegno del reddito e dell’occupazione (abbiamo il 35.4% di nuclei familiari in stato di povertà assoluta) e percorsi adeguati per i minori che arrivano nella nostra Calabria».

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Ma quanti sono i minori non accompagnati in Calabria? E come nasce l’idea di Occhiuto?

Alla prima domanda non siamo in grado di dare una risposta precisa. Non esiste un dato certo. Non lo sa l’Unicef, non lo sa il Garante regionale per l’Infanzia e l’adolescenza, Antonio Marziale. L’Unhcr dice che il numero di minori non accompagnati sbarcati in Italia al 23 agosto 2023 è di 10.700. Partendo dal presupposto che in gran parte sbarcano a Lampedusa, si può ipotizzare che siano almeno 3000 quelli che sono arrivati in Calabria e hanno bisogno di assistenza. Ma è un numero approssimativo.

Marziale dice che non ha contezza esatta perché non sempre le comunicazioni fra le istituzioni interessate al fenomeno sono tempestive. «Le basti pensare che se voglio fare una visita istituzionale ad un centro d’accoglienza - ci dice - devo prima avere dei permessi»

E a proposito di tempestività, veniamo all’altra domanda. In base alla legge Zampa, che disciplina la materia, i minori vengono dati in affido a tutori. Per diventare tutori si devono seguire dei corsi di formazione, organizzati appunto dai Garanti regionali. Non c’è bisogno di alcun requisito per partecipare né di essere sposati. Finito il corso si viene inseriti in un elenco, poi trasmesso ai due Tribunali dei Minori calabresi (Catanzaro e Reggio Calabria). Dall’elenco i giudici mano mano affidano i bambini a scorrimento. Mentre parte tutto questo processo i minori vengono accompagnati nei centri di accoglienza, viene stabilita la loro età, si va incontro alle loro prime necessità.

Marziale, su questo fronte, detiene un piccolo record. È stato il garante che ha formato più tutori in Italia durante il suo primo mandato (2016/2020 amministrazione Oliverio). Era arrivato a formare mille tutori, nonostante la Calabria sia nelle condizioni economico-sociali che tutti sappiamo. Ma il nostro spirito di solidarietà è evidentemente più forte della congiuntura economica.

Il problema - ci ha spiegato Marziale - è che la Calabria è anche terra a forte migrazione, per cui molti di quelli che hanno frequentato questi corsi, al momento dell’affido erano andati altrove per lavorare. Per cui su mille tutori, la disponibilità reale si era ridotta di moltissimo.

«Noi però non ci arrendiamo - dice Marziale, rimesso nel suo ruolo da Occhiuto - abbiamo istituito una Consulta, composta dalle varie associazioni che si occupano del fenomeno e presieduta da Pino Fasano, dell’ufficio Migrantes della Diocesi di Cosenza. Tutte persone con grande esperienza sul campo con le quali stiamo predisponendo i nuovi bandi che dovrebbero uscire nel mese di settembre».

Quanta gente parteciperà ai bandi è una specie di scommessa. «Devo registrare - continua il Garante - che dopo il Covid c’è stato un decremento di disponibilità. Va anche considerato che il tutore non ha alcun rimborso spese da parte dello Stato né aiuti particolari come ad esempio permessi dal lavoro o distacchi. Eppure si tratta di persone che debbono prendersi cura di bambini in fuga da guerre, fame violenza, che hanno fatto viaggi inenarrabili, spesso quindi hanno bisogno di più cure di quante ne richieda un bambino normale».

È questo è davvero un bel paradosso. Perché chi aveva un immobile dismesso e l’ha trasformato, magari alla meno peggio, in un centro d’accoglienza viene retribuito, mentre il tutore che ospita un minore deve farlo a spese proprie.

Da qui forse è nata l’idea di Occhiuto di affidare i bimbi a delle famiglie, anche se l’idea di farlo con quelle indigenti non è condivisibile. Idea che avanza anche Marziale (pur non parlando di famiglie povere). «Per risolvere un problema così complesso servono due cose. La prima è concedere alle famiglie di ospitare questi minori, al di là del sistema complesso dei tutori. La seconda è che l’Unione Europea deve fare fino in fondo la sua parte. I centri d’accoglienza scoppiano, serve farne altri, alcuni magari dedicati ai minori. Per il momento Bruxelles si limita a dare i fondi agli Stati, ma forse non sa che l’Italia è il paese dove ci sono ancora baraccati ad Avellino, nel Belice, anche in grandi regioni come l’Emilia Romagna la ricostruzione non è partita. Allora se si vuole fare sul serio Bruxelles venga direttamente a realizzare queste strutture, altrimenti fa solo chiacchiere».

Chiacchiere che i bambini non devono e non possono più ascoltare. Qual è la proposta di centrosinistra e di centrodestra a questa emergenza?