Un’ondata di incredulità e sfottò si è scatenata dopo l’annuncio del suo ingresso nella commissione nazionale dell’agenzia Onu che tutela la cultura. Ma non sempre le cose sono come appaiono
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L’ingresso di Lino Banfi nella commissione nazionale per l’Unesco, annunciato da Luigi Di Maio con un colpo ad effetto durante la kermesse M5s sul reddito di cittadinanza, ha sollevato un’ondata di incredulità, ha generato migliaia di sfottò internettiani e meme che richiamano i tormentoni dell’attore pugliese, a cominciare da quel “Madonna benedetta dell’incoroneta”, che esclamava con gli occhi fuori dalle orbite ogni volta che il copione gli metteva davanti l’avvenenza di Edwige Fenech o di qualunque altra bella donna che popolasse i film della commedia sexy all’italiana di cui è stato uno dei più riconoscibili interpreti.
L'urlo di Oronzo Canà
Banfi è quello che faceva risuonare la calotta cranica schiaffeggiandosela col palmo della mano, quello che in Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio pronuncia la filastrocca scaccia-iella nella vasca da bagno. Banfi è quell’Oronzo Canà portato in trionfo alla fine dell’Allenatore nel pallone che grida: «Mi avete preso per un coglione!», mentre gli altri intorno a lui gli rispondono: «No, sei un eroe». Lui grida di nuovo: «Mi avete preso per un coglione!». Ma gli altri insistono: «No, sei un eroe». Finché non capiscono che quella di Oronzo non è una metafora, ma un grido di autentico dolore fisico, visto che nella foga di portarlo sugli scudi l’avevano preso proprio per un coglione, nel senso letterale del termine.
C'è Cultura e cultura
Su questa perla del trash - che riesce a superare i confini della volgarità gratuita per approdare nella comicità demenziale che da Groucho Marx in poi ha scritto importanti pagine della storia del cinema - ci abbiamo riso a crepapelle, forse non tutti, ma tanti sì. Davvero tantissimi. Sarebbe ingeneroso, quindi, archiviare Banfi come un sottoprodotto culturale.
Eppure, Pasquale Zagaria da Canosa di Puglia, questo il suo vero nome, non è cultura con la C maiuscola, quella accademica fatta di titoli infiniti abbreviati con un punto. Non è un Prof., un Dott., un Arch., un Ing., un On. È solo quello che fa la parodia del dialetto barese limitandosi a sostituire le A con le E, che se lo fai arrabbiare caccia una voce stridula e promette di “spezzarti i menischi”.
Con l'Unicef ha funzionato
Viene dunque da chiedersi legittimamente che ci faccia Banfi nella commissione nazionale per l’Unesco, dove entra al posto di Folco Quilici, il grande documentarista italiano scomparso un anno fa. Ebbene, di questo organismo ministeriale, presieduto da Franco Bernabè, banchiere e manager onnipresente nella storia recente del nostro Paese, ci sono una cinquantina di membri, più i dodici che fanno parte del consiglio direttivo. Tra di loro, oltre a una carrettata di alti funzionari provenienti dai vari dicasteri, ci sono dirigenti pubblici, parlamentari e generali di brigata. Nessuno riconoscibile dal grande pubblico, nessuno capace di vestire i panni del testimonial per le campagne dell’Unesco in Italia. Banfi, invece, l’ha già fatto per l’Unicef, con cui collabora da molto tempo, facendo leva soprattutto sull’immagine che si è costruito negli ultimi anni grazie all’interpretazione di nonno Libero.
Anche la pizza è protetta dall'Unesco
Non gli toccherà dunque parlare ai simposi internazionali, né rappresentare l’Italia agli incontri nella sede centrale dell’organizzazione a Parigi, ma potrebbe contribuire efficacemente a diffondere i valori e gli obiettivi dell’agenzia che si occupa di tutelare e valorizzare il patrimonio materiale e immateriale dell’Italia. Perché quando si parla di Unesco non ci si riferisce soltanto al Cenacolo di Leonardo da Vinci (inserito nella lista nel 1980) o ai monumenti paleocristiani di Ravenna (1996), ma si parla anche, ad esempio, di cose come la pizza napoletana, che dal 2017 fa parte ufficialmente del patrimonio immateriale dell’Umanità, o la vite di Pantelleria (2014), che cresce come un alberello e produce il passito più celebre. Insomma, cultura significa tante cose, e Lino Banfi potrebbe essere l’uomo giusto al posto giusto.
Italian dream
Resta però il dubbio che dietro la sua nomina ci sia anche, se non soprattutto, il calcolo politico di chi ha bisogno di fare un po’ di casino per distogliere l’attenzione da questioni che meriterebbero maggiore concentrazione, come la nuova crisi economica che incalza e i conti pubblici che non tornano. Un po’ di casino che consente anche di lanciare un messaggio subliminale che racchiude il nuovo Italian dream: “Con noi, ma solo con noi, il popolo arriva in cima, e vaffanculo ai radical chic che storcono il naso davanti a Banfi”. Ma questa è un’altra storia.
Enrico De Girolamo