C’è un cartello di legno, dipinto a colori. È su una stradina che sale tra i pini che spiccano di verde anche in questa stagione, tra il fogliame dorato che resiste alla coda dell’autunno. Una coraggiosa resistenza davanti all’inevitabilità delle stagioni. Siamo in Sila, a pochi chilometri da San Giovanni in Fiore. Lasciando la strada principale che fila attraverso i monti, una via laterale porta a una casa dai muri color albicocca. Ha il tetto spiovente e affaccia su un campetto ben curato. Al lato c’è un forno. Lì si inforna il pane, impastato non solo per soddisfare l’appetito ma anche l’anima, in un esercizio accudente di pazienza che combatte la società veloce che tritura ogni momento e lascia tanti indietro.

Il vialetto è ordinato, nella catasta sono pronti i ciocchi di legna di ciliegio. Questo è il caldo benvenuto a Exodus. Il riferimento è biblico: l’esodo di un popolo schiavo condotto verso la libertà. E la comunità è questo: un viaggio lungo e non senza pericoli, un ramoscello resistente che frena la caduta in un dirupo di solitudine e morte.

Quella di Caccuri è una delle tante sedi che il vulcanico don Mazzi ha seminato, come in un grande campo, per tutta Italia. Deborah Granata e Roberto Sena ne raccolgono i frutti più buoni che hanno il sapore di una vita che ricomincia. Non tutti gli ospiti riescono a vincere la loro guerra contro sé stessi. La metà abbandona subito, qualcuno ricade nell’abisso, ma qualcuno ce la fa. Si salva. Ricomincia a vivere.

Deborah e Roberto ci accolgono aprendo le porte «perché la nostra non è una comunità chiusa» spiegano mentre fanno strada verso il grande soggiorno dove le chitarre sono disposte a giro sulle sedie di vimini. I tavoli di noce sono stati uniti per il pranzo al centro della stanza. In cucina si impastano gnocchi. Un giovane li taglia con precisione certosina e li ripone da parte. Oggi è un giorno speciale. C’è da festeggiare il compleanno di Pino, storico volontario, e poi i ragazzi dell’alberghiero di San Giovanni hanno preparato delle squisite pitte ‘mpigliate consegnate dal giornalista e conduttore televisivo Franco Laratta.

Ognuno in comunità ha il suo compito. «Il segreto è tenere tutti sempre impegnati – dice Roberto mentre ci fa strada verso il piano superiore dove ci sono le stanze -. Sono i vuoti la cosa peggiore, è lì che la mente inizia a fare brutti scherzi e lì che si finisce per rimuginare, pensare troppo, cadere in quella tristezza pericolosa che è come una melma nera». Ci mostra il quadro delle attività: il lavoro di restauro, la cura dell’orto, la cucina, i momenti di svago, i film da guardare, la musica da ascoltare tutti insieme. Insieme. La parola più bella.

Da sotto arriva il profumo delle costolette cotte nel sugo preparato dalla mamma di un volontario, alla vecchia maniera, lentamente. Un grande albero colora la stanza e un presepe spicca sotto un collage di frasi che ogni giorno segnano una tappa. Perché è un viaggio con tante stazioni quello che comincia a “Exodus”. Si parte con un bagaglio pesante e si finisce con le tasche leggere.

In questo luogo, da più di vent’anni, Roberto e Deborah combattono al fianco di chi è inciampato e non è riuscito a rialzarsi. Sono i Sert a dirottare da loro gli ospiti, ragazzi a volte giovanissimi, finiti nel vortice delle dipendenze da sostanze. Arrivano da tutta Italia, spesso in condizioni critiche, sbandati, senza regole e senza una direzione. Le famiglie, disperate, vincono la vergogna e chiedono aiuto. E la mano tesa arriva anche da qui, dalla Calabria, da Caccuri.

«Certo che si può ricominciare – dice Sena – ma è necessario tanto impegno. Ultimamente stiamo ricevendo anche persone che sono affette da dipendenza da gioco d’azzardo, una forma patologica di cui finalmente si comincia a parlare senza tabù. Il percorso di rinascita è lungo, inutile raccontare storie, i ragazzi arrivano in comunità pieni di maschere, devono scavare per trovare il loro “io” originale. Solo così possono ricostruirsi una vera identità».

Francesco Palucci, lo psicologo della comunità, con pazienza raccoglie i pezzi rotti di persone che non trovano la pace. Ricorda una storia in particolare, con gli occhi lucidi. «Era un giovane uomo. Mentre passeggiavamo, mi confessò gli abusi che aveva subito da uno zio quando era piccolo. Vomitò tutto fuori, all’improvviso. Pianse tanto, per ore, giorni. Quel peso che aveva mantenuto dentro per così tanto tempo finalmente s’era alleggerito. Lo aiutai a fare pace con quella parte di sé antica, ferita. Da quel momento ha cominciato a volersi bene, a non considerare quel bambino che era stato, come una fonte di vergogna».

«Non bisogna disperare – dice Deborah parlando delle famiglie dei ragazzi – e non bisogna vergognarsi ma chiedere aiuto, nessuno può farcela da solo. Questo è il senso della comunità, il senso della nostra famiglia, il senso di “Exodus”. La nostra è una casa dove ognuno deve sentirsi protetto, mai solo. Spesso ci si chiede: nelle comunità forse offrono delle terapie? No, non c’è alcuna terapia, anzi. Se i ragazzi sono in cura farmacologica a base di metadone, la prima cosa che facciamo è cominciare a scalare le dosi altrimenti andremmo sostituire una dipendenza con un’altra. Bisogna valorizzare la persona, accrescere la sua autostima, non farla sentire diversa. Quando si acquisisce consapevolezza e forza, allora sì che il percorso verso la guarigione comincia davvero».

Le telecamere di LaC ieri hanno acceso i propri fari su questa comunità che ha il profumo della speranza. Il presidente del gruppo Pubbliemme-LaC, Domenico Maduli, con parole piene di emozione, ha espresso tutta la concreta vicinanza del gruppo a realtà come quella di Caccuri. «Oggi abbiamo imparato qualcosa – ha detto -. I ragazzi ci hanno dato una grande lezione di vita che desideriamo portare ovunque, nella speranza che si dia sempre più importanza, non solo in questo periodo natalizio ma sempre, ai valori rappresentati da un abbraccio, un ascolto, un sorriso. LaC c’è sempre e il percorso che stiamo seguendo in questi anni continuerà».

La giornata è finita, il sole cala. I ragazzi sono raccolti sotto il patio. C’è chi desidera diventare un elettricista, chi un artigiano. Qualcuno, confessa, vuole solo trovare un po’ pace e la forza sufficiente per vivere una vita felice, magari trovare l’amore. In questo posto, accoccolato tra i boschi della Sila, le mani si uniscono per sorreggere anche i sogni. Com'è scritto nel Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.