L'uomo senza fissa dimora per qualche giorno ha messo in allarme la popolazione con i suoi comportamenti. Ma solo a tragedia quasi avvenuta le autorità sono potute intervenire per sottoporlo a un Tso
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Il protagonista di questa storia si chiama Giulio e ci insegna che di solitudine e abbandono si può anche morire. Di sicuro, si vive male, molto male, innescando una serie di violenze anche contro sé stessi che in questo caso sono culminati in un tso. C.C., queste le vere iniziali del suo nome, classe 1980, risulta residente in Lombardia ma da qualche giorno si aggirava indisturbato nella città di Scalea, solo, senza neppure una storia da raccontare e senza nessuno che lo stesse cercando.
Ha precedenti penali a suo carico e attualmente vive in una tenda, che accampa dove gli pare. Oppure dorme in strada, mentre le auto sfrecciano al suo fianco senza neppure capire se è ancora vivo o è morto da un pezzo. Nelle ultime due settimane i carabinieri, frenati dalle leggi, non hanno potuto trattenerlo a lungo in caserma e dopo decine di violazioni e segnalazioni, si è deciso di sottoporlo a un trattamento sanitario obbligatorio. Ma quando era forse già troppo. La sua è soltanto l'ultimo, infinito caso di abbandono sociale e istituzionale.
Accampato a casa di Giacomo
La parabola calabrese dell'uomo comincia quando il 23 gennaio scorso, l'uomo viene visto entrare e rimanere a lungo a casa di Giacomo Perrone, l'uomo di Scalea che grazie al nostro intervento, ha ritrovato la dignità con una casa nuova e un'operazione che, a parere dei medici, gli ha salvato la vita. Il 70enne, come ricorderanno i nostri lettori, non è capace di prendersi autonomamente cura di sé stesso e per questo gli è stato affidato un tutore legale. È stato proprio lui, l'ex maresciallo dei carabinieri Francesco Galati, a segnalare alle forze dell'ordine la presenza dell'uomo nell'abitazione, dove nel frattempo era stata piantata la tenda da campeggio.
La seconda sera insieme, Giulio e Giacomo preparano la cena, si guardano, si parlano nel loro linguaggio e forse si capiscono. Ma quell'uomo lì dentro non può stare, oltre tutto è un pregiudicato e i carabinieri intervengono più volte, anche sollecitati dai commercianti del posto. Giulio, a volte, dorme sui marciapiedi, altre volte direttamente sull'asfalto. Ma più che denunciarlo a piede libero, le forze dell'ordine non possono fare.
L'occupazione della grotta
Passano i giorni. Giulio è sempre più solo, forse beve, forse gira ubriaco per le strade. È un uomo invisibile che si porta addosso le conseguenze dei suoi errori e forse non c'è nemmeno qualcuno che lo sta cercando. Giulio cerca il suo posto nel mondo e non lo trova. Con la fedina penale sporca, confida a un conoscente comune, nessuno gli darà una seconda possibilità. Ma Giulio, essere umano, ha fame e ha freddo. Col cibo si arrangia, qualcosa da mettere sotto i denti lo trova sempre, anche perché qualche giorno fa viene sorpreso a rubare in un supermercato, ma col gelo può farci poco. Allora si sistema nella grotta paleolitica che sorregge Torre Talao, simbolo della città scaleota.
È domenica mattina quando una guida turistica con al seguito un gruppo di turisti, si imbatte negli effetti personali dell'uomo e quella casa a cielo aperto ritagliata in un pezzo di roccia. C'è la sua inseparabile tenda, delle bottiglie d'acqua appese a delle corde, delle mascherine, un paio di ciabatte estive e un pavimento di cartone a dare una parvenza di normalità. L'uomo, che non parla molto volentieri, non vuole lasciare quel posto e viene segnalato di nuovo. Quando i carabinieri arrivano per portarlo via, lui si presenta al loro cospetto con i polsi incrociati, mimando il segno delle manette. Forse un po' ci spera che lo portino in carcere. Magari una cella di un penitenziario per lui è molto meglio della libertà, della quale non sa che farsene. I militari lo conducono invece in caserma e dopo i controlli di rito e l'ennesima segnalazione alle autorità giudiziarie, l'uomo viene rimesso in libertà. Anche stavolta nessuno può mettere fine a un destino atroce e a quel passato che lo perseguita.
L'ira contro le vetrate della stazione
Due sere fa Giulio si presenta presumibilmente in preda ai fumi dell'alcool nella stazione ferroviaria di Scalea. Chissà, forse vorrebbe prendere il primo treno o forse gli balena qualche brutto pensiero in testa. Nell'indecisione spacca tutto, spargendo il terrore tra i presenti. Se la prende con porte e finestre, spacca quei vetri come se fossero i pensieri che lo attanagliano. Un colpo dopo l'altro, senza tregua. In pochi minuti è tutto distrutto, come se fosse scoppiata una bomba. Sul posto arrivano, un'altra volta, le forze dell'ordine. È solo a questo punto che ci si rende conto che Giulio non ha bisogno dei rimproveri o dei giudizi degli altri, ma di aiuto.
Gli agenti della polizia locale gli tendono le braccia. Ci siamo noi qui, fidati di noi, devono avergli detto. Giulio si fida e abbassa le sue difese, si arrende. «Avete ragione, ho bisogno di aiuto». E anche di un po' d'amore. Sale con le sue gambe sull'ambulanza che lo porterà in ospedale, dove sarà sottoposto alle cure dei sanitari. Finalmente qualcuno si è preso cura di lui. Nel frattempo sarebbe potuto morire o fare del male ad un ignaro passante. Per stavolta è andata bene, ma tra qualche giorno Giulio sarà dimesso e tornerà di nuovo in strada, sempre più solo. Non ci sono né soluzioni né strutture adeguate che possano occuparsi di lui. La storia si ripeterà e speriamo solo che il destino sia clemente come la prima volta. Tanto nessuno può farci niente. In bocca al lupo, Giulio.