Pochissime le reazioni alla decisione del superboss crotonese di collaborare con i magistrati. Un vuoto che rimbomba di timori e sospetti su clientele, voto di scambio e collusioni
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“In un altro Paese”, il docufilm di Marco Turco di metà anni Duemila tratto dal libro del giornalista italo-americano Alexander Stille - peraltro figlio del grande Ugo che ha a lungo diretto il Corriere della Sera da New York - racconta con stupore e indignazione come la Sicilia sia per quasi mezzo secolo diventata una sorta di immensa zona franca in cui non solo ogni genere di reato si compiva quasi alla luce del sole, ma dove chi tentava di opporsi - compresi servitori dello Stato, pure legittimamente ben protetti - veniva falciato in modo inesorabile insieme a quanti dovevano tutelarne l’incolumità. L’Italia come una qualunque Repubblica delle banane, dunque. Un luogo in cui esisteva una grande isola in cui Cosa Nostra faceva ciò che gli pareva. Una sorta di Medellin o Bogotà ai tempi di Pablo Escobar dove lo Stato non poteva, o meglio non voleva, opporsi alla ferocia dei palermitani prima e dei Corleonesi poi. Fatto che inorridiva Stille, voce narrante del documentario montato con spezzoni commentati pure relativi ad agguati e stragi efferate.
Tutti zitti
La politica calabrese e nazionale come lo Stato assente in Sicilia per oltre 40 anni dopo la notizia del pentimento di Nicola Grande Aracri. Chissà se Stille verrà anche in Calabria, magari all’esito del primo maxiprocesso alla ‘ndrangheta Rinascita-Scott, per raccontarci come giovedì 16 aprile 2021 (ovvero ieri) di fronte alla notizia dell’inizio della collaborazione con la magistratura di una sorta di capo dei capi della ‘ndrangheta, anche se non omologo di Totò Riina nell’organigramma della mafia calabrese ma di sicuro molto molto in alto, la politica abbia taciuto. Già, proprio la stessa politica che di solito inonda le redazioni dei giornali di comunicati a ogni stormir di fronda. Nell’occasione, invece, del pentimento di Grande Aracri, di esternare non ne ha proprio avvertito l’esigenza. Anzi, ricorrendo a un’espressione parecchio abusata, sentenzieremmo come abbia preferito rispondere con un assordante silenzio.
Dove sono i paladini dell'antimafia?
In quali “faccende affaccendati” erano i paladini calabresi dell’antimafia nelle Istituzioni? Scusateci per l’insistenza, ma la domanda sorge spontanea così come la nostra incredulità: eccetto Nicola Morra e pochi altri, dove sono finiti senatori, deputati e consiglieri regionali, sempre in fila per testimoniare quanto odino e combattano - per quello che possono fare naturalmente - la più potente e ricca associazione criminale del mondo. C’entrerà mica il voto di scambio? Può insomma darsi che il superboss metta in imbarazzo parecchi “rappresentanti del popolo”, magari facendogli fare un viaggetto in Procura e poi in carcere raccontando come siano arrivati nei palazzi del potere locali e romani? E che dire della rete di imprenditori e professionisti che nel territorio più povero d’Italia stanno invece facendo gridare al nuovo “miracolo italiano”? Sono per caso coinvolti in qualche operazione indicibile? Non lo sappiamo, per carità. Ma a giudicare dalla ‘perdita della favella’ notata in molti d’abitudine assai loquaci qualche sospetto di imminente maxiblitz ci viene. Eccome.