«Rumbulu e miserabili». Il 22 febbraio del 1943, a Maropati, il socialista Vincenzo Romeo parla per 45 minuti dal suo balcone. Protesta contro l’arresto di sei donne che protestavano per il sussidio militare: l’invettiva è indirizzata al podestà del paese che ha fatto chiudere i mulini per affamare la popolazione. “Rumbulu” parrebbe riferito alla stazza non proprio filiforme dell’avversario, “miserabili” non ha bisogno di traduzione. Finisce nel mirino anche il segretario del fascio: «Tignusu, cornutu e miserabili». Romeo dice di più: non vede l’ora che in Italia arrivino gli inglesi per stringere loro la mano.

Questa e molte altre testimonianze sono tornate alla luce grazie a un saggio dello storico Rocco Lentini. E raccontano la Resistenza prima della Resistenza. Sul piano della ricerca non è una banalità: la Calabria è sempre stata considerata una regione sostanzialmente priva di opposizione al fascismo. Neppure le date sono banali: l’inizio della guerra di Liberazione è fissato all’8 settembre 1943, l’invettiva dal balcone di Maropati la anticipa di sette mesi. E non è l’unico esempio. Ci sono le azioni partigiane del movimento antifascista clandestino di Reggio Calabria nell’aprile 1943. C’è il racconto, che si deve ad Alessandro Cavallaro ne La rivoluzione di Caulonia, della nascita di diversi centri armati nella Jonica reggina che nel luglio del 1943 ricevevano carichi di armi dagli inglesi.

Il saggio di Lentini ripesca la storia di un gruppo di professionisti della provincia di Reggio Calabria, 19 persone, arrestate per la loro propaganda antibellicista e antifascista: «Lanciavano le basi di un movimento insurrezionale che sarebbe dovuto coincidere con lo sbarco degli angloamericani nell’Italia meridionale e che si proponeva di abbattere il fascismo». A casa di uno degli arrestati, Rosario Rovere, di Serrata, la polizia trovò documenti con il programma del movimento e i piani militari per prendere il controllo di aeroporti, caserme, ferrovie sulle coste calabresi.

C’è poi il diario del maggiore Peter Young, vice comandante dell’esercito inglese: descrive le operazioni anfibie a Bova Marina e l’incontro nel Reggino: «Uno degli uomini mi colpì per quanto era magro e nervoso. Ci disse che aveva trascorso cinque anni in prigione perché non era fascista. Le altre persone asserirono che egli aveva ucciso un capitano tedesco. Dissero di essere circa seicento social democratici, molti di loro armati». L’uomo che guidava il gruppo di ribelli era Michele Romeo, ex socialista massimalista arrestato nel 1927: aveva con sé 200 manifestini inneggianti al socialismo ed era stato confinato a Ustica e Ponza. Il suo impegno politico lo aveva portato più volte in prigione: la Prefettura di Reggio Calabria nel 1939 lo segnala tra i dieci irriducibili antifascisti della provincia «per la loro particolare e reale pericolosità». Da un carcere all’altro, Romeo sarà liberato nell’agosto 1943 ed eccolo lì, a Bova Marina, pronto ad affiancarsi agli inglesi.

Anche a Taurianova, dove il leader del fascismo locale è Arturo Fefè Zerbi, l’opposizione al regime c’è nonostante gli squadristi siano tra i più violenti della provincia. Gli antifascisti operano in clandestinità ma sovente escono allo scoperto per affrontare i ras locali. Lentini ricorda l’arresto, il 3 dicembre 1930, «del medico condotto Ferdinando Iamundo De Cumis, con l’accusa di aver sobillato dei pregiudicati a bastonare la camicia nera Domenico Pavone e per essere stato implicato nel ferimento a fucilate della camicia nera Serafino Sergi, gravemente ferito a opera di ignoti». De Cumis – si evince da comunicazioni riservate al questore dell’epoca – non fa mistero della sua avversione al regime («se ne fotte del fascio» è l’espressione usata) e viene punito con due anni di confino in provincia di Nuoro.

Anche Giuseppe Pangallo, amico e compagno di De Cumis, fu confinato per aver, tra l’altro, «imposto, in San Martino di Taurianova, l’interruzione del canto dell’inno Giovinezza». Nel centro della Piana di Gioia Tauro i conflitti proseguono e quando il Re fa arrestare Mussolini e nomina Pietro Badoglio presidente del Consiglio, le opposizioni decidono di uscire allo scoperto.

È il 25 luglio 1943: un gruppo di artigiani e piccoli commerciali costituisce il Partito socialista. Lo sbarco alleato in provincia di Reggio Calabria pare imminente: tutti capiscono quanto sia strategica l’area dello Stretto in quel momento del conflitto. È il momento dei bombardamenti, nei centri più caldi il conflitto esplode. E la Calabria non è certo tagliata fuori da quei mesi di scontri feroci per la libertà. Il lavoro degli storici ci svela che non lo è mai stata. Fin da quell’invettiva contro i fascisti «miserabili» pronunciata su un balcone di Maropati.