Sfumature di luce riescono per la prima volta a cogliere le impronte molecolari delle aree del cervello più nascoste e difficili da raggiungere e, grazie a queste informazioni, diventa possibile studiare e comprendere il più complesso degli organi. Il risultato è pubblicato sulla rivista Nature Methods con il coordinamento del dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Padova e dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) con i centri di Lecce e Genova. Alla ricerca hanno partecipato le Università del Salento, Magna Graecia di Catanzaro e il Politecnico di Bari, oltre all'Instituto Cajal di Madrid.

«La tecnica che abbiamo utilizzato sfrutta una caratteristica particolare, seppur sfuggente, dell'interazione luce-materia», dice il primo autore della ricerca Filippo Pisano, dell'Università di Padova e del centro Iit di Arnsano (Lecce). «Quando un fascio di luce, di un colore molto ben definito, colpisce una molecola - prosegue - una minima parte dell'energia della luce innesca delle vibrazioni nella molecola. Immediatamente dopo, una piccola porzione del fascio viene diffusa con una lieve alterazione del colore iniziale. Misurare questa sfumatura di colore fornisce preziose informazioni sulla struttura chimica della molecola colpita, senza necessità di utilizzare marcatori esterni».

La nuova tecnica, non invasiva e che non utilizza mezzi di contrasto o marcatori di alcun tipo, apre una nuova strada nella ricerca sul cervello, basata sulla scienza che studia la luce e il modo in cui questa interagisce con la materia (fotonica).

Il fenomeno che sfrutta si chiama diffusione Raman ed «è già stato impiegato nello studio dei tessuti biologici, con alcune recenti applicazioni in ambito clinico», osserva Ferruccio Pisanello, coordinatore del Centro per le Nanotecnologie Biomolecolari dell'Iit a Lecce.

«Per la prima volta - aggiunge - siamo riusciti a effettuare registrazioni in aree cerebrali profonde, minimizzando il danno tissutale. Questo è stato possibile grazie combinazione non convenzionale di luce nel vicino infrarosso, con fibre ottiche impiantabili, microscopi appositamente progettati, e tecniche avanzate di analisi dati, inclusi algoritmi di intelligenza artificiale».

Per un altro autore della ricerca, Massimo De Vittorio dell'Università del Salento e dell'Iit di Lecce, «sebbene ancora lontana da applicazioni mediche, questa metodologia dischiude nuove possibilità per una comprensione più profonda della fisiologia cerebrale che ipotizza promettenti applicazioni sullo studio di condizioni neurologiche patologiche, quali i tumori cerebrali e i traumi cranici».