Anche in zona Timpa delle Magare nell'attuale comune di Castelsilano, dei resti del mig libico e del cadavere del pilota subito dopo fu oggetto di depistaggi. Testimoni del luogo contribuirono a ricostruire i fatti
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C'era un vento leggero quella sera di 44 anni fa quando il comandante pilota Domenico Gatti nella sua ultima comunicazione dichiarava di trovarsi sulla rotta verso l'aeroporto Punta Raisi di Palermo, che contava di raggiungere entro la successiva mezz'ora. Parlava della rotta del volo IH870 Bologna-Palermo ed era la sera del 27 giugno 1980. Il comandante alla guida del DC9 della compagnia aerea Itavia, con a bordo 81 persone, 77 passeggeri di cui 12 bambini e quattro membri dell'equipaggio, non sapeva della guerra in atto nei cieli italiani in quel momento e del fatto che il suo aereo civile, con a bordo cittadini innocenti, si sarebbe trovato al centro di un inseguimento.
Il comandante Gatti non sapeva che già sulla rotta dell'aereo che guidava era stata segnalata la presenza di un "intruso" a bassa quota per colpire il quale, il suo aereo civile sarebbe rimasto fatalmente coinvolto.
Registrazioni mancanti, radar disattivati, comunicazioni parziali, documenti distrutti e manomessi, segretazione della presenza personale nelle basi aeree di quella sera, bugie e depistaggi hanno scandito la storia inquietante di questa tragedia. Un mistero, ma non per tutti. Un inganno, la cui trama iniziò ad essere tessuta già da prima della scomparsa dell'aereo, mai arrivato a destinazione, e che ancora oggi non è stata pienamente svelata.
27 giugno 1980
Il DC9 Itavia non è mai atterrato perchè è precipitato al largo di Ustica la sera del 27 giugno 1980, poco prima delle 21. Nessun sopravvissuto ad una strage la cui causa soltanto quasi vent'anni dopo fu chiamata per nome: abbattimento. Dunque non cedimento strutturale e neppure attentato terroristico o esplosione. Solo la pronuncia per risarcimento ai familiari e per la compagnia aerea, scomparsa dai cieli già dal 1981 a seguito della revoca della licenza da parte del Ministero dei Trasporti. La strage resta, infatti, ancora senza responsabili diretti e senza complici. La prescrizione l'ha fatta da padrona, sacrificando il diritto alla piena verità e alla giustizia con buona pace, come troppo spesso accade in Italia, del nostro Stato di Diritto.
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La guerra aerea
Secondo le analisi possibili su ciò che resta del relitto, sarebbero da escludere le ipotesi di una bomba, di una deflagrazione interna o esterna e di un missile che abbia colpito l'aereo prima che esso precipitasse nel mar Tirreno Meridionale. Nessun foro di ingresso sarebbe stato trovato. Forse sulle ali delle tracce che potrebbero lasciare pensare, invece, a una collisione.
Nonostante le registrazioni radar distrutte ed eliminate, come quelle del centro radar di Licola il più vicino al punto del disastro, la difficile ricostruzione propende per una guerra in atto nei cieli italiani con aerei statunitensi, francesi, belga, tedeschi e italiani impegnati nell'inseguimento di una coppia di mig 23 libici che poi si separarono.
Il quadro emerso negli anni restituisce l'immagine di almeno cinque aerei che, intorno al DC 9, interferivano con la sua rotta poco prima della sua destrutturazione. La causa? Con molta probabilità una interferenza destabilizzante, forse anche fisica ancorché leggera, causata dal passaggio di un jet militare o dalla collisione con lo stesso. Quindi la violenta picchiata verticale nel mar Tirreno a largo di Ustica e la scomparsa dai cieli e dai radar del DC 9 Itavia, poi dato per disperso.
Il ritrovamento di un serbatoio di carburante in dotazione a caccia americani e il casco di un pilota, poi scomparso, farebbero concludere che anche uno degli inseguitori, il caccia americano, dopo la probabile collisione, possa essere precipitato.
Gli interrogativi
Ma perchè quei mig libici erano nei cieli italiani? Perchè così vicini a un aereo di linea civile? Perchè ad un tratto si scatenò una guerra aerea che avrebbe dovuto rimanere nascosta e sottaciuta e che avrebbe dovuto avere luogo nonostante il coinvolgimento involontario ma effettivo di un aereo civile con 81 passeggeri a bordo?
Questi laceranti interrogativi oggi hanno una risposta anche se un nuovo processo potrebbe delineare altri scenari. La strage è rimasta, comunque, senza colpevoli.
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L'amicizia "nascosta" con la Libia
Sulla base di un accordo con la Libia, paese inviso a Nato e Stati Uniti ma "amico" dell'Italia, in forza di relazioni commerciali e di azioni Fiat vendute al colonnello Gheddafi, i mig libici, non in assetto di guerra ma in missione di mero trasferimento da uno scalo all'altro, attraversavano i cieli italiani.
Un accordo di cui solo l'Aeronautica e Servizi segreti italiani sapevano. I mig libici in manutenzione nella ex Jugoslavia per tornare a Tripoli, sfruttavano la scia di aerei di linea italiani per non manifestarsi ai radar e poter passare in modo indisturbato e anonimo nei cieli italiani non lasciando tracce. Dunque aerei militari libici nei cieli italiani, ad un passo da basi aeree americane presenti su suolo italiano. Un accordo assolutamente informale tra l'Italia e la Libia che Nato e gli Stati Uniti non avrebbero consentito e di cui non erano stati messi al corrente.
Quella sera i mig, dunque, avrebbero dovuto porsi sulla scia (in coda) di un aereo civile per sfuggire ai radar. Usciti dai cieli italiani, avrebbero lasciato l'aereo di linea garante della copertura radar ("protettore") per rientrare in Libia. Neppure avrebbe dovuto essere il Dc 9 il suo protettore, ma lo era diventato transitando in quel tratto per via del ritardo con cui viaggiava.
I mig libici, il cui transito non era autorizzato a livello di Nato e Stati Uniti, scatenarono una guerra con l'intervento di altri aerei in assetto di guerra. In tutto questo rimase coinvolto il DC 9 Itavia.
La guerra nei cieli calabresi e il grave depistaggio
Un gravissimo tentativo di depistaggio riguardò quanto accadde anche nei cieli calabresi. Dopo la caduta del Dc 9, un mig libico si allontanò inseguito da due caccia. La guerra aerea stava risalendo la penisola, spostandosi dalle coste della Calabria fino ai monti della Sila. Il ritrovamento del relitto di un mig libico e del cadavere del pilota sui monti della Sila in zona Timpa delle Magare, nell'attuale comune di Castelsilano (oggi in provincia di Crotone e all'epoca nella provincia di Catanzaro) fu ufficializzato solo dopo venti giorni, il 18 luglio 1980. Ennesimo tentativo di depistaggio e un'altra gigantesca bugia. Quel corpo già decomposto a quella data non era deceduto in quelle ore allora ma alcune settimane prima, proprio in coincidenza con la strage di Ustica. E infatti numerose furono le testimonianze di civili che la sera del 27 giugno videro nel cielo attività volative anomale. Si tentò di legittimarle perché nessuno aveva assistito direttamente alla caduta del velivolo libico.
Il giudice istruttore Rosario Priore raccolse una serie di testimonianze in questo senso. La tesi fu confermata da chi, obbedendo alla propria coscienza e non alla ragion di Stato che in ogni contesto possibile aveva ordinato il massimo riserbo, come il maresciallo del Sios Aeronautica, Giulio Linguanti.
La sentenza - ordinanza del 1999: «Fu un atto di guerra non dichiarata»
La complessa istruttoria condotta dal magistrato Rosario Priore si concluse il 31 agosto 1999, con l'ordinanza di rinvio a giudizio -sentenza istruttoria di proscioglimento, rispettivamente, nei procedimenti penali avviati nel 1984 e del 1990. Escluse le ipotesi di una bomba a bordo e di un cedimento strutturale, le cause della sciagura furono ascritte a un evento esterno al DC-9. Non si giunse però a determinare e a capire chi avesse abbattuto l'aereo civile e perchè.
«L'inchiesta è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell'ambito dell'aeronautica militare italiana sia della Nato, le quali hanno avuto l'effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto. (...) L'incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un'azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti».
Uno scenario complesso e che resta inquietante. Una guerra imbracciata contro due aerei "nemici" che però non erano in assetto di guerra e la cui sola presenza avrebbe lanciato, come poi avvenuto, la massima allerta, con ordine di inseguimento e abbattimento. Neanche la presenza di un aereo di linea 81 civili innocenti a bordo, deviò il corso della storia. La guerra è guerra ed è sempre assurda. Ma in questo caso il tentativo fu anche quello di nasconderla. A qualunque costo.
Nuovo filone di indagini
La procura di Roma ha aperto una nuova inchiesta a seguito delle dichiarazioni rilasciate nel febbraio 2007 dall'allora presidente del Consiglio dei Ministri ed ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga:. «Il Dc 9 sarebbe stato colpito da un missile a risonanza e non a impatto, lanciato da un velivolo dell'Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau. Furono i servizi segreti italiani a informare me, quando ero presidente della Repubblica, e l'allora sottosegretario di Stato e oggi ministro dell'Interno Giuliano Amato dell'accaduto».
Daria Bonfietti, instancabile presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica, che con la Regione Emilia e il comune di Bologna ha promosso anche l'istituzione Fondazione Museo per la memoria di Ustica, ancora oggi denuncia il conseguimento di una verità parziale, nonostante i 44 anni trascorsi e le loro richieste di giustizia.
«La Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne», ha sottolineato oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Morti invisibili e il buco nero della ragion di Stato
Questo mistero, che ingurgita emblematicamente tutte le morti che in nome della ragion di Stato possono essere ritenute "accettabili" e "tollerabili" e anche tutte quelle sospette che seguirono a quella sciagura, risuona in modo assordante. Risuona anche in ogni circostanza in cui la verità si nasconde, negando anche a chi avrebbe il diritto-dovere di raccontarla la possibilità di farlo. La verità non si racconta e non si lascia raccontare quando è scomoda. Una ragion di Stato ineffabile e irrinunciabile al punto da autoproclamarsi più importante della vita di civili innocenti, siano anche migranti naufragati nel cuore oscuro del Mediterraneo. Nessuna responsabilità umana, morale e politica.
Morti invisibili, verità negate. Ustica resta una ferita aperta e un buco nero profondissimo in cui, come accadde quella sera al DC 9 di Itavia, precipitano violentemente la nostra Costituzione, la nostra Democrazia, la nostra speranza di essere sempre e comunque un Paese degno e civile.