Undici furono le prime sindache della nostra storia repubblicana, di queste tre furono calabresi. Un doppio primato per la nostra regione, conquistato nel momento storico delle prime elezioni svoltesi nel 1946 a suffragio universale (introdotto già nel 1945), dunque anche con il voto delle donne. La Calabria, infatti, fu la regione che ebbe il maggior numero di donne sindache in questa prima storica tornata. Furono appunto tre su undici: Caterina Tufarelli Palumbo Pisani, Lydia Toraldo Serra e Ines Nervi Carratelli.

Caterina Tufarelli Palumbo Pisani fu, inoltre, la prima sindaca d'Italia, a San Sosti nel cosentino, nelle fila della Democrazia Cristiana. Era il 24 marzo 1946.

Dal 1946 l’Italia è una Repubblica. Una scelta che fu anche delle donne, al primo voto politico del 2 giugno in occasione del Referendum Monarchia – Repubblica. Il primo corale atto di Democrazia dopo la lacerante dittatura, la Seconda guerra mondiale e la dura Liberazione dal nazifascismo.  

Il voto che cambiò il destino dell'Italia

Con un’affluenza che per un soffio non toccò il 90 %, in Italia scelsero la Donna Turrita oltre 12 milioni (12 717 923) di cittadine e cittadini. Per la Monarchia, a sbarrare sulla scheda elettorale lo Stemma sabaudo furono poco più di 10 milioni (10 719 284) di italiane e italiani. Furono poco meno di 13 milioni su quasi 25 milioni di votanti, gli uomini e le donne che, chiamati a scegliere tra Monarchia o Repubblica, scelsero quest'ultima. E in quello scarto di circa due milioni di voti affondano le radici la nostra Repubblica, spesso fragile e claudicante come la nostra democrazia, e la nostra Costituzione tanto lungimirante quanto troppo spesso inattuata. In quel momento l’Italia, ancora profondamente ferita, invocava un altro destino. Si apriva un nuovo capitolo della sua storia.

Il 10 giugno 1946, dopo 85 anni di Regno d'Italia (Umberto II di Savoia fu l’ultimo monarca), la corte di Cassazione dichiarò la nascita della Repubblica Italiana. Il 2 giugno 1946 furono eletti anche 556 componenti dell’Assemblea Costituente, tra loro 21 donne (soltanto poco più del 3%), di cui però nessuna calabrese, chiamati a scrivere la Costituzione la legge superprimaria e scrigno dei valori fondanti della nascente democrazia.

Ad elezioni libere e democratiche erano stati già chiamati oltre 5720 comuni nel corso delle prime cinque tornate amministrative (svoltesi tra il 10 marzo e il 7 aprile 1946). Il secondo periodo di elezioni si snodò tra l'ottobre e il novembre 1946, coinvolgendo 1.383 comuni in otto tornate.

In occasione di queste prime libere elezioni protagoniste furono anche le donne, elettrici ed eleggibili come consigliere comunali e poi anche sindache. Furono 11 le donne prime cittadine dopo quelle storiche consultazioni, di cui ben tre calabresi e tutte e tre democristiane.  

Caterina Tufarelli Palumbo Pisani (Nocara, Cosenza 1922-Roma 1979)

Prima cittadina donna d’Italia, divenne sindaca a soli 24 anni, nel comune di San Sosti nel cosentino, nelle fila della Democrazia Cristiana. Con le altre due donne democristiane calabresi, Ines Nervi Carratelli a San Pietro in Amantea e Lydia Toraldo Serra a Tropea, è annoverata tra le cosiddette Donne del '46 e Madri della Repubblica. La docuserie "Donne di Calabria", realizzata dalla Calabria Film Commission nel 2021 e presentata al Festival del Cinema di Roma ne ha celebrato la storia.

Quella di Caterina Tufarelli Palumbo fu un’elezione all’unanimità e la sua guida della comunità fu illuminata. Con il suo alacre impegno migliorò le sorti di una realtà afflitta da povertà e ingiustizie sociali. Costruì scuole, l'acquedotto, il mercato una struttura di accoglienza per i bisognosi. Nel 1952, al termine del suo mandato, si scusò con la cittadinanza per quanto non era riuscita a fare. Madre di Oscar, Giuseppe e Giorgio, fu un punto di riferimento del marito, Baldo Pisani. Prima eletto consigliere provinciale, egli poi presidente della Provincia di Cosenza per ben tre consiliature.

Il suo sguardo e il suo impegno furono orientati agli ultimi che seguì e sostenne per oltre trenta anni anche nella qualità di presidente delle Dame di Carità, organismo legato alla Chiesa Cattolica. Così ricostruisce Letterio Licordari nel dizionario biografico della Calabria Contemporanea dell'Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (Icsaic).

Ines Nervi in Carratelli (San Pietro in Amantea, Cosenza 1904 - 1987)

Candidata come capolista con la Democrazia cristiana, divenne sindaca di San Pietro in Amantea all'età di 42 anni, il 31 marzo 1946. In quella prima tornata elettorale entrò nella vita politica e amministrativa del piccolo Comune del Tirreno cosentino anche Vincenzina Licarelli in qualità di consigliera comunale. Sposata con Vincenzo Carratelli, commissario prefettizio del comune di San Pietro in Amantea negli anni del fascismo, Ines fu madre di due figli, Carolina e Saverio.

Durante la sua amministrazione, segnata anche da una significativa crescita demografica, furono realizzate importanti opere pubbliche. Videro la luce la fognatura comunale, la pavimentazione della strada principale che collegava piazza IV novembre e piazza Margherita, interventi di riqualificazione urbana. Il suo impegno fu votato anche a favorire l'occupazione, l'emancipazione femminile con una grande attenzione ai giovani. Amministrò fino al 1952, quando decise di non ricandidarsi e di tornare a fare la maestra elementare. Così ricostruisce Prospero Francesco Mazza nel dizionario biografico della Calabria Contemporanea dell'Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (Icsaic).

Lydia Serra Toraldo (Cosenza 1906 - Tropea, Vibo Valentia 1980)

Prima laureata in Calabria in giurisprudenza, moglie di Pasquale Toraldo dei marchesi di Tropea, dove poi si trasferì, fu madre di quattro figli: Nicola Maria, Carlo Felice, Pier Raffaele e Raffaella Maria.

Amministrò Tropea dall'aprile del 1946 all'autunno del 1960. Candidata con la Dc, nel 1946 conquistò 1.358 consensi, distanziandosi di poco dal primo, il cognato Giuseppe Toraldo (1.365 voti). Fu lei ad essere indicata come sindaca l'8 aprile 1946. I quasi 2mila consensi delle successive elezioni del 1952 rafforzarono la sua leaderaship, nonostante una consiliatura non facile. Su di lei anche l'accusa di una gestione troppo accentrata dell'azioni amministrativa.

Le sue scelte votate a sostenere le fasce più povere, con l'istituzione della locale scuola pubblica, le costarono l'ostilità di nobili e borghesi. Subentrarono poi altri conflitti. Sfiduciata dal Consiglio comunale, si candidò con una lista autonoma Giustizia sostenuta anche a Missini e Monarchici, Nel 1953 conquistò, così un terzo mandato. Pervennero le congratulazioni di Luigi Einaudi, allora Presidente della Repubblica, e di diversi esponenti della dirigenza democristiana romana. Stigmatizzata la sua scelta di correre con una lista autonoma, tuttavia, il collegio provinciale dei probiviri locale e nazionale, tuttavia ne decretò l'espulsione dalla Dc.

Al voto del novembre del 1960 uscì perdente. In seguito, si candidò alle elezioni politiche del 1963 nel Partito Liberale Italiano per il collegio di Vibo e poi alle amministrative del 1964. Sconfitte che furono preludio del suo ritiro dalla vita politica per dedicarsi alla famiglia, alla gestione di proprietà immobiliari e terriere. Lydia Serra Toraldo aveva anche la passione per l'arte di dipingere quadri, ancora oggi conservati nel palazzo Toraldo a Tropea. Per alcuni anni fu la corrispondente per il quotidiano «Roma» di Napoli, lasciando emergere la sua vocazione politica e il suo impegno contro le ingiustizie sociali, e giudice popolare presso il tribunale di Crotone. Per la sua attività politico-amministrativo, fu insignita, nel 1972, l'onorificenza dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana.

Così Lucia Montesanti ricostruisce la sua storia nel dizionario biografico della Calabria Contemporanea dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (Icsaic).

La sala delle Donne a Montecitorio

Le foto delle tre sindache calabresi sono presenti con le altre 8 (Ninetta Bartoli, Elsa Damiani, Margherita Sanna, Ottavia Fontana, Elena Tosetti, Ada Natali, Anna Montiroli, Alda Arisi), nella sala delle Donne a Montecitorio. Essa fu inaugurata nel 2016 su impulso dell'allora presidente della Camera Laura Boldrini. Su una parete le 11 sindache su un'altra le 21 madri costituenti, elette proprio il 2 giugno 1946.

Su un'altra parete le prime donne entrate a far parte delle istituzioni democratiche nazionali. La prima ministra Tina Anselmi, la prima presidente della Camera Nilde Iotti, la prima presidente di Regione Anna Nenna D’Amico. Negli anni successivi, Elisabetta Casellati, prima presidente del Senato, Marta Cartabia, prima presidente della Corte Costituzionale. Oggi restano da occupare le cariche di prima donna amministratrice delegata di una società partecipata statale e di prima presidente della Repubblica, al posto della cui foto la sala delle Donne ospita ancora uno specchio. Lo stesso che fino al marzo dello scorso anno era affisso prima che fosse appesa la foto di Giorgia Meloni, prima presidente del Consiglio dei Ministri.

Una sala che è uno dei segni del percorso di parità ormai avviato ma il cui concreto avanzamento richiede impegno, giorno dopo giorno. Un percorso ancora lungo e impervio, esso stesso presidio di libertà e antidoto alla disuguaglianza, alle ingiustizie sociali e al pregiudizio. Questi ancora nel nostro paese hanno cittadinanza, seppure sia loro espressamente negata da quella stessa Costituzione che nel 1946 si iniziò a scrivere.

C'è ancora domani

Il film evento dell'anno, diretto e interpretato da una strepitosa Paola Cortellesi, C'è ancora domani, ha vinto 5 David di Donatello. Miglior regia esordiente, miglior attrice e miglior attrice non protagonista (Emanuela Fanelli), Miglior sceneggiatura originale (Furio Andreotti, Giulia Calenda e Paola Cortellesi) e David Giovani. Un risultato che ha reso Paola Cortellesi, la donna più premiata in un'unica edizione, al pari di Roberto Benigni del 1998 con La vita è bella.

Un riconoscimento al messaggio tanto essenziale quanto dirompente: il valore altissimo del voto, oggi scontato e spesso ritenuto un diritto dovere trascurabile per le donne nel 1946. Per loro fu uno strumento di straordinaria emancipazione, un atto irrinunciabile di cittadina (finalmente) di donna consapevole del suo valore e del suo contributo ad un cambiamento necessario anche per le altre future donne. Occorreva iniziare a sfidare il grigiore di una vita "arresa" con i colori del desiderio sopito di libertà. Un messaggio affidato, infatti, ad una pellicola in bianco e nero a ricordarci da dove veniamo e dove ancora siamo, se in troppe case e in troppi luoghi questa democrazia nata 78 anni fa, sotto il giogo del pregiudizio e della violenza già muore. O forse ancora deve nascere.