Un’interrogazione parlamentare fa tornare d’attualità la polemica sull’esposizione torinese che raccoglie le testimonianze pseudoscientifiche del padre (rinnegato) dell’antropologia criminale
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“Lombroso è un emerito coglione”. Sono passati più di cento anni da quando uno dei maggiori scrittori moderni, Joseph Conrad, fece pronunciare questo giudizio tranchant al protagonista di uno dei suoi libri, L’agente segreto. “Ma voi un idiota simile lo avete mai visto? - continua l’autore, tra gli altri libri, anche di Cuore di tenebra, forse il suo romanzo più famoso -. Per lui, il criminale è il detenuto. Semplice, no? E quelli che lo hanno messo in prigione, che lo hanno costretto ad entrarvi? Proprio così. Costretto a entrarvi. E il crimine, che cos'è? Lo sa lui cos'è, quest'imbecille che si è fatto strada in questo mondo di idioti rimpinzati di cibo guardando le orecchie e i denti di un mucchio di poveri diavoli sfortunati?”.
Uno scandalo lungo un secolo
È passato un secolo, anzi di più, ma Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, e le sue teorie quasi subito confutate dalla scienza vera, continuano a far discutere e a sollevare polemiche.
Pietra dello scandalo resta il museo di antropologia criminale a lui dedicato, di proprietà dell'Università di Torino. Com’è arcinoto, le teorie lombrosiane si basano sul concetto del “criminale per nascita”, per il quale precise caratteristiche fisiche e anatomiche determinano il comportamento socialmente deviante di intere popolazioni, a cominciare dalle genti del meridione d’Italia.
Il prezzo pagato dal Sud
Per provare le sue bizzarre teorie, il medico torinese sezionò, misurò e catalogò centinaia di cadaveri, molti dei quali facevano parte dell’altissimo prezzo che il Sud pagò all’unificazione del Paese sotto la corona dei Savoia e all’invasione delle truppe piemontesi a caccia di “briganti”. Oggi, decine di quei resti umani – principalmente teschi e scheletri interi – sono conservati ed esposti nel Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, che sin dal suo riallestimento nel 2009 (centenario della morte del medico) non ha smesso di alimentare un accesissimo dibattito sulla liceità di questa macabra esposizione.
L'interrogazione al ministro Franceschini
A gettare nuova benzina sul fuoco ci ha pensato recentemente il senatore lucano Saverio De Bonis (eletto tra le fila dei 5s e poi passato al Gruppo misto, molto attivo sulle tematiche meridionaliste) che il 12 maggio scorso ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Cultura Dario Franceschini, affinché venga messa «la parola fine, una volta per tutte, a questa perenne e costante campagna diffamatoria e razzista ai danni dei meridionali».
«La convinzione di Lombroso - si legge nell’interrogazione - si basava in particolare sulla tesi "dell'uomo delinquente nato o atavico", il delinquente per natura, individuo che recherebbe nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano dall'uomo normale; il medico Lombroso non esitò a scorticare cadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più incredibili e crudeli interventi su uomini ritenuti criminali per le misure di parti del cranio e del corpo e tutto il materiale su cui lavorare gli veniva fornito da carabinieri, bersaglieri, guardia nazionale, eccetera, durante le mattanze al Sud. Ma Lombroso non disdegnava neanche procurarsi da sé l'occorrente per dare credito alle sue incredibili teorie fondate su certe forme di razzismo scientifico e per questo si recava personalmente nelle carceri dove erano detenuti ex soldati borbonici, briganti e veri delinquenti; la sua teoria infatti aveva individuato il delinquente "perfetto" nel meridionale».
Le motivazioni del museo
Per De Bonis non è sufficiente che il museo dichiari apertamente i suoi scopi divulgativi, spiegando che l’allestimento è stato concepito con una “funzione educativa intesa a mostrare come la costruzione della conoscenza scientifica sia un processo che avanza grazie alla dimostrazione non tanto di verità, quanto della 'falsificabilità' di dati e teorie che non resistono a una critica”. Una dichiarazione d’intenti che il museo ostenta anche sul suo sito internet, affermando che “il nuovo allestimento vuole fornire al visitatore gli strumenti concettuali per comprendere come e perché questo personaggio così controverso formulò la teoria dell’atavismo criminale e quali furono gli errori di metodo scientifico che lo portarono a fondare una scienza poi risultata errata”. Motivazioni che non convincono De Bonis e gli animatori del comitato No Lombroso, che da oltre 10 anni si batte per “la rimozione delle teorie criminologiche di Cesare Lombroso dai libri di testo nonché alla soppressione di ogni commemorazione odonomastica e museale”.
Dalla questione scientifica alla polemica politica
«Quale storia vogliono tutelare? – ha replicato il senatore dopo le numerose reazioni contrarie alla sua interrogazione, scattate soprattutto nel panorama politico torinese -. Si sono attivate le truppe cammellate per difendere un museo che evidentemente ha un valore simbolico inquietante su cui non voglio nemmeno commentare. Alla mia richiesta di chiusura al Ministro Franceschini ci sono state levate di scudi di ogni genere per difendere il diritto alla cultura e alla memoria storica. Il grande equivoco storico, culturale, scientifico su cui si basa questo improvviso rigurgito di libertà è che Cesare Lombroso sia stato uno scienziato in buona fede sconfessato poi dalle ricerche successive. E, soprattutto, che il Museo in questione metta in evidenza i suoi errori. Tutto falso». E ancora: «Quel museo è stato chiuso decenni fa ed è rimasto in stato di abbandono fino a quando la Lega - guarda caso - ha deciso di riaprirlo». Insomma, dalla polemica scientifica a quella politica il passo è breve.
La Calabria in prima linea
Ed è proprio questa commistione che rischia di alterare il senso di un dibattito estremamente importante, perché tocca temi delicatissimi come la libertà scientifica, la divulgazione del sapere (non inteso come verità assoluta), la pietà che dovrebbe essere riservata alle spoglie umane oggi esposte in un museo dopo aver subito ogni genere di oltraggio. Un aspetto, quest’ultimo, non affatto secondario, visto che nel 2012 il museo venne condannato a restituire i resti del “brigante” Giuseppe Villella ai suoi discendenti di Motta Santa Lucia, nel Lametino, dopo la causa intentata dal Comune. Sentenza ribaltata nel 2017 dalla Corte d’appello di Catanzaro, con il riconoscimento della “valenza scientifica” di quelle spoglie, poi confermata dalla Cassazione.
È solo l'inizio (ancora una volta)
Intanto, il fuoco che da cent’anni ancora arde sotto il razzismo pseudoscientifico di Lombroso ha ricominciato a crepitare e da quelle teste mozzate che occhieggiano dalle teche del museo torinese ha ripreso a balenare un dirompente atto di accusa: “Perché siamo ancora qui?”.