VIDEO | Gianluigi Greco è direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica, di recente il Governo lo ha scelto per guidare una commissione di tredici esperti che dovrà analizzare e gestire i cambiamenti tecnologici in corso
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Ai cubi 30 e 31 del campus di Arcavacata, a Rende, ha sede il Dipartimento di Matematica e Informatica. Demacs, in una parola, uno dei fiori all’occhiello dell’Università della Calabria. A dirigerlo, dal 2018, è Gianluigi Greco, docente e, da quasi due anni, presidente dell’Associazione italiana per l’intelligenza artificiale. La porta del cubo 31B si apre sul ponte carrabile e qui, alla destra di un breve corridoio, c’è un’altra porta. Per entrare bisogna citofonare, attendere il segnale di avvenuta connessione prima di presentarsi e poi qualcuno aprirà. Solo che il citofono, al momento, è fuori uso (sì, succede anche qui dove la tecnologia è il pane quotidiano) e allora è il professore stesso a raggiungere l’ingresso per aprire. L’ufficio è a una manciata di passi. Nella libreria, accanto a manuali di informatica e opere di Federico Faggin, anche un volume di Gerhard Rohlfs, “l’archeologo delle parole” che proprio qui all’Unical più di 40 anni fa si vide conferire una laurea honoris causa per i suoi studi linguistici sui dialetti calabresi. La stanza parla di chi la abita, di un professore con la mente ovunque e i piedi ben piantati nella sua terra, la Calabria che è centro di gravità permanente della sua attività. Anche adesso che una parte importante di questa si è spostata a Roma, da quando il Governo lo ha scelto per guidare la task force sull’intelligenza artificiale: tredici esperti da tutta Italia chiamati ad analizzare e gestire i profondi e veloci cambiamenti in corso.
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Professore, di cosa dovrete occuparvi?
«Si tratta di una commissione che dovrà aggiornare il piano strategico sull’intelligenza artificiale in Italia. Il nostro Paese aveva già un piano strategico, ce n’era stato uno nel 2018 che aveva uno specifico focus sulla pubblica amministrazione, poi nel 2020 uno del Mise e un aggiornamento nel 2021. Dal 2021 a oggi però ci siamo ritrovati immersi in un vero e proprio tsunami di natura tecnologica, sono cambiate tante cose, è cambiata finanche la regolamentazione con il Parlamento europeo che si appresta a varare un nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale. Sono cambiati i modelli, i sistemi, con la grande enfasi sui foundation model dei quali l’esempio più conosciuto è Chat Gpt. È anche cambiata la sensibilità, perché oggi siamo molto più attenti alle questioni etiche, all’impatto dell’intelligenza artificiale sulla nostra vita. Ecco, c’era bisogno di riprendere in mano quelle strategie e ragionare, alla luce di questi cambiamenti, su come possano essere riviste e riprogettate per i prossimi 3-5 anni».
Siete già al lavoro?
«Sì, è un lavoro molto complicato che vede insieme un gruppo di esperti, in particolar modo professori universitari ma di vari ambiti: non sono rappresentati solo gli ambiti informatici ma anche quelli giuridici ed etici. Inoltre la commissione si sta già avvalendo di numerose consultazioni perché è molto importante in questa fase riuscire a coinvolgere il tessuto produttivo-imprenditoriale, l’intero ecosistema dell’innovazione italiana».
Tra gli esperti c’è anche un avvocato costituzionalista. Che c’entra con l’intelligenza artificiale?
«Tutte le competenze sono importanti. Anzi, proprio l’aspetto costituzionale è rilevante perché molti degli ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale impattano su questioni specifiche presenti all’interno della nostra Costituzione. Non posso entrare nel dettaglio, ma abbiamo già fatto delle riunioni e ci siamo resi conto che alcuni articoli devono essere ben tenuti in conto quando si va a declinare delle strategie che possono incidere profondamente nella vita dei cittadini. C’è per esempio il tema che riguarda la gestione dei servizi centralizzati e le autonomie regionali, che è uno dei temi caldi. L’intelligenza artificiale è pervasiva ed è davvero importante avere competenze multidisciplinari e interdisciplinari».
L’aggettivo “pervasiva” un po’ spaventa: quali sono gli sviluppi che possono influire di più sul nostro quotidiano?
«Come dicevo, la rivoluzione dei foundation model è oggi sotto gli occhi di tutti. Chat Gpt ha davvero rivoluzionato il nostro mondo, noi sappiamo che da questi prodotti di nuova generazione si sta tirando fuori una grandissima capacità, quella di aiutare l’uomo a generare dei contenuti. Ecco, questi temi stanno diventando cruciali e cominciando a impattare sull’ottimizzazione del lavoro e sulla produttività individuale negli uffici in alcuni settori. Oggi ormai non si parte più da un testo scritto da zero, spesso si ha una prima bozza, si chiede a un sistema online di aiutare ad affinare questa bozza, si possono prendere dei contenuti video, si può realizzare quello che viene definito un approccio di co-pilot, che consente cioè di avere un assistente, un vero e proprio co-pilota che ci aiuta nel lavoro di ogni giorno. Questa rivoluzione è già nota e alla portata di tutti. Dobbiamo capire come reagire a questa rivoluzione, perché ci vogliono competenze e capacità di gestire questi prodotti, evitare di esserne dominati è oggi a mio avviso il tema essenziale. Più che di ulteriori grandi competenze tecnologiche c’è bisogno di un forte progetto di educazione alla cittadinanza digitale. Noi dobbiamo saper convivere con queste tecnologie, capirle, guidarle ed evitare che siano loro a instradare le nostre vite».
A questo proposito c’è un vero e proprio allarme sul fatto che il lavoro delle macchine possa prima o poi sostituirsi a quello umano e che già adesso alcuni prodotti rappresentino un rischio per la creatività in alcuni mestieri, a cominciare proprio da quello del giornalista.
«Le ipotesi che sistemi come Chat Gpt e simili sostituiscano alcuni lavori come quello del giornalista sono un po’ strane perché è come se riducessimo il lavoro del giornalista a una mera consultazione di siti web e a una raccolta di informazioni che stanno in giro, ma non è assolutamente così. È un lavoro che si basa su una grande attività creativa e sulla necessità di generare anche informazioni nuove. Non dimentichiamo che Chat Gpt è in grado solo di rielaborare informazioni che già conosce. Ho apprezzato molto un editoriale del New York Times di un po’ di tempo fa che ci aiutava a capire cosa fanno questi sistemi: Chat Gpt è in grado di rispondere sul perché una mela cada da un albero e di farlo in maniera molto accurata perché ha trovato dei libri di testo in cui è spiegata la legge di gravità. Ma proviamo a pensare, con un esperimento mentale, a chiedere a Chat Gpt la stessa cosa prima che Newton scoprisse la legge di gravità: non avrebbe potuto dirci nulla. Non dimentichiamo che certi mestieri hanno bisogno di forti elementi di creatività e su questo ci sarà continuo bisogno di forza lavoro. D’altra parte però è vero: ci sono anche mestieri che hanno un basso livello di creatività, in cui ci si limita a manipolare delle informazioni, lì questi sistemi potrebbero avere un impatto negativo. Allora è giusto che la società tutta si faccia carico di queste specifiche nicchie e pensi a dei programmi di reskilling e upskilling, cercando di capire in una prospettiva di medio e lungo termine come riorganizzare il lavoro».
Diceva all’inizio che il Parlamento europeo sta lavorando a un nuovo regolamento. Cambiamenti così veloci rischiano di trovarci impreparati?
«È stato un processo lunghissimo quello della definizione di una regolamentazione, un processo che è iniziato dalla Commissione europea che ha prodotto un testo che è poi stato portato all’attenzione dei vari Paesi, dopodiché è passato in Parlamento e adesso ha anche numerosi emendamenti: siamo al dunque, alla fase finale, entro dicembre ci aspettiamo che vengano discussi questi emendamenti, si ragioni sul testo finale e venga approvato il regolamento. Poi ci sarà un iter affinché diventi esecutivo nei vari Stati, si parla di circa un anno e mezzo ma sono tempi giusti, altrimenti si rischia di essere impreparati a una regolamentazione che non si può adottare dall’oggi al domani. Quel testo iniziale ormai è maturato e ha aiutato soprattutto ad amplificare la percezione che l’intelligenza artificiale debba essere indirizzata verso il bene della società e delle persone. Altri Stati fuori dall’Europa partivano da presupposti differenti: visto il nostro testo e il nostro coraggio nell’investire su un’intelligenza artificiale antropocentrica anche loro stanno cambiando idea».
Torniamo in Calabria. Siamo all’Unical, riconosciuta ormai come eccellenza nel campo dell’intelligenza artificiale. Qui si sfornano menti e ricerche: il tessuto produttivo della nostra regione è in grado di accoglierle?
«L’intelligenza artificiale ma più in generale l’informatica sono uno zoccolo duro della tradizione del nostro ateneo, che da anni vede la collaborazione di due dipartimenti, quello di Matematica e Informatica e quello di Ingegneria informatica, Dimacs e Dimes. È una tradizione che ha già avuto un impatto importante sul territorio. Si è dato vita a tante start up, tanti spin off. Dobbiamo davvero cambiare la narrazione: la Calabria è molto avanti dal punto di vista delle tecnologie, si è creato un ecosistema di persone che producono queste tecnologie e hanno una rilevanza nazionale. Da soli non si creano fenomeni, è un insieme di cause: la storia del nostro ateneo e dei tanti gruppi che hanno lavorato per anni in questi ambiti ma anche la presenza di un tessuto che ha recepito queste innovazioni e ha saputo farle proprie. Quello dell’informatica e dell’intelligenza artificiale è un buon esempio da analizzare per avviare altri importanti esempi sul nostro territorio. Abbiamo bisogno di mettere a sistema l’intelligenza artificiale che è ormai una tecnologia abilitante, cioè che abilita altri settori. Ecco, questa tecnologia deve essere al servizio di altri settori. Dobbiamo lavorare assieme per creare un impatto positivo anche sul tessuto produttivo e imprenditoriale in ambiti diversi dall’intelligenza artificiale e dall’informatica».