Con i calcoli effettuati sulle funi che dovrebbero reggere il Ponte sullo Stretto «si potrebbe progettare un pollaio o lo stendino di casa nostra». Certo non le strutture portanti di una mega opera sottoposta a sollecitazioni enormi e che dovrebbe avere quella che il professore Antonino Risitano definisce «vita infinita», non certo limitata a qualche decennio.

L’ingegnere, che è stato docente del dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Catania e anche preside della facoltà non si iscrive alla folta schiera dei No Ponte: «Io non sono contrario, sono a favore del Ponte a patto che sia sicuro, e una struttura a una campata non lo è, non è fattibile».

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Risitano lo spiega in convegni, incontri pubblici e anche sui suoi canali social: «Ho chiesto tante volte di confrontarmi con i progettisti e finora non me lo hanno consentito. Ma nessuno contesta ciò che dico». La metafora del pollaio serve a dire che i calcoli contenuti nel progetto definitivo di Webuild, per il tecnico, non sono sufficienti: sono parametri al ribasso per un’opera che invece dovrebbe garantire livelli di sicurezza altissimi. Tanto per capirci, non si può permettere «nel corso della vita del Ponte vi siano danni anche a un singolo bullone».

Le sottolineature tecniche di Risitano sono contenute in un documento dal titolo esplicito: “Impossibilità tecnica di passare dall’attuale progetto definitivo al progetto esecutivo”, cioè alla fase della realizzazione vera e propria. Almeno «allo stato attuale delle conoscenze scientifiche».

Per l’ingegnere, che il Ponte a campata unica non sia fattibile lo dicono proprio i progettisti: «Lo confessa la stessa Webuild in due dei pochi fogli dell’enorme incartamento progettuale che, guarda caso, sono scritti in lingua inglese e potrebbero sfuggire a una superficiale lettura».

Risitano si incarica di spiegare quelle due pagine, le foto e le annotazioni che le accompagnano. E ne ricava che «a giudizio dello stesso Progettista vanno eseguite prove di fatica sia sui cavi principali che sui relativi elementi di appoggio, prima di passare alla fase esecutiva del progetto». Fin qui tutto bene. I guai arrivano quando l’esperto arriva alle conclusioni e spiega cosa sarebbe necessario per effettuare le prove che trasformerebbero in esecutivo il progetto della mega struttura.

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«Ben a ragione – è l’interpretazione di Risitano – il Progettista si rappresenta l’esigenza di testare la resistenza a fatica dei quattro cavi principali, che sono dei prototipi e che costituiscono i componenti strutturali più importanti di un ponte sospeso a campata unica. Se non si hanno certezze sui cavi principali nessuna attività può essere avviata». Per ottenere certezze da questi test Webuild ammetterebbe che occorrono «macchine di colossali dimensioni, mai costruite e per la cui fabbricazione devono ancora essere immaginati gli stabilimenti di produzione» e «successive sperimentazioni di difficilissima esecuzione e che, in ogni caso, dovrebbero protrarsi ininterrottamente per almeno 25-75 anni e con esiti allo stato non pronosticabili».

Sui social, il prof è ancora più esplicito: «Il test sui cavi non è mai stato fatto e purtroppo non si può fare. Bisognerebbe costruire una macchina base grande quanto un campo di calcio, alta non meno di 15 metri con attuatori che sarebbero tutti da studiare, potenze da gestire e quantità di olio e… anni di ricerca».

Sono le conclusioni che Risitano ripete in scritti e convegni: «Si potrà pensare di realizzare il Ponte a una campata quando potremo utilizzare le fibre di carbonio. Il problema attuale è quello della tecnologia: non esiste la tecnologia per formare delle funi con fibre di carbonio». Per questo, l’ingegnere dice che quello immaginato da Salvini «è il ponte della speranza: speranza che il materiale (cioè le fibre di carbonio) e la tecnologia arrivino per poi rifare il progetto e ricominciare daccapo. Con queste premesse ne riparleremmo tra 70 anni».