Raccontare i migranti di oggi, ricordando i migranti di ieri. Di ieri quando i neri eravamo noi, gli appestati erano i calabresi, quella povera gente che, presa nella morsa della fame e della disperazione, a decine di migliaia scappavano via in cerca di un pezzo di pane per le loro famiglie. I migranti di oggi sono immersi nel dolore fisico e schiacciati dal dolore interiore per non sentirsi accolti e nemmeno creduti. 
Così come nostri padri che pativano per essere considerati inferiori, brutti, sporchi e cattivi: isolati nelle baracche nelle periferie delle città, sia in Europa che in America, ma anche nel Nord Italia. Ovunque trattati come bestie.

Ricordiamo la tragedia di Cutro con questo omaggio che LaC ha inteso fare recuperando un intenso, profondo ed emozionante lavoro di Franco Costabile: “Il canto dei nuovi emigranti”.

In questa lunga e appassionata poesia, superbamente interpretata dal giovane e apprezzatissimo poeta e scrittore calabrese, Daniel Cundari, per la regia di Andrea Laratta, si racconta e si descrive la dura realtà calabrese del dopoguerra, con la fuga dei calabresi, dispersi sulle strade del mondo. Versi dai quali emerge un terribile dolore umano, rabbia e disperazione contro le condizioni civili, sociali e politiche di una terra immersa nella disperazione dell’abbandono e della miseria più nera. 
Questa vuole essere anche l’occasione per ricordare il più importante poeta che la Calabria abbia mai avuto, Franco Costabile: «Poeta universale proprio in quanto calabrese, perché non si poteva, e non si può, in Calabria, fare poesia della realtà allontanandosi dalla particolare condizione di degrado e subalternità cui millenni di dominazioni e infine il moderno sottosviluppo hanno condannato questa terra e il suo popolo».

Una profondissima inquietudine si sviluppa nell’infinita disperazione dei versi di Franco Costabile, che assumono nell’interpretazione poetica e drammatica di Daniel Cundari, una veste e una luce completamente nuove, inedite, inevitabilmente risentendo della tragedia di Steccato di Cutro. Cundari sembra immergersi dentro quel tratto di mare, alla ricerca, uno dopo l’altro, di quelle decine di corpi, gran parte di bambini, che non respirano più, che non piangono più, che non sentono più né fame e né freddo, mentre solo tra quelle acque gelide finalmente trovano quel conforto e quella pace che sulla terra gli sono stati negati. Cundari innanzi alla tragedia della devastante emigrazione calabrese e di quella tragica del popolo dei migranti in fuga con i barconi, sembra indicare nella poesia unica risposta alla disperazione.