La presidente dell'associazione Borghi Autentici d'Italia e sindaco di Roseto Capo Spulico Rosanna Mazzia rovescia la visione che li vuole solo come luoghi turistici o di svago: «Ci sono 10 mln di persone che ci vivono tutto l'anno e hanno gli stessi diritti degli altri». E sulle forze politiche: «Per noi non hanno progetti concreti»
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Rosanna Mazzia sa cosa significhi vivere in un piccolo paese. Il suo, Roseto Capo Spulico, ha meno di duemila abitanti e i problemi e le opportunità che hanno tutti – ognuno con le sue peculiarità – i posti come questo.
Avvocato, sindaco al secondo mandato e presidente dell’associazione Borghi Autentici d’Italia. Ha le idee e la passione che spesso mancano a chi, seguendo il trend in voga, di recupero e valorizzazione dei piccoli centri si riempie la bocca (tanto più in periodo di elezioni) senza sapere cosa significhi viverci dentro. E proponendo e nutrendo una narrazione sbagliata, come sottolinea Mazzia. Una narrazione da scardinare. La parola chiave è nel nome dell’associazione che guida: autentici.
Ormai si sente parlare tanto di borghi: perché è così importante investire sul loro sviluppo e perché questa presa di coscienza c’è stata solo di recente?
«Il dibattito si è sviluppato di recente per due motivi. Il primo è che negli anni sono nate associazioni come Borghi Autentici d’Italia che hanno posto il focus sui borghi e sulla necessità di metterli al centro delle politiche nazionali. Il secondo motivo è legato alla pandemia: i borghi sono stati individuati come posti in cui scappare, idilliaci sotto il profilo della qualità della vita, posti che avrebbero potuto dare delle risposte ai bisogni sorti in questo periodo come il desiderio di spazi, di luoghi aperti e salubri. Questa narrazione li ha fatti ritrovare al centro di un’attenzione mediatica nazionale, ma è una narrazione che non corrisponde alla verità e alle necessità dei borghi. Sono stati descritti come fossero luoghi inventati, sempre desiderabili e non come luoghi che sono vissuti tutto l’anno da 10 milioni di persone. Vivere nei piccoli paesi è molto complesso, quasi eroico a volte, vista la mancanza strutturale di servizi. Il messaggio che deve passare è esattamente il contrario: i borghi possono essere belli, brutti, così così… E dentro ci vivono persone che hanno esattamente gli stessi diritti di coloro che vivono in contesti più grandi. È importante investire sul loro sviluppo perché sono la colonna vertebrale dell’Italia: la ricchezza dei borghi, quella umana prima di tutto, merita di essere valorizzata. Solo poche settimane fa la Cgia di Mestre ha sottolineato che nei piccoli paesi si trova il 40% delle imprese italiane, è la prova che c’è una vivacità nonostante non si dia loro le risposte necessarie in termini di servizi: infrastrutture, trasporti, sanità, scuole e quant’altro».
In concreto cosa è stato fatto finora dalle istituzioni?
«A livello nazionale e regionale stiamo ancora aspettando delle risposte per quanto riguarda i servizi. Negli anni ci sono stati dei bandi che hanno messo al centro i borghi, ma sottolineandone più che altro l’aspetto di destinazioni turistiche o di svago. Sono un buon inizio, se parliamo della linea B del Piano Borghi del Pnrr perché la linea A la abbiamo fortemente contestata: 20 milioni a borgo sono stati una scelta che non abbiamo condiviso. Un altro passo positivo è stato il bando borghi della Regione di qualche anno fa (2018, ndr), che ha avuto un percorso amministrativo molto lungo ma che finalmente sta entrando nel vivo. C’è però ancora bisogno di attenzione e di risorse in maniera massiva».
Ha parlato dei fondi Pnrr: non rischiano di essere solo un make up senza una visione di sviluppo a tutto tondo che oltre al recupero di piazze e monumenti guardi anche alle politiche del lavoro o ai servizi, come diceva giustamente poc’anzi. Secondo lei c’è questa visione d’insieme?
«Manca sicuramente la consapevolezza che bisogna invertire l’angolo visuale da cui si guardano i problemi e le opportunità del Paese. Rimettendo al centro i borghi possiamo avere un altro punto di vista: sanitario, climatico, ambientale. Per anni abbiamo visto attivare politiche urbanocentriche e i paesi sono stati costretti allo spopolamento con tutto quello che ne è conseguito in termini, per esempio, di dissesto idrogeologico e di perdita di intelligenze: abbiamo assistito a un depauperamento complessivo di territori marginalizzati ma non marginali. Occorre che le politiche nazionali invertano la tendenza e comprendano che esiste invece una grande energia nei borghi che serve anche a compensare i deficit delle città. Una redistribuzione di persone sul territorio accompagnata da una visione d’insieme delle politiche di sostegno potrebbe essere una soluzione ai problemi di cui stiamo parlando».
L’impressione è che nel grande dibattito politico la questione sia ancora poco presente, salvo essere tirata puntualmente in ballo nei periodi elettorali come questo. Trova che qualcuna delle forze politiche in campo, al di là dei proclami, abbia posto sul tavolo idee e progetti concreti?
«No».
Presidente, parliamo della grande preoccupazione del momento: il caro energia. Rischia di travolgere in misura maggiore i piccoli comuni che tendono ad avere più difficoltà a livello finanziario e cosa si potrebbe e si dovrebbe fare per tentare di arginare il problema?
«Certamente rischia di travolgerli perché i bilanci dei piccoli comuni sono fatti solo dei tributi comunali e, ovviamente, minori sono le persone sul territorio, minore è il gettito. Ci sono delle politiche di redistribuzione che non sono assolutamente adeguate. Peraltro il mio comune, che ha meno di duemila abitanti, essendo un comune turistico viene triturato dal fondo di solidarietà comunale e c’è sempre il rischio di non arrivare alla fine dell’anno. Però questi sono i luoghi dove si potevano e adesso si devono sperimentare soluzioni alternative proprio perché sono piccoli, a partire dalle comunità energetiche: anche in questo caso le politiche nazionali sono in ritardo».
Ci siamo appena messi alle spalle l’estate che è il periodo delle grandi manifestazioni culturali: tantissime avevano come mission, tra le altre cose, la valorizzazione dei borghi: servono davvero a questo scopo e se sì in che misura?
«Borghi Autentici d’Italia non pensa che i borghi siano delle cartoline illustrate ma pensa che siano dei musei all’aria aperta. La narrazione di qualcosa di cristallizzato all’interno di una fotografia è una narrazione che non aiuta i borghi a sopravvivere a sé stessi. Un borgo può essere bello da vedere, ma quello che è importante è che quel borgo abbia una comunità vivace, sulla quale venga fatta una scommessa affinché rimanga sul territorio e si rigeneri. Ben vengano le iniziative ma non devono farci diventare un circo. Va benissimo la manifestazione che rievoca e mantiene viva una tradizione se però quella comunità è ancora vivace e tramanda quella tradizione, diversamente è semplicemente una rievocazione fine a se stessa. Le manifestazioni che tentano di celebrare i fasti di un passato che magari quel borgo non ha neanche avuto sono carine ma se non sono supportate da altro danno dei borghi un’immagine che non è coerente con la realtà. I borghi per poter vivere e proiettarsi nel futuro hanno bisogno che la loro comunità viva le contraddizioni del tempo attuale, non del passato: bisogna coniugare le tradizioni e la storia con l’innovazione sociale e tecnologica».
In relazione ai borghi si parla spesso di turismo di prossimità. Perché è così importante e a che punto siamo?
«È una risorsa, come tutte le forme di spostamento delle persone è un fenomeno positivo perché si spostano anche risorse economiche e si contaminano i territori con usanze, storie, competenze e intelligenze diverse. È un fenomeno necessario. Roseto lo vive essendo meta turistica della Basilicata, della Puglia, della Campania. È importante perché è caratterizzato da una continuità nel tempo e rende circolare l’economia: il turismo di prossimità o è il turismo di una giornata o quello di chi ha una seconda casa e quindi dà continuità al rapporto. Peraltro il turismo di prossimità in generale è un elemento formidabile per la non massività di questi spostamenti: quelli massivi rischiano di alterare l’equilibrio all’interno dei borghi, mentre è molto importante che ci siano spostamenti continui e non limitati a un periodo specifico, tipo solo l’estate. Naturalmente non è l’unica formula utile ai paesi, bisogna cercarne anche di diverse, lavorare sulla fibra, sulla connessione per fare in modo che arrivino altre forme di residenzialità e ci siano nuove opportunità di innesti di persone».