«Troppa burocrazia e troppe tasse». In tutti i casi. Per chi vuole venire sfruttando le possibilità del decreto flussi, e per chi vorrebbe restare in Italia dopo aver “guadagnato” il pezzo di carta che certifica il riconoscimento del possesso della cittadinanza “jure sanguinis”.

È l’altra faccia della medaglia della nuova tendenza che in questi anni ha visto, e continua a vedere, migliaia di cittadini stranieri, per lo più sudamericani, giungere in Italia per conseguire l’ambita cittadinanza, risiedendo per un tempo stabilito (generalmente tra 6 e 8 mesi) nel Comune che disbriga la pratica.

D’altra parte i Comuni lamentano la complessità del procedimento che prevede, in capo all’Ufficiale di Stato Civile, specifici accertamenti, tra cui la verifica dell’attendibilità e utilità degli atti prodotti dal richiedente in copia informatica per la consultazione relativi alla ricostruzione documentale dei singoli passaggi nell’albero genealogico, le richieste ai consolati italiani della certificazione attestante che nessuno abbia mai rinunciato alla cittadinanza italiana. Così, per il disbrigo della pratica, avvalendosi delle opportunità offerte dalla Legge di Bilancio dello Stato, i Comuni possono assoggettare le domande di riconoscimento del possesso della cittadinanza italiana al pagamento di un contributo amministrativo in misura non superiore a 600 euro per ciascun richiedente maggiorenne. Prevedendo anche la possibilità di assoggettare le richieste di certificati o di estratti di stato civile, formati da oltre un secolo e relativi a persone diverse dal richiedente, al pagamento di un contributo amministrativo in misura non superiore a 300 euro per ciascun atto, con esclusione delle richieste presentate da pubbliche amministrazioni.

Anche Palazzo San Giorgio si è adeguato alle disposizioni statali approvando un’apposita delibera di giunta (la n° 23 del 13 febbraio scorso) con la quale istituisce il contributo per le domande di cittadinanza e di certificati. Una necessità che va di pari passo all’aumento delle pratiche da evadere, anche perché in riva allo Stretto il fenomeno non è meno presente che in altri centri della regione.

Antonella e Roberto, “interpreti” che hanno deciso di restare

Antonella e Roberto, sono due giovani argentini che si definiscono “interpreti” e aiutano i loro connazionali ad inserirsi e integrarsi, ove possibile, nelle comunità in cui decidono di risiedere. Lo fanno perché sono testimoni diretti delle disavventure in cui possono incorrere gli stranieri in cerca di cittadinanza italiana. Antonella e Roberto sono in Italia da tre anni. Sono sbarcati a Salerno e poi per via di una parentela in terra bruzia sono arrivati in Calabria, scegliendo oggi Reggio come loro nuova dimora. Perché loro hanno deciso di fermarsi in Italia e quindi nella nostra Regione.

Ma la loro storia è paradigmatica di come ci si potrebbe ritrovare affidandosi al “primo contatto” che promette mari e monti e poi ti frega. Antonella e Roberto sono partiti con le stesse motivazioni di chi continua a partire ancora oggi. D’altra parte, entrambi sottolineano come i due maggiori problemi in Argentina siano quello economico e la delinquenza. «Oggi in argentina puoi guadagnare da 400 a 800 mila pesos, l’euro è svalutato e la vita è molto cara. Pensa che per comprare un paio di scarpe, la maggior parte delle volte bisogna farlo a rate. È lo stesso per un telefonino che costa il lavoro di una vita ma può costarti la vita, perché si arriva anche ad uccidere per rubartelo».

Chi viene e chi va

Antonella e Roberto chiariscono subito che sono due classi sociali diverse quelle che decidono di attraversare l’oceano per prendere la cittadinanza italiana - «è la chiave che apre mille porte essendo uno dei tre passaporti più importanti del mondo insieme a quello canadese e statunitense», spiega Roberto – con la speranza di un futuro migliore.

«C’è una classe medio-bassa disposta a vendere la macchina e la casa per venire in Italia. Si lasciano alle spalle la vecchia vita perché pensano di poter vivere meglio in Italia, un paese molto vicino al nostro. In Italia gli argentini si trovano bene e a Reggio, città calda e accogliente, benissimo. La gente la senti vicina, e ti dà una mano se ne hai bisogno». Poi c’è una classe medio alta o di benestanti che non ha problemi economici ed è disposta a spendere anche di più al fine di ottenere quella cittadinanza e quel passaporto che le può consentire di muoversi più liberamente non solo nel vecchio continente, ma anche oltreoceano come in Australia, meta molto ambita dagli argentini. Tra questi, più benestanti, ci sono anche quelli che continuano a mantenere un filo diretto con il paese d’origine, magari continuando a lavorare per le proprie aziende in smartworking. Un modo, quella dell’acquisizione della cittadinanza, che consente anche progressioni di carriera grazie alla possibilità di potersi spostare con facilità.

«Abbiamo deciso di dare una mano ai nostri connazionali perché quando siamo arrivati qui in Italia non avevamo niente, e non conoscevamo nessuno, ma nemmeno la lingua. Ci siamo fidati di un contatto trovato su internet che prometteva un alloggio e la cittadinanza in tre mesi. Ma erano bugie – dicono oggi con un sorriso amaro Antonella e Roberto -. Come quelle che per trovare un lavoro dovevamo andare al nord. Noi siamo andati in Toscana e lì la truffa si è completata. Ci abbiamo rimesso qualcosa come diecimila euro. È stato lì che con gli ultimi soldi rimasti abbiamo deciso di tornare al sud e qui col tempo le cose sono andate meglio».

Come detto la loro storia non è diversa da tante altre che guardano all’Italia come un possibile trampolino di lancio per una nuova vita. «Ecco, noi l’abbiamo già passata questa situazione di incertezza e per questo abbiamo deciso di aiutare gli altri». Oggi Roberto e Antonella, forniscono aiuto ai loro connazionali nell’individuazione dell’alloggio, ma anche delle scuole per gli eventuali bambini al seguito ed eventualmente il lavoro per chi comunque deve pur vivere durante il periodo di attesa per il conseguimento della cittadinanza.

Tutto il mondo è Paese… Italia

Ed è qui che si impunta il carro. Questi stranieri decidendo di trasferirsi in un paese come l’Italia compiono una scelta precisa, che difficilmente li porterà a tornare nel loro paese di origine. «Alcuni hanno lasciato lavoro decennali e si sono ritrovati con niente in mano dopo aver sognato una situazione diversa, cadendo anche in depressione, al solo pensiero di dover ricominciare da zero nel paese che avevano deciso di lasciare».

Le difficoltà infatti nascono dopo aver ricevuto la cittadinanza. Perché se nel frattempo si è disposti a fare lavoretti anche occasionali, come servire ai tavoli in un bar o ristorante, oppure fare le pulizie, poi si aspetta qualcosa in più. Qualcosa che però non arriva o se arriva spesso lascia l’amaro in bocca. «Conosco decine si situazioni in cui miei connazionali hanno cominciato a lavorare senza però essere pagati. E quando lo fanno i soldi non sono sufficienti, le bollette e le tasse si divorano tutto». Non è un caso quindi che secondo le stime ovviamente non ufficiali di Antonella e Roberto, solo il 30% decide di rimanere, e chi lo fa decide di stare al sud dove il costo della vita e la vita stessa più si avvicina a quella del paese di origine.