Voto 7 per lo spettacolo all’Ariston (e 10 per il nostro network): «La maratona si è conclusa e ha dato spazio a nuovi Dalla e De Gregori anche se ha vinto una canzone caruccia ma senza troppi significati. Niente temi sociali? Al Governo non piacciono e la kermesse si adegua...»
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La squadra degli inviati di LaC è appena rientrata dopo sette giorni di lavoro duro ed esaltante al seguito della grande kermesse di Sanremo. Grazie a loro e a quanti rimasti in sede hanno prodotto format di successo, abbiamo dato a chi ci ha seguito ogni informazione sul festival e su tutti gli artisti, con un occhio particolarissimo su Brunori Sas, che tutta Italia ha imparato ad amare.
Un grande lavoro, direttore Luca Arnaù, con una squadra che ci ha restituito l’immagine di un festival che ha sedotto l’Italia.
Allora, un voto, un giudizio.
«A LaC diamo un bel 10. Abbiamo dimostrato che possiamo essere presenti a livello nazionale con un lavoro di alto livello. Il sogno del Presidente Domenico Maduli è quello di tutti noi che lavoriamo un questo fantastico network, portare la Calabria fuori dai confini regionali, dimostrare all’Italia che ci siamo e che siamo bravi. Anche se a volte per chi arriva dal sud occorre essere molto più bravi degli altri per essere notati. Ma ci siamo comportati bene. Lasciatemi dare un grazie alla mia splendida squadra, a quella a Sanremo sul campo e a quella in Calabria impegnata a supportarci. Grazie a Luca Varani, Francesco Roberto Spina e Lorenza Sebastiani, a Jennifer Stella. Al regista Antonio Paglianiti. E complimenti al direttore Laratta, un grande lavoro che è frutto di un gioco gestito da un ottimo allenatore».
Detto questo, che era dovuto, parliamo di musica.
«Al festival darei un 7: non tutte le canzoni erano all’altezza. Ma il grande pregio di questa 75esima edizione è stata la quota cantautoriale di alto livello: Brunori, certo, magnifico nella sua interpretazione di una canzone struggente che profuma di Sila, di miele e di neve. Ma anche Lucio Corsi, Simone Cristicchi e Bresh, che personalmente – da buon genovese - adoro. 6 al vincitore: Olly è giovane, ma la canzone merita il gradino più alto del podio? No, a mio avviso c’era di meglio. Un pezzo carino, nulla più. Ma come dicevano i latini, vox populi vox dei».
Allora vediamo il podio del direttore Arnaù, grande esperto di musica e da quasi 20 anni al seguito del celebre festival.
«È un ex aequo tra Brunori e Corsi, secondo Cristicchi, terzo Bresh. Ma la gioia è vedere finalmente una nuova generazione di cantautori: i nuovi De Gregori, Dalla, De Andrè, Guccini… Lasciatemelo dire, questo è il successo di questo Sanremo. Un po’ meno autotune, un po’ più poesia. Ma li avete letti i testi di queste canzoni, le melodie, gli arrangiamenti… Altro che rap!».
Brilla la stella di Brunori, un artista vero, un uomo autentico.
«Dario ha vinto il suo festival alla grande. Era ovvio che con il potere dato quest’anno al voto popolare era difficile vincere solo con la musica. Lui ci ha provato con una canzone bellissima. Ha battagliato con onore, ha parlato di Calabria a tutti. Lo ha fatto con semplicità e simpatia: la sua conferenza stampa in sala stampa è stata intensa».
Anche attraverso di lui l’immagine della Calabria rifulge.
«Vero. Mi ha colpito molto come ha padroneggiato i diversi momenti del festival. Chi non c’è mai stato non capisce sicuramente la pressione che si respira dentro l’Ariston. Non è un’avventura per pavidi… e Dario ha dimostrato di avere la dimensione nazionale giusta per poter competere con chiunque».
Quanto pesa nella storia della musica il festival?
«Se parliamo di musica italiana, tantissimo. Da Sanremo sono passati tutti: Celentano, Mina, Modugno, Lucio Battisti, Vasco, Vecchioni. Sono usciti successi incredibili. Limitiamoci agli ultimi anni: avete visto dove sono arrivati i Maneskin? Chi avrebbe pronosticato per loro un destino da rockstar mondiali? Sanremo è l’Italia con le sue idiosincrasie, le sue passioni, le sue contraddizioni. È il profumo della musica e dei fiori. Una passione incredibile che ha tenuto incollati milioni di spettatori al teleschermo».
Le classifiche non hanno quasi mai fatto giustizia. E infatti gli sconfitti più illustri come Mina e Vasco Rossi sono poi diventati stelle di primissimo piano
«La posizione non conta nulla. Ieri Olly era nelle nuove proposte, oggi ha vinto. Alla fine conta la bravura e la bellezza della canzone. Perché alla lunga restano solo i migliori. Non credo che Brunori o Cristicchi abbiano bisogno di vincere il Festival per scrivere il loro nome nel grande libro della musica. Questi sono musicisti e poeti veri, non deve certificarlo Carlo Conti. Lo sarebbero anche senza venire. Certo che una prestazione così brillante a Sanremo li proietta verso una popolarità a 360°. Quella che, per esempio, il prestigioso Premio Tenco non regala. Ci sono milioni di persone che canticchiano il ritornello dell’Albero delle Noci… e per Dario questa è la base su cui costruire una carriera ancora più importante».
Essere élite è bello, ma non paga.
«Lui è riuscito a essere élite e popolare allo stesso tempo. Che possiamo chiedergli di più… So che può sembrare un controsenso, ma quelli come lui non hanno bisogno di vincere Sanremo per essere grandi. Ho sentito il suo entourage: erano felicissimi e soddisfatti!».
Dal festival ‘impegnato’ al festival senza messaggi e senza monologhi. Si respira un’aria diversa
«Su questo credo che abbiano fatto bene. A Sanremo deve parlare la musica. Non monologhi preconfezionati! Credo che si fosse esagerato in passato nella ricerca del messaggio ad ogni costo. Spesso per mandare un segnale, basta la presenza. Avete visto Bianca Balti e la sua gioia di vivere? Il suo sorriso ha detto molto di più sulla sua lotta contro il cancro che mille frasette strappalacrime. E la canzone di Dario? Cosa puoi dire di più sulla paternità? E il testo di Cristicchi? Parla di malattia, amore e famiglia meglio di tante chiacchiere. Così come Lucio Corsi ha descritto il bullismo con rime eccelse. Che vogliamo di più? Viva la musica. Per i monologhi esistono i testi delle canzoni».
L’Italia in 70 anni di festival è profondamente cambiata. E la musica è sempre la protagonista: da Modugno a Tony Effe, da Nilla Pizzi a Giorgia.
«Discorso complesso. L’Italia è cambiata e non so se mi piace quella che è diventata. Ma posso dire che Sanremo è sempre la stessa. Questo è stato il mio diciottesimo festival e il refrain è sempre quello. La musica unisce, fa cantare, piangere e ridere. Forse se ci fosse un po’ più musica in giro ci sarebbe meno violenza, si farebbero concerti e non la guerra. Perché ricordiamoci che la musica è ascolto. E l’ascolto porta al dialogo. Le strade di Sanremo sono sempre quelle, la folla impressionante che assedia l’Ariston anche. E pure il circo che per una settimana popola la cittadina rivierasca: cacciatori di autografi, fan impazziti, i sosia dei cantanti che per un giorno possono essere protagonisti. L’odore della sardenaira, del fritto di mare e del pesto, le note nell’aria… Il Festival è una festa. Lo era allora, lo è oggi…».
Ma questo festival non ha dato voce ad un solo tema sociale: la guerra, il clima impazzito, la tragedia dell’immigrazione. Nulla è emerso. Eppure storicamente il festival ha sempre dato parola al disagio, alle emergenze.
«Non voglio parlare di politica. Ma non credo che questo sia un Governo che ama parlare di sociale, di tragedie come l’immigrazione, di guerra. Meglio mettere la spazzatura sotto il tappeto. E il festival si adegua».
Conti è tutto meno che un cuor di leone.
«Ha fatto un bel festival tranquillizzante. Ma alcune canzoni hanno parlato chiaro lo stesso: “E quanto va di moda il vittimismo di chi attacca ma dice che si difende. E c’è chi ha perso la memoria e vorrebbe che tornasse, come se non bastasse”, canta Willie Peyote. E Brunori? “E a tutta questa felicità io non mi posso abituare. Perché conosco il sogno del faraone. Le vacche grasse e le vacche magre. E che si può cadere da una distanza siderale”. La musica ha sempre trovato modo di mandare i suoi messaggi anche se ha volte si ha la sensazione di non avere più voce: “Ho una parola sbagliata per ogni frase. Sono soltanto un uomo e non ci so fare”. Parola di Bresh!».
Dietro ai vincitori degli ultimi anni c’è sempre lo stesso nome, gli stessi manager. Certamente sarà un caso.
«E così capita che una canzone caruccia, ma senza troppi significati come quella di Olly, vinca Sanremo. Spero che lui faccia una grande carriera e dimostri di essersi meritato questa vittoria. Perché Sanremo è canzoni, ma anche marketing, apparenza, immagine. Si lavora tanto dietro le quinte».
Non sempre vince il migliore.
«Insieme alla collega Lorenza Sebastiani e a Luca Varani, noi di LaC abbiamo fatto due battaglie in sala stampa, facendo domande scomode ai vertici Rai: una sulle sponsorizzazioni nascoste come quella delle magliette indossate da Giulia De Lellis, fidanzata di Tony Effe, che potevano apparire come semplici t-shirt da fans ma avevano dietro un progetto commerciale e quindi dovevano essere trattate come pubblicità occulta. La nostra scoperta è stata fatta propria da Codacons che ha aperto una contestazione, vedremo come finirà».
Poi un’altra battaglia ancora più importante.
«Sí, è stata sul fatto che quest’anno è stata diminuita la quota relativa al valore dei voti delle giurie tecniche. Quella dei giornalisti soprattutto che – pur tra mille difficoltà – era servita in passato a dare una garanzia di qualità impedendo spesso che canzoni non meritevoli vincessero grazie al voto popolare. Non sempre la pancia della gente identifica l’effettivo valore di un brano: magari ci si innamora di un ritornello banale, di un refrain, di un motivetto. Pensate a Viva l’Italia, il Jingle di Gabry Ponte che è entrato nella testa di tutti. Per questo in passato si era pensato di bilanciare il parere della gente con quello di esperti (giornalisti, orchestrali, radio) che vive di musica tutto l’anno».
Ma quest’anno qualcuno ha voluto fare ben altro.
«Esattamente. La Rai ha pensato bene di rendere meno importante il parere degli addetti ai lavori, tagliando la quota d’importanza del loro voto… e al posto di Brunori, Cristicchi, Corsi e Bresh ha vinto Olly. Un caso, chissà? Noi di LaC abbiamo portato il quesito in sala stampa. La risposta? Una supercazzola come se fosse Antani…».