Settantasei anni magnificamente portati, quarantasette trascorsi in Calabria, bresciano, sacerdote di strada, un sorriso perenne stampato sul volto e migliaia di persone aiutate nella comunità di Lamezia Terme Dietro quegli occhi chiari e i capelli ormai canuti don Giacomo Panizza, presidente di "Progetto Sud Lamezia Terme", ci rivela aspetti finora sconosciuti del proprio profilo umano.

Profilo inedito

Questo signore lombardo, più volte oggetto di pesanti ‘attenzioni’ criminali, ama il jazz e la musica classica, con predilezione per Keith Jarrett; da giovane andava in bici ai piedi delle Dolomiti e se praticasse lo sport gli piacerebbero quelli di squadra, abituato com’ è a fare team. Un hobby? Ad averne di tempo, ma nei rari momenti gli piace mettere colori su tela e dipingere come qualche zio di primo novecento. I suoi quadri sono esposti privatamente nella casa di Pontoglio, nel Bresciano, e ispirati a momenti di vita personali. In cucina gli riesce solo la polenta, ma «sono bravissimo a lavare piatti e bicchieri», scherza.

Porte sempre aperte

Minori, tossici, giovani disagiati, aids, immigrati, rom soprattutto donne vessate: don Giacomo ha aperto le porte a chiunque ne abbia avuto bisogno. «Abbiamo mescolato i temi socio educativi con la produzione e la tratta dei diritti umani, tra prostituzione e caporalato. Specie nel tratto tra Amantea e Pizzo, dove esiste una tratta di donne, gente costretta a stare sulla strada a condizioni indicibili. A giugno vorremmo aprire un nuovo filone, quello dell’essiccazione – aggiunge – perché la Calabria produce ma non lavora la produzione agricola; stiamo facendo cose nuove, le sperimentiamo per dire che si può fare».

Tutto iniziò così

Le dipendenze dal consumo di droga o dal gioco d’azzardo. Così iniziò a ‘fabbricare il bene’ in Calabria don Giacomo, con l’opera di recupero di tantissima gente, tutti italiani. L’apertura agli stranieri iniziò con gli albanesi. «Durante i primi flussi di albanesi, mi portarono i loro disabili - dice don Giacomo – che viaggiavano con loro sui barconi. Da lì, cominciò una filiera di aiuti che si allargò in seguito anche ad altri immigrati, che sbarcavano per poi andare in altri posti, come i tanti indiani che arrivavano qui nel golfo di Lamezia nascondendosi per poi fuggire al nord.

La carica dei 200

Sono duecento i dipendenti di "Progetto Sud", ma la comunità fa nascere cooperative e associazioni di continuo, per cui la filiera è molto più estesa grazie alle attività sanitarie e assistenziali. «Riusciamo a far risparmiare tanti soldi ad alcune famiglie come quelle dei piccoli autistici – afferma don Giacomo – che devono spendere 2/3mila euro per una visita periodica nelle regioni del Nord».

Il bene con la "B" maiuscola

Come definire al giorno d’oggi il bene, quello con la B maiuscola? «Facile, aiutare qualcuno ad aiutare a sua volta – risponde don Giacomo – perché un gesto buono può finire lì, invece per essere vero bene deve generarne altro. Aiutare qualcuno significa fare in modo che non dipenda da te, renderlo autonomo. Bisogna essere maturi per fare il bene, in modo che chi lo riceve possa decidere cosa farne per liberarsi da tutto, anche da noi che li aiutiamo».

La Calabria si emancipi pure dal Pnrr

«É una scelta di emancipazione quella che manca alla Calabria – è convito il sacerdote lombardo – perché spesso ci si perde nei significati di ‘bene’. Dobbiamo ragionare sull’accezione etica della parola bene. Non abbiamo bisogno di tante elemosine, tantomeno dallo Stato che poi ti tiene dipendente. In 47 anni che sono qui, la Calabria la vedo ancora subalterna. Anche col Pnrr, se non mettiamo giù qualcosa che rimanga dopo, sarà tutto inutile, occorre emanciparsi dagli aiuti. Oppure torniamo ai tempi degli aiuti di Fanfani: e sarà un imbroglio».

La 'ndrangheta anti don Panizza

Quanto incidono nella ‘fabbrica del bene quelli che non producono, i collusi, chi si volta dall’altra parte? «La mafiosità fa ancora troppi danni – dice il presidente di "Progetto Sud" – e questi danni si perpetuano perché c’è chi li tollera. E spesso li tollera per paura di essere da solo a reagire. Ma se ci parliamo in casa, al lavoro, in chiesa dobbiamo tirare fuori un ‘noi’ che prevale. Quando mi dicono che sono un prete anti-'ndrangheta io dico che è la ‘ndrangheta che è anti-me! Il nostro segreto è che siamo in tanti ma non lo facciamo valere, loro lo hanno capito e ci fregano. Io da solo sarei scappato via da tempo. So di avere tanti amici e amiche che vogliono la stessa cosa mia e per questo resto a combattere insieme a loro, gente in sedia a rotelle, disoccupata, giovani volenterosi».

Candidatura politica

«Tutto deve girare attorno all’economia della Calabria, non di alcuni calabresi; attorno alla politica della Calabria, non alla politica di un partito». Ma a don Giacomo è arrivato qualche invito a entrare in politica? «Certo – risponde con grande distacco – e neppure troppo tempo fa. Ovviamente non dirò da parte di chi. Ma ci hanno provato. Del resto, non ci sono solo mafiosi, c’è anche gente ricca ma senza scrupoli che non vuole la Calabria libera; così come purtroppo c’è gente povera che non capisce di doversi affrancare da certi legami per stare meglio. E anche la questione del lavoro, qui abbiamo tantissime possibilità di lavoro che non vengono agevolate scientemente».

Cutro non ha insegnato

Cutro ha insegnato qualcosa? «Cutro ha detto qualcosa, ma per dire se ha insegnato bisogna vedere cosa faremo. Le emozioni durano pochi giorni. Sapremo programmare un’altra storia? Siamo un approdo per tanti disperati. La nostra pietà si ferma al dolore di quelle morti ma credetemi dietro ci sono storie molto più terribili, fatte di torture, sevizie e violenze sessuali non solo alle donne ma pure agli uomini, dal deserto e dalle guerre da cui fuggono, senza avere più nulla da perdere. La mia opinione? Purtroppo stando a quanto sentiamo Cutro non ha insegnato ancora nulla. A chi rischia di annegare non si può mandare la Guardia di Finanza a verificare la patente o le carte di identità, ma qualcuno che li salvi».

Autonomia: «Quel tipo lì, della mia Lombardia...»

Non è molto esperto di Autonomia differenziata ma di destreggia piuttosto bene don Panizza tra le vicende e i personaggi di questo argomento caldissimo. «Quel tipo lì della mia Lombardia, che si chiama Calderoli – afferma don Giacomo – o non ci ragiona sulle cose… non può dire che qui in Calabria ci teniamo i soldi prodotti in Lombardia. E la formazione di tanti medici di tanti studenti avvenuta con i soldi dei calabresi? Non la vogliamo considerare? Ma l’Italia è ancora uno stato unitario oppure no? Ecco, queste cose bisogna verificarle prima di parlare di Autonomia differenziata, perché ad alcuni settori, come il turismo ad esempio, si possono applicare mentre in altri come l’Istruzione o la Sanità ad altri sarebbe assurdo e colpevole».

Donne e "fimmene"

Ci sono altri Giacomo Panizza in Calabria? «Si, c’è tanta gente buona che è molto cresciuta, tanti uomini in gamba, ma soprattutto tante donne super. Ricordo che qualcuno fino a poco tempo fa le indicava in modo quasi dispregiativo, “sono fimmene”: io invece vedo tante donne intelligenti, capaci, grandiose, più di tanti altri maschi».

Il riconoscimento del Quirinale

A don Panizza il presidente Mattarella ha conferito l’Onorificenza al merito poche settimane fa. Ma se fosse Lei Capo dello Stato, a chi la darebbe? «Facile, a persone che hanno smesso con la droga, col carcere, persone in carrozzina che fanno del bene agli altri – afferma il sacerdote bresciano - altro che chiamarli poverini come fanno tanti. Ora sono loro ad aiutare il prossimo. Anzi, ormai mi arrabbio quando vedo tanta gente che fa bene ma non viene valorizzata, perché la crescita di ognuno presuppone anche tanta sofferenza. Il bene non è tutto rose e fiori, è una strada costellata di ostacoli».

Senza abito talare

E se non avesse fatto il sacerdote? Se dopo gli anni in fabbrica non avesse deciso di studiare da prete e poi cominciare ad aiutare gli altri? «Non so, di sicuro non sarei stato come i miei omonimi musicista e neppure sportivo. Visto l’ambiente metalmeccanico in cui ho lavorato, mi sarei buttato in qualche partito politico o in qualche sindacato. Modi di essere e di pensare legati alla giustizia sociale, del resto erano gli anni caldi delle rivendicazioni, degli scontri per lo statuto dei lavoratori».

Due messaggi

Mandi un messaggio alla sua Lamezia ed alla sua Calabria. «Eh, non è facile. A Lamezia chiedo di non vedersi più divisa, in tanti clan e in tanti comuni diversi. Diamo ricchezza umana a questa cittadina. Alla Calabria che smetta di essere serva di Roma o di altri padroni. Questa regione ricca di accoglienza faccia sentire la voce come fanno altre regioni come la Puglia o come la Sicilia. Senza più balbettare».

La fabbrica delle notizie

Anche una buona informazione aiuta il bene comune. «A voi giornalisti calabresi – dice don Giacomo - chiedo di approfondire i grandi temi come 'ndrangheta, emigrazione, sanità senza fermarsi all’ordinario. Articoli di storia, non di cronaca o di episodi. Le battute semplicistiche su questo o quel personaggio non ci servono. Il ponte sullo Stretto, ad esempio, sia sempre commentato con tutte le analisi che merita, i terremoti, le strutture esistenti, la valenza locale o nazionale. Non si può ridurre tutto ad un banale “ponte sì-Ponte no».

Anche don Giacomo "s'inca...vola"

Ma c’è stato qualcuno che l’ha fatta uscire dalla grazia di Dio? «No – ammette con un sorriso sornione – se c’è stato non gliel’ho fatto capire, mi sono scombussolato dentro. Sa chi mi fa davvero "inca…volare"? I furbetti che nonostante ampie spiegazioni continuano a chiedere cose impossibili per loro tornaconto.

Spiritualità produttiva

«Quando scesi qui per i primi sopralluoghi, prima di trasferirmi definitivamente – spiega don Giacomo – vidi una Calabria spirituale legata sia al cattolicesimo che a quello orientale. Ora questa regione deve affidarsi di nuovo a questa fonte di crescita. Di recente tante persone si sono rimesse a scrivere, quindi a pensare, a sognare una Calabria che si eleva. La libertà esiste quando la abbiamo, l’amore quando lo viviamo, la solidarietà non esiste quando facciamo i convegni ma quando la pratichiamo, e così l’antimafia. Sono contrario ai politicanti che parlano tanto ma poi non producono leggi utili a garantirla».

Il bene è fabbricato dal noi non dall'io

«La fabbrica del bene è quella che produce un buon gelato ma poi passa la ricetta anche agli altri». La metafora di don Giacomo è precisa: «É difficile comprenderlo subito perché siamo una società fondata sull’ “io” mentre dovremmo impostarci sul “noi”. Paradossalmente, ci riescono più i clan che infatti dicono sempre “noi comandiamo”, ma quella è una cultura perdente, che schiavizza perché non produce bene. La bellezza del sentirsi insieme, del “noi” produce un ospedale che funziona, una scuola che produce cultura. Gli eroi sono fenomeni isolati, è la comunità normale che deve fare cose giuste e buone, seminando per il domani, non solo per avere oggi. I primi anni che sono stato qui la gente mi diceva che la mafia non esisteva. Ma come, e le pallottole, gli incendi, le intimidazioni che abbiamo subito? Ecco, i calabresi riconoscano il bene dal male e decidano di fabbricarlo il bene, ma un bene che sia duraturo».