Una vita dedicata agli ultimi, ai più fragili, agli emarginati e a combattere le disuguaglianze e le devianze. Don Domenico Battaglia lo scorso 7 dicembre è stato nominato cardinale da Papa Francesco. Nato a Satriano, in provincia di Catanzaro, il suo nome e la sua attività è rimasta fortemente legata al Centro Calabrese di Solidarietà, comunità guidata dal 1992 fino al 2016, nata per il sostegno e per il recupero di persone affette da tossicodipendenza.

Cosa porta della Calabria nel percorso che l'ha condotta oggi ad assumere l'incarico di cardinale?

«Porto nel cuore la forza e la dignità di una terra che, pur tra le difficoltà, non smette mai di credere nella speranza. La Calabria mi ha insegnato a camminare tra le pieghe della fragilità, a riconoscere la bellezza nascosta nei volti segnati dalla fatica, nei gesti semplici di una comunità che sa donare anche quando ha poco. Porto con me il profumo del mare e il silenzio delle montagne, il calore dell’ospitalità e la tenacia di chi non si arrende mai. La mia terra è stata una scuola di vita e di fede che mi ha insegnato a mettermi al servizio, a stare dalla parte degli ultimi con umiltà e coraggio, senza mai perdere la speranza di un cambiamento possibile, di un presente diverso e sempre più illuminato dalla luce calda del Vangelo».

La sua azione è sempre stata improntata al sostegno agli ultimi e alle persone più fragili, nel suo nuovo mandato quale spazio assumeranno queste categorie sempre a lei molto care?

«Più che un nuovo mandato il cardinalato rappresenta un allargamento del cuore, una dilatazione dell’anima che invita ad ampliare gli orizzonti al mondo intero e alla Chiesa universale continuando, però, ad essere lì dove Dio mi ha posto, a Napoli, che oramai è la mia seconda terra, la mia nuova casa. Una terra del sud proprio come la mia Calabria. Una terra dove ci sono tante ferite da sanare: penso alla povertà crescente, alla solitudine delle famiglie, alla mancanza di prospettive per i giovani. Voglio continuate a lavorare con la mia comunità per creare luoghi di ascolto, case di speranza, spazi dove chi ha perso fiducia possa ritrovarsi e ripartire. Credo fermamente nel valore dell’educazione e della cultura come strumenti di riscatto e sogno una Chiesa che sappia farsi sempre più vicina alle periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali».

La Calabria e i calabresi hanno accolto con entusiasmo la sua nomina, è grande l’affetto che continua a circondarla per le attività che ha svolto qui in Calabria. Quale messaggio inviare per Natale e per il nuovo anno ai calabresi e non solo?

«Ai miei fratelli e sorelle calabresi, ma anche a chiunque porti nel cuore una ferita o un desiderio di rinascita, voglio dire questo: non smettete mai di credere nella forza dell’amore. Il Natale ci ricorda che Dio si fa vicino, si fa carne, sceglie di abitare tra noi per portare luce nelle nostre oscurità. Anche nei momenti più difficili, c’è sempre un motivo per sperare. Ricordiamoci che non siamo soli: siamo una comunità chiamata a camminare insieme, a sostenerci, a tendere la mano a chi cade. Il mio augurio è che possiamo vivere il Natale come un’opportunità per riscoprire la bellezza della condivisione, la gioia dei piccoli gesti, la forza della solidarietà».

C'è qualche aneddoto o storia particolarmente toccante che ricorda con affetto della sua esperienza in Calabria?

«Ci sono tanti volti e storie che porto nel cuore, ma una in particolare mi torna spesso alla mente. Durante una delle visite a una piccola comunità, una bambina mi avvicinò con un disegno: aveva raffigurato una casa, un albero e un cielo pieno di stelle. Mi disse: “Don Mimmo, questa è la nostra casa, ma le stelle le ho messe perché vorrei che il nostro paese fosse più illuminato, così nessuno avrebbe paura del buio.” Quelle parole mi colpirono profondamente. Era il sogno di una bambina, ma anche il sogno di tante comunità: avere più luce, più speranza, più opportunità. Quel disegno mi accompagna ancora oggi, come un promemoria per continuare a portare luce dove ce n’è più bisogno».