Le previsioni al 2050 parlano di 368mila abitanti in meno. Un futuro insostenibile: la regione sarà spopolata, povera e vecchia. Tutti i dati (e qualche suggerimento per uscirne) nel report Svimez
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Deserto 2050. Dalla Calabria scomparirà un numero di cittadini pari alla somma degli abitanti di Reggio Calabria, di Catanzaro e della nuova città unica di Cosenza.
In poco più di un quarto di secolo la regione scenderà sotto il milione e mezzo di abitanti (1 milione 478mila), 368mila in meno rispetto al 2023. I dati Istat rielaborati nel rapporto Svimez rilanciano il tema del gelo demografico, decrescita destinata ad abbattersi (soprattutto) sul Sud.
Il dato nazionale fa impressione: l’Italia dovrebbe perdere 4,5 milioni di abitanti al 2050. Meno popolata, più vecchia, meno attrattiva. Con casi limite nel Mezzogiorno: l’82% della perdita secca di popolazione nazionale interesserà infatti le regioni meridionali: 3,6 milioni.
Svimez spiega che «alla forte riduzione della popolazione meridionale dovrebbe contribuire un continuo calo delle nascite, dalle 137mila del 2023 alle 101mila del 2050, per la forte contrazione prevista per le donne in età feconda».
La struttura demografica sarà sempre più invecchiata: «In questo scenario, infatti, il Mezzogiorno perderebbe 813mila giovani under 15, quasi un terzo di quelli attuali (-32,1%); la popolazione di 15-64 anni dovrebbe ridursi di 4,1 milioni (-32,1%); gli anziani con 65 anni e più aumenterebbero di 1,3 milioni (+29%)».
Gli indicatori demografici sono una mazzata per le prospettive della Calabria: il rapporto tra la popolazione non attiva (0-15 e oltre 64 anni) e occupati (15-64 anni) sarà il più alto d’Italia nelle proiezioni che guardano al 2050. Uno squilibrio ingestibile tra popolazione da sostenere e componente attiva.
Il guaio è che i problemi sono estesi a tutto il Paese. Anche per il Centro si prevede una decrescita demografica di una certa consistenza: -761mila residenti al 2050 (-6,5% rispetto al 2023). E il Nord-Ovest perderebbe 110mila residenti al 2050, mentre la popolazione del Nord-Est resterebbe sostanzialmente stazionaria. La popolazione dovrebbe crescere in Lombardia (+3,3%), in Emilia Romagna (+2,9%) e in Trentino Alto Adige (+7,4%) grazie al consistente afflusso di immigrati, dal Sud e dall’estero.
L’analisi è drammatica e tocca ovviamente aspetti economici: «Ipotizzando che restino invariati nel periodo il tasso di occupazione e la produttività del lavoro, nel 2050 il Pil nazionale si ridurrebbe del 20,9%; nel Mezzogiorno, anche in ragione della più veloce riduzione della popolazione attiva, la diminuzione sarebbe del -32,1%, il doppio del Centro-Nord (-15,1%). Il Pil pro capite si ridurrebbe nel Sud del 18% e del 13% nel Nord: aumenterebbe così il divario economico tra le due aree».
Svimez va oltre i numeri di un declino che pare inesorabile e prova a indicare qualche traccia per contrastare il gelo demografico. Innanzitutto «consistenti aumenti del tasso di occupazione e della produttività del sistema: una vera sfida in un contesto dominato da una popolazione in età avanzata meno incline a percorrere i sentieri dell’innovazione e delle sfide tecnologiche che rappresentano invece il terreno ideale per le giovani generazioni sempre più sguarnite e meno tutelate».
E poi «un ampio programma di rafforzamento del welfare familiare territoriale, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi».
Altro aspetto centrale è il ribaltamento della «percezione di un pericolo immigrazione, inserendo a pieno titolo le politiche di cittadinanza e integrazione economica e sociale, a partire dai minori, in un progetto che favorisce l’attrazione in Italia di nuove famiglie». Una sfida nella sfida che, finora, il clima di caccia alle streghe non ha incardinato nella direzione suggerita dagli esperti.